Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 156 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 156 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3304/2017 R.G. proposto da : COGNOME rappresentata e difesa dall’Avvocato COGNOMECODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE
-intimata- avverso SENTENZA della COMM.TRIB.REG. della CAMPANIA n. 6351/2016 depositata il 05/07/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con sentenza n. 6351/28/2016 la Commissione Tributaria Regionale della Campania, in parziale accoglimento dell’appello proposto dall’Ufficio, rideterminava i valori di cui all’atto di rettifica
della rendita catastale relativo ad un immobile ad uso commerciale di proprietà di NOME COGNOME
Contro detta sentenza propone ricorso per cassazione, affidato a sette motivi, NOME COGNOME
l’Agenzia delle entrate è rimasta intimata .
CONSIDERATO CHE
C on il primo motivo parte ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 111 Cost., 36, comma 2, n. 4, del d.lgs. 546/92, 156, secondo comma, c.p.c. e 1, comma 2, del d.lgs. 546/92, assumendo che la motivazione della sentenza era del tutto apparente in quanto costituita da argomentazioni incoerenti e disarticolate tra loro, inidonee ad illustrare “la ratio decidendi “.
C on il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. violazione dell’art. 112 c.p.c. 1, comma 2, del d.lgs. 546/92, per inosservanza del principio del tantum devolutum quantum appellatum, avendo la C.T.R. introdotto, ex officio , profili non fatti valere in giudizio e determinando, in via presuntiva, il valore del cespite sulla scorta di una ‘singolare interpretazione’ del c.d. metodo di stima diretta, laddove l’Agenzia delle entrate aveva dedotto, con il proposto appello, la legittimità del proprio operato basato sul metodo di stima c.d. ‘comparativo’ .
C on il terzo motivo lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., per essere la sentenza fondata su indizi privi di gravità, precisione e concordanza, in quanto era stato fatto riferimento, ai fini della quantificazione del valore di stima, ad una asserita ‘autodeterminazione’ della contribuente quanto all’indicato valore unitario di euro 820,03, autodeterminazione di cui non vi era prova alcuna trattandosi, in realtà, di una rielaborazione della rendita catastale operata dal medesimo ufficio.
C on il quarto motivo lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma nn. 3 e 4, c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 24 del d.lgs. 546/92, in quanto la sentenza, nel richiamare detta asserita dichiarazione della contribuente, aveva deciso sulla base di un motivo nuovo rispetto all’ambito delle ragioni fatte valere nell’ avviso di accertamento.
C on il quinto motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 8, 19, 27, 28 e 30 del d.P.R. 1141/1949, in quanto i giudici di appello avevano violato le regole fissate nel Regolamento per la formazione del catasto edilizio in tema di classamento di immobili di categoria ‘D’ , e determinato il valore del cespite denunciato con ragionamento presuntivo che non trovava fondamento nella normativa catastale.
Con il sesto motivo lamenta , ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 20 r.d. 652/1939, 56 d.P.R. n. 1142/49 e 1 del D.M. 701/94, non avendo i giudici di appello valutato il tenore delle norme che regolano l’accatastamento degli immobili, consentendo l’eventuale correzione di una denuncia errata. Assume che la C.T.R. aveva erroneamente fondato il proprio convincimento su di un dato di valutazione contenuto nel primo DOCFA frutto di una errata indicazione relativa alla categoria di appartenenza (C1 anziché D8), riconosciuto dallo stesso Ufficio, non potendosi pertanto attribuire alla prima dichiarazione, frutto di errore, alcuna valenza confessoria.
C on il settimo motivo lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 5 c.p.c., omesso esame di un fatto storico decisivo, rappresentato dall’avvenuta rettifica del DOCFA. Rileva che la C.T.R. aveva omesso di valutare il dato relativo alla correzione apportata al precedente classamento in C1 proposto il 2 aprile 2012, dato decisivo in quanto dallo stesso discendeva la impossibilità di fondare la
decisione sul contenuto del primo DOCFA, presupposto idoneo a fondare la ‘presunzione’ adottata nella sentenza de qua .
8. Il ricorso deve essere respinto per le ragioni appresso specificate. 9. il primo motivo è infondato, atteso che la sentenza impugnata consente di individuare in modo comprensibile la ratio decidendi , in quanto, se i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111, sesto comma, Cost. e, nel processo civile, dall’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. (così nel processo tributario), tale obbligo è, tuttavia, violato solo qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (cfr. Cass. n. 7090 del 3/03/2022; Cass. n. 22598 del 25/09/2018). Tale ipotesi non ricorre nel caso in esame, laddove la Commissione tributaria regionale ha ritenuto che l’atto impositivo impugnato risul tasse comunque motivato, salva la necessità di rettificare i valori ivi indicati. I giudici di appello, sia pure con argomentazioni non sempre lineari, hanno chiarito che era stata applicata una stima ‘diretta’ mediante ‘metodo indiretto’ dato dal valore venale con applicazione del saggio di fruttuosità del 2%, stante l’assenza di un mercato locativo, muovendo, anche, dal valore unitario di euro 820,03 proposto in precedenza dalla medesima contribuente (vedi ff. 3 e 4). Il che integra il requisito motivazionale nel senso indicato.
10. Il secondo motivo è da ritenere , anch’ esso, infondato in quanto non sussiste una ultra o extra petizione, dal momento che l’ufficio aveva insistito nel corso dei due gradi di giudizio sulla legittimità
dell’avviso e la C.T.R. si è limitata a ridurre la stima, rimanendo all’interno del perimetro tracciato dall’atto di accertamento e dai motivi di opposizione ad esso mossi (definitori del petitum e della causa petendi ).
11. Il terzo, il quinto ed il sesto motivo -i quali possono essere esaminati congiuntamente in quanto fra loro connessi – non colgono nel segno in quanto le censure mirano, nella sostanza, ad una rivalutazione del merito di certo non consentita in questa sede (v. Cass. n. 14980/2020; Cass. n. 3005/2021), spettando al giudice di legittimità solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale compete in via esclusiva l’individuazione delle fonti del proprio convincimento, la verifica della loro attendibilità e concludenza e di scegliere tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (Cass. 13.01.2020, n. 331; S.U. 27.12.2019, n. 34476). È opportuno rimarcare, inoltre, che questa Corte (cfr., pure nelle rispettive motivazioni, oltre alle pronunce appena citate, Cass. n. 35041 del 2022, Cass. n. 33961 del 2022 e Cass. n. 13408 del 2022), ha chiarito, tra l’altro, che: a) non integra violazione, né falsa applicazione di norme di diritto, la denuncia di una erronea ricognizione della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, poiché essa si colloca al di fuori dell’ambito interpretative ed applicativo della norma di legge; b) il discrimine tra violazione di legge in senso proprio (per erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa) ed erronea applicazione della legge (in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta) è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, diversamente dalla prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (cfr. Cass. n. 10313 del 2006; Cass. n. 195
del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010); c) le doglianze attinenti non già all’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalle norme di legge, bensì all’erronea ricognizione della fattispecie concreta alla luce delle risultanze di causa, ineriscono tipicamente alla valutazione del giudice di merito (cfr. Cass. n. 13238 del 2017; Cass. n. 26110 del 2015). Va osservato, in ordine alla metodologia utilizzata dall’amministrazione finanziaria, che gli immobili per cui è causa sono stati censiti nella categoria D/8 e, quindi, rientrano nella ipotesi di cui all’art. 10 del r.d.l. 13 aprile 1939, n. 652, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 1939, n. 1249, e pertanto non va lutabili tramite la c.d. ‘classificazione tariffaria’, bensì con ‘stima diretta’; a tal fine, la stima, secondo il d.P.R. 1 dicembre 1949, n. 1142, deve essere effettuata con riferimento ai “prezzi correnti per la vendita di unità immobiliari analoghe” ovvero, in subordine, secondo le regole dell’estimo catastale, ovvero con i parametri del capitale fondiario (art. 28) e del saggio di interesse (art. 29). Nel caso in esame, come sopra chiarito, sebbene la C.T.R. faccia confusamente riferimento al ‘metodo comparativo’, in effetti risulta essere stata effettuata una ‘stima diretta’ data dal valore venale con applicazione del saggio di fruttuosità del 2%, stante l’assenza di un mercato locativo, facendosi ‘anche’ riferimento al valore unitario di € 820,03 propo sto in precedenza dalla medesima contribuente. In questa prospettiva il richiamo alla c.d. autodichiarazione (che da quello che risulta, dagli atti, attiene comunque ad una valutazione della contribuente) incide su profili di puro merito, a fronte di una riduzione della stima dell’ufficio operata dal giudice di appello il quale, in sostanza, ha valutato, fra i vari elementi in atti, anche il precedente valore indicato dalla stessa contribuente. Ciò posto, del tutto priva di pregio appare la dedotta violazione dell’art. 2729 c.c., né coglie nel segno la contestazione secondo cui i giudici di merito avrebbero indebitamente attribuito a
detta ‘errata’ dichiarazione una ‘ valenza confessoria ‘, perché il maggior auto-dichiarato risulta essere stato utilizzato dalla Commissione tributaria regionale, come detto, non quale esclusivo presupposto della decisione ma in funzione confermativa dell’avviso, sottoposto a vaglio critico perché rettificato su altri, seppur minori, profili.
12. Il quarto motivo è privo pregio alcuno, non venendo qui in rilievo l’utilizzo da parte C.T.R di elementi ex officio in assenza di una ‘domanda’ da parte dell’Agenzia delle entrate , quanto piuttosto un dato, risultante dagli atti del processo (l’indicazione di valore offerta dalla contribuente), valutato dai giudici di merito, unitariamente agli altri elementi istruttori, nell’esercizio dei poteri che l e competevano. 13. Il settimo motivo è inammissibile. In base all’ attuale testo dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014), il vizio non può consistere nella mera difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo al giudice predetto individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova; mentre alla Corte di Cassazione non è conferito il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, bensì solo quello di controllare, sotto il profilo logico e formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione compiuti dal giudice del merito, cui è riservato l’apprezzamento dei fatti (cfr. Cass. n. 30878 del 2023). In altri termini, l’attuale art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe con certezza determinato un esito diverso della controversia) per il giudizio, da intendersi riferito ad un preciso accadimento o una precisa
circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni; sicché sono inammissibili le censure che, come nella specie, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (cfr., ex multis ), anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 35947 del 2023; Cass. n. 28390 del 2023; Cass. n. 27505 del 2023; Cass. n. 4528 del 2023; Cass. n. 2413 del 2023; Cass. n. 31999 del 2022; Cass., SU, n. 23650 del 2022; Cass. n. 9351 del 2022; Cass. n. 2195 del 2022; Cass. n. 595 del 2022; Cass. n. 4477 del 2021; Cass. n. 395 del 2021; Cass. n. 22397 del 2019; Cass. n. 26305 del 2018; Cass., SU, n. 16303 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017; Cass. n. 21152 del 2015). Non può certamente, nel caso in esame, parlarsi dell’ omesso esame di un fatto storico – afferente alla circostanza che la maggiore autodeterminazione della parte era stata, comunque, rettificata come da documentazione in atti, così da non poter fondare alcuna presunzione, difettando all’evidenza, come sopra chiarito, ogni profilo di decisività di tale elemento fattuale, posto che detta autodichiarazione è stata ‘ uno ‘ degli elementi valutati dai giudici di merito.
14. Il ricorso va, dunque, rigettato; nulla va disposto quanto alle spese essendo l’ufficio rimasto intimato .
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso;
visto l’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dalla legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico dell’ente ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della Sezione Tributaria in data 23 ottobre 2024 .
Il Presidente NOME COGNOME