Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 253 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 253 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/01/2024
ORDINANZA
ha pronunciato la seguente sul ricorso n. 28548/2018 proposto da:
Agenzia delle Entrate, nella persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE unipersonale, nella persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME per procura speciale a margine del controricorso.
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della SICILIA, n. 1379/09/18, depositata in data 26 marzo 2018, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18 ottobre 2023 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
La Commissione tributaria provinciale di Agrigento, con sentenza n. 2631/12016, depositata in data 1 luglio 2016, aveva rigettato il ricorso proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE unipersonale, nei confronti dell’avviso di accertamento n.TY503AE2305/2014, emesso per l’anno 2010, con il quale erano stati accertati maggiori ricavi pari ad euro 71.634,00, avendo la società dichiarato ricavi non congruenti rispetto allo studio di settore di riferimento (ricavi dichiarati per euro 97.308,00 a fronte di quelli derivanti dagli studi di settore pari a euro 240.576,00, per una differenza di euro 143.268,00).
La Commissione tributaria regionale ha accolto l’appello proposto dalla società contribuente, osservando che gli studi di settore non potevano essere l’unico presupposto per procedere alla rettifica dei ricavi dichiarati e che l’accertamento non poteva fondarsi esclusivamente sullo scostamento tra quanto dichiarato a titolo di ricavi e quanto emergeva in via generalizzata dallo strumento presuntivo applicato, trascurando, peraltro, quanto dedotto dalla società contribuente nelle difese come giustificazione dello scostamento contestato; appariva, fondata, infatti, la provata circostanza collegata al consumo di energia elettrica utilizzata come forza motrice nell’attività della società contribuente, ma trascurata in sede di contraddittorio, circostanza che, in effetti, mostrava l’influenza della crisi del settore nell’anno in questione, perché i consumi di energia risultavano variare in relazione ai ricavi ottenuti nei singoli anni, trattandosi di unica forza motrice dei macchinari per la produzione dei beni/prodotti della
società, non avendo il soggetto la possibilità di autonoma produzione di tale energia; l’avviso di accertamento non rispettava, dunque, i presupposti previsti dalla legge ed era da ritenersi nullo perché privo di motivazione e di indicazioni sugli elementi specifici per mezzo dei quali si perveniva alla determinazione dei «maggiori ricavi» attribuiti al soggetto accertato.
L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a tre motivi.
La società RAGIONE_SOCIALE, unipersonale, resiste con controricorso.
CONSIDERATO CHE
1. Il primo mezzo deduce , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 39 del d.P.R. n. 600/73, degli artt. 62 bis e 62 s exies del decreto legge n. 331/93, dell’art. 42 del d.P.R. n. 600/73 e dell’art. 7 della legge n. 212/2000. La sentenza impugnata era erronea per violazione e falsa applicazione delle norme indicate nella parte in cui aveva sostanzialmente ritenuto che non era consentito all’Ufficio procedere alla rettifica soltanto sulla base delle risultanze degli studi di settore. La procedura di accertamento seguita dall’Ufficio era legittima, avendo questo avviato il necessario contraddittorio preventivo e motivato le ragioni per cui aveva ritenuto di condividere solo in parte le giustificazioni addotte dalla società, tanto più considerato che la rettifica dell’Ufficio non si era basata soltanto sulla applicazione degli studi di settore, avendo invece l’Ufficio dato atto dell’esistenza di «circostanze che confermano la fondatezza della stima dei ricavi operata dallo studio di settore» (pag. 5 dell’avviso), quali la «incongruenza dei ricavi reiterata nel tempo» (pag. 5) e la «incongruenza reiterata nel tempo della redditività dell’impresa» (pag. 6).
Il secondo mezzo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 39 del d.P.R. n. 600/73, degli artt. 62 bis e 62 sexies del decreto legge n. 331/93, dell’art. 42 del d.P.R. n. 600/73 e dell’art. 7 della legge n. 212/2000 . La sentenza impugnata era erronea per violazione e falsa applicazione delle norme indicate nella parte in cui aveva ritenuto viziato sul piano motivazionale l’avviso impugnato, per non avere tenuto conto delle giustificazioni fornite dal contribuente. L’Ufficio, rilevato che la società in epigrafe per l’anno d’imposta 2010 aveva dichiarato ricavi non congruenti rispetto allo studio di settore di riferimento (ricavi dichiarati per euro 97.308,00 a fronte di quelli di euro 240.576,00 derivanti dagli studi di settore, per una differenza quindi di euro 143.268,00), aveva proceduto all’instaurazione di un contraddittorio con la stessa (sostanziatosi in due incontri), nel corso del quale la società aveva addotto come giustificazione dello scostamento la crisi economica, dimostrata dalla messa in cassa integrazione di 10 dipendenti e dalla riduzione del consumo di energia elettrica, indispensabile per l’attività della società. L’ Ufficio aveva, tuttavia, ritenuto che le giustificazioni fornite spiegassero solo in parte il notevole scostamento, avuto anche riguardo alla incongruenza reiterata nel tempo sia dei ricavi che della redditività dell’impresa, e con l’avviso di accertamento oggetto del presente giudizio aveva, quindi, accertato maggiori ricavi per euro 71.634,00. Non rispondeva, dunque, alla realtà quanto affermato in sentenza circa una omessa considerazione da parte dell’Ufficio delle giustificazioni addotte dalla società ( in primis con riguardo al consumo di energia elettrica), dal momento che nella motivazione dell’avviso si dava ampiamente conto di tali giustificazioni e delle ragioni per cui le stesse non erano state ritenute totalmente esaustive.
Il terzo mezzo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., l’o messo esame circa un fatto decisivo e controverso,
nella parte in cui la Commissione tributaria regionale aveva erroneamente assunto, fondandovi la decisione che l’Ufficio nella motivazione dell’avviso non aveva tenuto conto delle giustificazioni addotte dalla società ( in primis con riguardo al consumo di energia elettrica) e si sarebbe sostanzialmente limitato ad una applicazione meccanica degli studi di settore.
3.1 I motivi, che vanno trattati unitariamente perchè connessi, sono, innanzi tutto, ammissibili.
3.2 Deve, infatti, essere rigettata l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla società controricorrente in relazione ai tre motivi del ricorso, perché estremamente generica, essendo stata dedotta soltanto la violazione del canone di specificità, senza alcuna indicazione del profilo specifico di violazione in relazione ai numeri da 1 a 6, dell’art. 366 cod. proc. civ.
3.3 Parimenti va rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla società controricorrente per la violazione del principio di autosufficienza, atteso che il ricorso contiene tutti gli elementi necessari a rappresentare le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e consente a questa Corte la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi od atti attinenti al pregresso giudizio di merito (cfr. Cass., Sez. U., 24 febbraio 1998, n. 1998).
3.4 I motivi, ammissibili, sono anche fondati.
3.5 Secondo l’indirizzo consolidato di questa Corte, la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standard in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito
al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente; in tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standard o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello standard prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standard al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte (Cass., Sez. U., 18 dicembre 2009, n. 26635 e, di recente, Cass., 20 giugno 2019, n. 16545; Cass., 15 luglio 2020, n. 14981).
3.6 Dunque, il procedimento di accertamento standardizzato trova il proprio punto centrale nell’obbligatorietà del contraddittorio endoprocedimentale, che consente l’adeguamento degli standard alla concreta realtà economica del contribuente, determinando il passaggio dalla fase statica (gli standard come frutto dell’elaborazione statistica) alla fase dinamica dell’accertamento (l’applicazione degli standard al singolo destinatario dell’attività accertativa) (cfr. Cass., 15 luglio 2020, n. 14981, citata).
3.7 Le Sezioni unite richiamate hanno pure statuito il principio che « La procedura di accertamento tributario standardizzato mediante
l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema unitario che non si colloca all’interno della procedura di accertamento di cui all’art. 39 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ma la affianca, essendo indipendente dall’analisi dei risultati delle scritture contabili, la cui regolarità, per i contribuenti in contabilità semplificata, non impedisce l’applicabilità dello “standard”, né costituisce una valida prova contraria, laddove, per i contribuenti in contabilità ordinaria, l’irregolarità della stessa costituisce esclusivamente condizione per la legittima attivazione della procedura standardizzata » (Cass., Sez. U., 18 dicembre 2009, n. 26635 e, più di recente, Cass., 17 dicembre 2019, n. 33340).
3.8 Invero, la circostanza che il ricorrente in rapporto ai notevoli costi sopportati, dichiari un reddito esiguo, costituisce una condotta commerciale anomala, di per sé sufficiente a giustificare da parte dell’Erario una rettifica della dichiarazione, ai sensi de ll’art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 54 del d .P.R. n. 633 del 1972, a meno che il contribuente non dimostri concretamente la effettiva sussistenza di validi motivi per porre in essere un comportamento palesemente antieconomico. Il che non si traduce in un sindacato sulle scelte imprenditoriali, ma consente di presumere l’esistenza di proventi non dichiarati, correttamente desunta dalla abnormità, ed irragionevolezza dei dati dichiarati, che lasciando presupporre una attività gestionale antieconomica, induce, logicamente, a ritenere complessivamente inattendibile la documentazione. In tali casi, pertanto, è consentito all’ufficio dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere, sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, un maggior reddito di impresa. Va, quindi, ribadito il principio per cui « un comportamento del contribuente palesemente antieconomico costituito da un rilevante rapporto deficitario tra valore complessivo dei costi sostenuti e i ricavi dichiarati integra le gravi
incongruenze che legittimano l’applicazione degli studi di settore» (Cass., 23 settembre 2016, n. 18666).
3.9 A fronte, dunque, di condotte aziendali che risultano in netto contrasto con le leggi del mercato, compete, infatti, all’imprenditore dimostrare, in modo specifico, che la differenza negativa tra costi di acquisto e prezzi di rivendita, emersa dalle scritture contabili, non è dovuta all’occultamento di corrispettivi, ma trova valide ragioni economiche che la giustificano (Cass., 21 dicembre 2018, 33279; Cass., 25 maggio 2021, n. 14294).
3.10 Ciò posto nel caso di specie, il contraddittorio preventivo è stato attivato; la parte ha avuto modo di rappresentare le proprie giustificazioni (la messa in cassa integrazione di n. 10 unità di personale e il consumo energetico per l’anno 2010 di euro 9.133,00) ; l’Ufficio ha puntualmente analizzato gli elementi giustificativi addotti dalla contribuente (« la società ha messo in cassa integrazione n. 10 lavoratori dipendenti dal 03/05/2010 al 30/10/2010, diminuendo così l’attività lavorativa; Constatato, altresì, il confronto del consumo energetico tra l’anno 2010 ed il 2011, dove il consumo per il 2010 è pari ad € 9.133,00 e per il 2011 pari ad € 33.133,00, si evince che per l’anno in questione c’è stata una diminuzione della produttività aziendale »), determinando lo scostamento dal ricavo in euro 71.634,00, come emerge dall’avviso di accertamento debitamente riportato nel corpo del ricorso in ossequio al principio dell’autosufficienza. Sulla base di quanto esposto nell’atto impositivo, l’Ufficio è pervenuto alla rideterminazione del reddito d’impresa all’esito della stima dei ricavi medesimi alla stregua degli studi di settore, con l’emersione, in definitiva, dell’antieconomicità della gestione dell’attività d’impresa. In questo quadro gravava sulla contribuente l’onere di dimostrare, attraverso informazioni ricavabili da fonti di prova acquisite al processo con qualsiasi mezzo, la sussistenza di circostanze di fatto tali da far discostare la sua attività dal modello normale al quale i parametri facevano riferimento e giustificare un
reddito inferiore a quello che sarebbe stato normale in virtù di detta procedura. La Commissione tributaria regionale ha, invece, erroneamente sostenuto che gli studi di settore non potevano essere l’unico presupposto per procedere alla rettifica dei ricavi dichiarati e che l’accertamento non poteva fondarsi esclusivamente sullo scostamento tra quanto dichiarato a titolo di ricavi e quanto emergeva in via generalizzata dallo strumento presuntivo applicato, il che è erroneo, in quanto, per quanto diffusamente rilevato, il procedimento di accertamento standardizzato trova il proprio punto centrale nell’obbligatorietà del contraddittorio endoprocedimentale, nel caso di specie, regolarmente attivato. I giudici di secondo grado, inoltre, hanno affermato , ancora una volta errando, che l’accertamento era nullo perché privo di motivazione, in quanto l’Ufficio aveva trascurato quanto dedotto dalla società contribuente come giustificazione dello scostamento contestato, ovvero il consumo di energia elettrica utilizzata come forza motrice nell’attività di impresa, non tenendo in considerazione che l’Ufficio aveva accertato che il consumo energetico per il 2010 era stato pari a euro 9.133,00 e per il 2011 era stato pari a euro 33.133,00. Tanto più che l’Ufficio aveva indicato anche altre consistenti presunzioni a conforto della tipologia di accertamento applicata, ovvero l’incongruenza dei ricavi reiterata nel tempo e l’incongruenza reiterata nel tempo della redditività dell’impresa (ricavata dall’analisi dei dati dichiarati ai fini dell’imposta sul reddito e dell’Irap e ai fini Iva, per i periodi di imposta dal 2010 al 2012) sintomatica di una condotta imprenditoriale antieconomica derivante dal sottodimensionamento dei ricavi.
3.11 Ciò posto, va rilevato che a paralizzare l’applicabilità degli studi di settore, non è sufficiente la sola allegazione, ossia la sola affermazione della esistenza di circostanze idonee in astratto a contrastare la presunzione di maggior reddito, con conseguente onere incombente sull’Amministrazione di giustificare l’affermazione contraria, in quanto tale assunto non risponde ad una corretta lettura
delle norme e che, piuttosto, dai principi enunciati dalle Sezioni Unite sopra richiamati si evince che, nella ripartizione dell’onere probatorio, spetta al contribuente quello non solo di allegare, ma anche di provare, senza limitazioni di mezzi e di contenuto, la sussistenza di circostanze di fatto tali da allontanare la sua attività dal modello normale al quale i parametri fanno riferimento, in modo da giustificare un reddito inferiore a quello che normalmente si desume secondo la procedura di accertamento tributario standardizzato, mentre sull’ente impositore incombe l’onere di dimostrare l’applicabilità dello standard prescelto al caso concreto oggetto di accertamento (cfr. Cass., 21 dicembre 2021, n. 40936).
3.12 Inoltre, in sede di contraddittorio, il quale deve avvenire già in fase amministrativa, ma anche e soprattutto nel giudizio, il contribuente dovrà non solo dedurre, ma anche dimostrare che i parametri utilizzati sono erronei perché basati su elementi fattuali non corrispondenti alla realtà o su criteri di elaborazione e di inferenza illogici o potrà anche dedurre e dimostrare che l’Ufficio impositore è incorso in un errore nell’applicare i parametri alla sua realtà, in ragione della sussistenza di caratteri per così dire anormali, ossia di elementi che la diversificano rispetto a quelli in riferimento ai quali è stata individuata la normalità reddituale. Pertanto, qualora il contribuente, pur essendo stato messo in condizione di offrire elementi, anche presuntivi, idonei a contrastare l’opposta presunzione fondata sugli studi di settore «senza limitazione di mezzi e contenuto», si limiti ad una mera asserzione, non confortata da validi riscontri probatori e documentali, risulta evidente che l’Ufficio impositore prima ed il giudice poi non hanno elementi per escludere che l’attività in esame sia una attività «normale» ed abbia, quindi ,una redditività normale. Viceversa, se il contribuente prospetta la sussistenza di circostanze di fatto tali da allontanare la sua attività dal modello normale al quale gli studi di settore fanno riferimento, spetta all’Ufficio prima ed al giudice poi
valutare se tali circostanze siano vere e se esse siano effettivamente idonee a «giustificare» un reddito inferiore a quello che sarebbe normale e, quindi, presuntivamente vero in assenza di esse. Ne discende che, a fronte di una rappresentazione di carattere presuntivo, e, quindi, presuntivamente attendibile, spetta al contribuente, che vi ha interesse, dedurre e provare la sussistenza di elementi di discordanza o disomogeneità idonei a togliere valore alla presunzione di cui all’art. 2729 cod. civ. (cfr. Cass., 30 ottobre 2018, n. 27617, in motivazione).
Per quanto esposto il ricorso va accolto; la sentenza impugnata va cassata e la causa deve essere rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, in data 18 ottobre 2023.