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Studi di settore: onere della prova sul contribuente

Una società di costruzioni ha impugnato un avviso di accertamento basato sugli studi di settore, sostenendo che i ricavi presunti non tenevano conto della mancata aggiudicazione di 55 gare d’appalto in un anno. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando che l’onere della prova per superare la presunzione di redditività degli studi di settore grava interamente sul contribuente, il quale deve fornire prove specifiche e concrete della sua particolare situazione economica, non essendo sufficienti giustificazioni generiche.

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Pubblicato il 30 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Studi di Settore: La Cassazione Conferma l’Onere della Prova a Carico del Contribuente

L’applicazione degli studi di settore come strumento di accertamento fiscale genera da sempre un acceso dibattito. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale: per superare le presunzioni di maggior reddito derivanti da questi strumenti, è il contribuente a dover fornire prove concrete e specifiche che dimostrino la particolarità della propria situazione. Vediamo nel dettaglio il caso e le conclusioni dei giudici.

I Fatti di Causa

Una società operante nel settore delle costruzioni edili riceveva un avviso di accertamento dall’Agenzia delle Entrate per l’anno d’imposta 2012. L’accertamento si basava sulle risultanze degli studi di settore, che indicavano ricavi superiori a quelli dichiarati dalla società per circa 146.000 euro, con una conseguente maggiore IVA dovuta per oltre 30.000 euro.

La società si era difesa sin dalla fase del contraddittorio preventivo, spiegando che la discrepanza era dovuta a una situazione anomala. Nel 2012, infatti, l’impresa non si era aggiudicata alcun nuovo contratto di appalto, pur avendo partecipato a 55 gare pubbliche. L’attività si era limitata al completamento di lavori aggiudicati negli anni precedenti, con la conseguenza di sostenere costi fissi e variabili significativi che avevano generato una perdita. A supporto delle proprie tesi, la società aveva prodotto numerosa documentazione.

Nonostante ciò, l’Agenzia delle Entrate riteneva le giustificazioni insufficienti e procedeva con l’accertamento. La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso della società, ma la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado ribaltava la decisione, dando ragione all’Ufficio. La questione giungeva così dinanzi alla Corte di Cassazione.

La Decisione della Corte e l’Onere della Prova sugli Studi di Settore

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della società, ritenendo infondati tutti i motivi di appello. I giudici hanno riaffermato un principio consolidato in materia di accertamento basato sugli studi di settore: essi rappresentano una presunzione legale relativa, il che significa che l’Amministrazione Finanziaria è tenuta solo a dimostrare la coerenza dell’attività del contribuente con il cluster di riferimento e lo scostamento rispetto agli standard.

Una volta fatto questo, l’onere della prova si sposta interamente sul contribuente. È quest’ultimo che deve dimostrare, con ogni mezzo di prova, l’esistenza di circostanze di fatto specifiche che rendono la sua attività diversa dal modello normale ipotizzato dallo studio e che giustificano un reddito inferiore.

Le Motivazioni della Sentenza

Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che i giudici d’appello avessero correttamente applicato la normativa e la giurisprudenza. Essi avevano puntualmente esplicitato le ragioni per cui le prove fornite dalla società non erano state considerate adeguate a superare la presunzione.

In particolare, sono state evidenziate le seguenti criticità nelle argomentazioni della contribuente:

1. Mancata aggiudicazione di appalti: Questo dato, di per sé, non è stato ritenuto sufficiente, soprattutto a fronte di un importante appalto pubblico aggiudicato l’anno precedente (2011) per oltre 120.000 euro, circostanza che la società aveva omesso di menzionare.
2. Operatività con clienti privati: La Corte d’appello aveva sottolineato che l’attività dell’impresa proseguiva anche con clienti privati, un fattore che incideva sulla valutazione complessiva della sua situazione economica.
3. Incoerenza storica: Era stata rilevata un’incoerenza nel quadro economico-fiscale dell’azienda rispetto agli anni precedenti, quando, pur essendo impegnata in appalti di valore ingente, dichiarava utili irrisori rispetto ai costi sopportati e al fatturato.

La Cassazione ha concluso che non vi è stata alcuna inversione dell’onere della prova. I giudici di merito hanno semplicemente effettuato una valutazione delle prove, non sindacabile in sede di legittimità, ritenendo che le giustificazioni della società fossero generiche e non sufficienti a dimostrare in modo inequivocabile la specificità della sua posizione rispetto allo standard degli studi di settore.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza conferma che la difesa contro un accertamento basato sugli studi di settore deve essere estremamente rigorosa e ben documentata. Non basta addurre motivazioni generali, come una crisi di mercato o la mancata acquisizione di nuovi clienti. È necessario fornire elementi di prova concreti, puntuali e non contraddittori che delineino un quadro economico-aziendale oggettivamente anomalo e non rappresentato dallo strumento presuntivo.

Per le imprese, ciò significa che in fase di contraddittorio e di eventuale contenzioso, è cruciale presentare non solo la documentazione contabile, ma anche analisi dettagliate, perizie o relazioni che spieghino in modo inconfutabile le ragioni dello scostamento. In assenza di una prova così forte, la presunzione di maggior reddito degli studi di settore difficilmente potrà essere superata in giudizio.

Chi ha l’onere della prova in un contenzioso su un accertamento basato sugli studi di settore?
L’onere della prova grava sul contribuente. L’Agenzia delle Entrate deve solo dimostrare l’applicabilità dello studio di settore e lo scostamento dei ricavi. Spetta poi al contribuente dimostrare, con prove concrete, l’esistenza di circostanze specifiche che giustifichino un reddito inferiore.

La mancata aggiudicazione di nuove commesse è una giustificazione sufficiente per disapplicare gli studi di settore?
No, secondo la Corte, la mancata aggiudicazione di appalti pubblici non è, di per sé, una circostanza sufficiente a superare la presunzione, specialmente se l’azienda ha avuto altre fonti di reddito (come appalti vinti in anni precedenti o attività con clienti privati) e se la sua storia fiscale presenta delle incongruenze.

Cosa deve fare un’impresa per contestare efficacemente un accertamento da studi di settore?
L’impresa deve fornire elementi idonei a dimostrare il contrario di quanto presunto dallo studio, superando l’onere della prova. Deve provare l’esistenza di circostanze di fatto, non generiche ma specifiche della propria attività, che la discostino dal modello normale di riferimento e che giustifichino un reddito inferiore a quello standardizzato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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