Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 12840 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 12840 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/05/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 14962/2016 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, anche disgiuntamente tra loro, dal prof. AVV_NOTAIO COGNOME e dall’AVV_NOTAIO, ed elettivamente domiciliata presso lo studio di questi in Roma, INDIRIZZO, giusta procura speciale in atti.
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore generale pro tempore ,
domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso l’ Avvocatura AVV_NOTAIO dello Stato, che la rappresenta e difende per legge
-controricorrente-
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania n. 10756/48/15, depositata in data 2 dicembre 2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 3 aprile 2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il AVV_NOTAIO Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo accogliersi i motivi ottavo, decimo, dodicesimo, sedicesimo e ventitreesimo e rigettarsi i restanti;
udito per la ricorrente l’AVV_NOTAIO;
udito per l’Avvocatura generale dello Stato l’AVV_NOTAIO;
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE de RAGIONE_SOCIALE (in seguito ‘s.a.’), società di assicurazioni di diritto rumeno, propone ricorso, affidato a ventitré motivi e supportato da memoria, avverso la sentenza di cui all’epigrafe, con la Commissione tributaria regionale della Campania ha accolto l’appello dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Napoli, che aveva accolto il ricorso della medesima società contro tre avvisi d’accertamento, relativi all’Ires ed all’Irap di cui agli anni d’imposta 2008, 2009 e 2010.
Si legge nel ricorso che tali atti impositivi erano « pervenuti al sig. NOME COGNOME», il quale «comunicò all’esponente di aver ricevuto tre avvisi di accertamento, per gli anni d’imposta 2008 (atto n.NUMERO_DOCUMENTO), 2009 (atto n. NUMERO_DOCUMENTO) e 2010 (atto n. NUMERO_DOCUMENTO), intestati ad una presunta stabile organizzazione (in seguito ‘s.o.’) in Italia della RAGIONE_SOCIALE, di cui il predetto COGNOME sarebbe “amministratore di fatto”. La sede di tale presunta stabile organizzazione sarebbe nel Comune di Napoli , nel luogo dove aveva sede tale RAGIONE_SOCIALE, società attiva come società di brokeraggio nel settore assicurativo dal febbraio 2011 ».
Come si legge nella sentenza qui impugnata, la CTP aveva accolto il ricorso proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE, sostenendo che non risultava adeguatamente provato che la
stessa disponesse di una s.o. nel territorio italiano; mentre la CTR ha accolto l’appello erariale, ritenendo « assolutamente provato che la RAGIONE_SOCIALE disponeva di una stabile organizzazione operante sul territorio Italiano.».
L’RAGIONE_SOCIALE si difende con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Preliminarmente, la ricorrente eccepisce (capo A del ricorso) il giudicato formatosi a favore di NOME COGNOME, per effetto della sentenza della stessa Commissione tributaria regionale della Campania n. 8766/48/15 – depositata il 6 ottobre 2015 e munita di attestazione di mancata impugnazione, datata 17 giugno 2016- che ha rigettato l’appello erariale averso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Napoli, che aveva accolto i tre ricorsi riuniti presentati dallo stesso COGNOME NOME NOME avverso gli avvisi d’accertamento in questione, ritenendo la CTR fondata l’eccezione di nullità degli atti impositivi perché emanati prima della scadenza del termine dilatorio di cui all’art. 12, co.7, della legge n. 212 del 2000.
L’eccezione non può essere accolta.
Invero, dalla lettura dell’epigrafe, dello ‘svolgimento del processo’, dei ‘motivi di diritto’ e del dispositivo della sentenza oggetto dell’eccepito giudicato esterno, si evince che parte di quel giudizio era personalmente NOME COGNOME, il quale non solo è ivi indicato meramente come persona fisica ricorrente in primo grado, appellata e beneficiata dalla condanna alle spese, ma risulta altresì aver sostenuto l’inammissibilità dell’appello erariale, sul presupposto che con esso l’Ufficio avesse impugnato la ‘sentenza n. 13668 pubblicata in pari data ma riguardante soltanto la società e non il COGNOME‘. Eccezione respinta dalla sentenza dalla sentenza d’appello divenuta irrevocabile, sul presupposto che la sentenza impugnata fosse invece proprio quella pronunziata nei confronti di NOME COGNOME, non (anche) della società.
Peraltro, al COGNOME, e non alla attuale ricorrente, così come si legge passim nello stesso ricorso, gli atti impositivi erano stati ‘inviati’ (ovvero notificati), benché, nella prospettiva della società contribuente, egli fosse un soggetto ‘del tutto estraneo ‘ a quest’ultima. Ed il medesimo NOME COGNOME, come risulta dalla sentenza passata in giudicato, tale si professava nel giudizio che egli stesso aveva instaurato.
Non si tratta quindi, in questa sede, neppure di interpretare la portata soggettiva del giudicato esterno, ma solo di prendere atto dell’esplicita delimitazione alla persona fisica di NOME COGNOME ,che dalla stessa decisione irrevocabile emerge univocamente. Tanto, ovviamente, a prescindere da ogni considerazione sulla
legittimazione, del soggetto cui è stato meramente notificato l’atto, ad impugnare quest’ultimo, legittimazione riconosciuta ormai irrevocabilmente nel giudizio che ha generato la sentenza irrevocabile.
Pertanto, la sentenza sulla quali si fonda l’eccezione di giudicato esterno non è stata emessa nei confronti della società attuale ricorrente. Tanto premesso, deve allora ricordarsi che l’efficacia di giudicato esterno (non ricorrendo la fattispecie di cui all’art. 1306 cod. civ, non allegata dalla ricorrente e non emergente dalla decisione irrevocabile, né da quella qui impugnata): cfr. Cass. 13/01/2011, n. 691; Cass. 02/12/2015, n. 24558; Cass. 17/05/2017, n. 12252) presuppone necessariamente che la decisione divenuta irrevocabile sia stata emessa all’esito di un procedimento svoltosi tra le stesse parti ( ex plurimis : Cass., Sez. U, 16/06/2006, n. 13916; Cass. 07/12/2021, n. 38950; Cass. 24/05/2022, n. 16684; Cass. 15/09/2008, n. 23658).
Ferma tale premessa, deve peraltro aggiungersi che, anche sotto il profilo oggettivo, la stessa fattispecie che nella decisione irrevocabile ha condotto (correttamente o meno) alla dichiarazione di nullità degli avvisi d’accertamento non si estende necessariamente all’attuale ricorrente, destinataria della pretesa impositiva. Invero, gli avvisi d’accertamento in questione, secondo la sentenza qui impugnata, riguardano l’Ires e l’Irap, mentre secondo il controricorso riguarderebbero anche l’Iva.
Ai fini RAGIONE_SOCIALE imposte dirette (ma comunque anche ai fini I.v.a.: cfr. Cass. 05/05/2021, n. 11685), l’applicazione, nei confronti della ricorrente (non genericamente del contraddittorio endoprocedimentale, ma specificamente) del termine dilatorio di cui all’art. 12, co.7, della legge n. 212 del 2000 presuppone che vi sia stata un accesso ( non menzionato invero nella sentenza irrevocabile emessa nei confronti della persona fisica NOME COGNOME) e che tale accesso sia avvenuto presso la contribuente, attuale ricorrente. Ed anche ove tale accesso fosse avvenuto, l’accertamento della verifica della tempestività o meno dell’emissione degli avvisi, per quanto riguarda l’attuale contribuente ricorrente, presupporrebbe comunque la verifica RAGIONE_SOCIALE date di rilascio a quest’ultima della copia del processo verbale di chiusura RAGIONE_SOCIALE operazioni da parte degli organi di controllo e di emanazione degli avvisi di accertamento.
In difetto dell’accesso, peraltro, il contraddittorio preventivo non sarebbe generalmente obbligatorio in materia di tributi non armonizzati e, quanto ai tributi armonizzati, presupporrebbe la c.d. prova di resistenza.
Ebbene, tutti tali elementi oggettivi (l’eventuale accesso, le coordinate temporali che determinano il rispetto del termine, la prova di resistenza), da prendere eventualmente
in considerazione nei confronti dell’attuale contribuente, non sono necessariamente coincidenti (neppure ove siano coincidenti i relativi atti impositivi) con quelli pertinenti il solo NOME COGNOME, oggetto dell’eccepito giudicato, potendo essersi verificati o meno, in tempi non necessariamente identici, nei confronti dell’una o dell’altro. Sicché, in aggiunta alla portata soggettiva del giudicato, neppure quella oggettiva, per come risulta dalla relativa sentenza irrevocabile, appare decisiva in questa sede.
Non a caso, del resto, la stessa ricorrente ripropone espressamente la questione relativa al rispetto, specificamente nei suoi confronti, del termine di cui all’art. 12, co.7, della legge n. 212 del 2000, con il nono ed il decimo motivo di ricorso, nei termini di omessa pronuncia e/o di difetto assoluto di motivazione della sentenza impugnata sul punto, con censure che sarebbero altrimenti prive di senso logico e rilevanza, ove il dedotto giudicato esterno si estendesse alla fattispecie qui controversa.
2. Con il primo motivo di ricorso, la contribuente deduce « Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 5, commi 1, 2 e 5, della Convenzione Italia-Romania, ratificata con l. n. 18 ottobre 1978, n. 680 e/o dell’art. 162, commi 1, 2 e 7, d.p.r. n. 917 del 1986 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.: l’utilizzo di intermediari da parte del soggetto non residente non determina alcuna stabile organizzazione in Italia ed anzi la esclude.».
Invero, dopo una prima (ampia) parte nella quale il mezzo si limita a riprodurre la tesi del ricorrente nei giudizi di merito, nel seguito la censura di violazione di legge appare sufficientemente specifica e fondata, nei termini che seguono.
In effetti, per quanto riguarda la norma applicabile ed applicata ai fini della decisione, la sentenza impugnata non individua espressamente alcuna disposizione, né sono idonei a tal fine i riferimenti impliciti (generici ed ambigui) ad orientamenti giurisprudenziali non meglio identificati.
Va allora ricordato (seguendo la traccia di Cass. 14/12/2022, n. 36679, in motivazione, al punto 3) che la stabile organizzazione, istituto di origine convenzionale, ha ricevuto una disciplina compiuta nell’ordinamento interno a seguito RAGIONE_SOCIALE modifiche apportate dal d.gs. 12.12.2003, n. 344 all’art. 162 d.P.R. 22.12.1986, n. 917, il quale, nella versione applicabile ratione temporis (ovvero nella versione precedente alla novella introdotta dall’art. 1 della legge del 27/12/2017, n. 205, conseguente alla modifica, nel 2017, del modello Ocse), nel sesto e nel settimo comma, che qui interessano, così dispone:
« 6. Nonostante le disposizioni dei commi precedenti e salvo quanto previsto dal comma 7, costituisce una stabile organizzazione dell’impresa di cui al comma 1 il soggetto,
residente o non residente, che nel territorio dello Stato abitualmente conclude in nome dell’impresa stessa contratti diversi da quelli di acquisto di beni.
Non costituisce stabile organizzazione dell’impresa non residente il solo fatto che essa eserciti nel territorio dello Stato la propria attività per mezzo di un mediatore, di un commissionario generale, o di ogni altro intermediario che goda di uno status indipendente, a condizione che dette persone agiscano nell’ambito della loro ordinaria attività.».
2.1. La convenzione tra la Repubblica Italiana e la Repubblica socialista di Romania per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio e per prevenire le evasioni fiscali, con allegato Protocollo, firmata a Bucarest il 14 gennaio 1977, ratificata con la legge del 18/10/1978 n. 680 ed in vigore a livello internazionale dal 6 febbraio 1979, ratione temporis applicabile, dispone all’art. 5, in materia di stabile organizzazione (per quanto qui possa interessare):
« Ai fini della presente Convenzione, l’espressione “stabile organizzazione” designa una sede fissa di affari in cui l’impresa esercita in tutto o in parte la sua attività.
L’espressione “stabile organizzazione” comprende in particolare:
una sede di direzione;
una succursale;
Non si considera che vi sia una “stabile organizzazione” se:
una sede fissa di affari è utilizzata, per l’impresa, ai soli fini di pubblicità, di fornire informazioni, di ricerche scientifiche o di attività analoghe che abbiano carattere preparatorio o ausiliario.
Una persona che agisce in uno Stato contraente per conto di un’impresa dell’altro Stato contraente – diversa da un agente che goda di uno status indipendente, di cui al paragrafo 5 – e’ considerata “stabile organizzazione” nel primo Stato se dispone nello Stato stesso di poteri che esercita abitualmente e che le permettano di concludere contratti a nome dell’impresa, salvo il caso in cui l’attività di detta persona sia limitata all’acquisto di merci per l’impresa.
Non si considera che un’impresa di uno Stato contraente ha una stabile organizzazione nell’altro Stato contraente per il solo fatto che essa vi esercita la propria attività per mezzo di un mediatore, di un commissionario generale o di ogni altro
intermediario che goda di uno status indipendente, a condizione che dette persone agiscano nell’ambito della loro ordinaria attività.
6) Il fatto che una società residente di uno Stato contraente controlli o sia controllata da una società residente dell’altro Stato contraente ovvero svolga la sua attività in questo altro Stato (sia per mezzo di una stabile organizzazione oppure no) non costituisce di per sé motivo sufficiente per fa considerare una qualsiasi RAGIONE_SOCIALE dette società una stabile organizzazione dell’altra.
Quanto al rapporto tra le due fonti appena richiamate, deve sottolinearsi che quella convenzionale, a sua volta conforme al modello Ocse di convenzione tra gli Stati in materia di doppia imposizione, preesisteva al d.lgs. n. 344 del 2003, che ha introdotto nel t.u.i.r . l’art. 162 ante riprodotto, dando attuazione all’art. 4, comma 1, lettera a), della legge delega 7 aprile 2003, n. 80, che prevedeva l’introduzione della nozione interna di stabile organizzazione, prescrivendone l’elaborazione «sulla base dei criteri desumibili dagli accordi internazionali contro le doppie imposizioni».
È quindi evidente la relazione di circolarità che, nella definizione e nell’interpretazione della nozione di stabile organizzazione, lega la norma interna di cui all’art. 162 d.P.R. n. 917 del 1986, già modellata sui criteri convenzionali, alla specifica singola previsione convenzionale e, pertanto, agli strumenti che sono di ausilio all’interpretazione di quest’ultima (in particolare il modello di convenzione ed il relativo commentario Ocse). Fermo restando, comunque, che (come rilevato da Cass. 20/11/2019, n. 30140, in motivazione) le convenzioni, una volta recepite nel nostro ordinamento interno con legge di ratifica, acquistano il valore di fonte primaria, ai sensi dell’art.10, comma 1, Cost. (che prevede il sistema di adattamento dell’ordinamento italiano alle norme del diritto internazionale) e dell’art.117 Cost. (che prevede l’obbligo comune dello Stato e RAGIONE_SOCIALE Regioni di conformarsi ai vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario ed agli obblighi internazionali), come peraltro ribadito, nella materia tributaria, anche dall’art. 75 del d.P.R. n. 600 del 1973 («nell’applicazione RAGIONE_SOCIALE disposizioni concernenti le imposte sui redditi, sono fatti salvi accordi internazionali resi esecutivi in Italia») e dall’art. 169 del d.P.R. n. 917 del 1986 ( per il quale le disposizioni dello stesso t.u. «si applicano, se più̀ favorevoli al contribuente, anche in deroga agli accordi internazionali contro la doppia imposizione»).
Sulla base di queste ultime norme, quindi, questa Corte (Cass. 19/01/2009, n. 1138; Cass. 15/7/2016, n. 14474) ha non solo affermato il principio generale che le convenzioni, per il carattere di specialità̀ del loro ambito di formazione, così come le
altre norme internazionali pattizie, prevalgono sulle corrispondenti norme nazionali, dovendo la potestà̀ legislativa essere esercitata nei vincoli derivanti, tra l’altro, dagli obblighi internazionali (art. 117 Cost., comma 1, nel testo di cui alla legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3, art. 3); ma ha anche specificato che, in materia d’imposte sul reddito, le norme pattizie derivanti da accordi tra gli Stati prevalgono, attesane la specialità̀ e la ratio di evitare fenomeni di doppia imposizione, su quelle interne (Cass. 24/11/2016, n. 23984).
È utile peraltro ricordare che, come è stato affermato in dottrina ed in giurisprudenza (Cass.22/01/2021, n. 1301, in motivazione), «il concetto di stabile organizzazione assume una funzione e una definizione diverse nei due settori di imposizione. Nell’ambito RAGIONE_SOCIALE imposte dirette, la qualificazione non è univoca, ma lasciata agli accordi stipulati tra gli Stati nelle convenzioni bilaterali. La stabile organizzazione è una struttura materiale o personale riferibile al soggetto non residente e costituisce il presupposto rilevante ai fini della competenza territoriale per l’imposizione. Nel settore dell’I.V.A., imposta armonizzata in ambito comunitario, prevale l’esigenza di semplificare e di rendere univoca la definizione della competenza territoriale; nel caso in cui l’attribuzione del gettito agli Stati è regolata in base al criterio generale della ubicazione del prestatore, rileva il luogo in cui questi ha stabilito la sede. Nelle diverse tipologie di cessione di beni e prestazioni di servizi – è bene sottolinearlo – la competenza territoriale non è disciplinata esclusivamente sul presupposto della presenza del soggetto passivo nel territorio dello Stato, e ciò̀ costituisce una ulteriore differenza rispetto al sistema RAGIONE_SOCIALE imposte dirette».
2.2. Ebbene, di accertamento specifico e concreto della materiale ‘sede fissa d’affari affari in cui l’impresa esercita in tutto o in parte la sua attività’, di cui alla citata fonte pattizia, non si occupa effettivamente la CTR (se non per affermare apoditticamente che non può dubitarsi che sia in Italia), mentre avrebbe dovuto svolgere il place of business test, or location test (per individuare il luogo, nel territorio nazionale, ben circoscritto, in cui si svolge, in tutto o in parte, l’attività).
Il riferimento alla ‘direzione’ (che dovrebbe essere il luogo in cui vengono, di fatto, prese decisioni e direttive significative ai fini della complessiva attività, anche se con il limite dell’area geografica d’azione) coincide, nell’accertamento espresso dalla CTR, solo con l’affermazione che la RAGIONE_SOCIALE operava in Italia tramite ‘broker grossisti’ riconducibili al COGNOME, ma incentra l’attenzione non sulla società di cui quest’ultimo sarebbe amministratore di fatto (che dovrebbero in ipotesi integrare la
stabile organizzazione materiale), ma sui terzi brokers , senza comunque approfondire nei confronti di nessuno di tali soggetti se ricorrano o meno in concreto le condizioni di cui al comma 5 della disposizione convenzionale.
Tale omissione appare tanto più rilevante a fronte di specifici dati istruttori e deduzioni invocati, sul punto del rapporto con i brokers , dalla contribuente e, comunque, anche in considerazione del Commentario OCSE all’art. 5 del Modello di convenzione che, al par. 39, contempla la possibilità che in concreto le assicurazioni non residenti svolgano attività d’impresa senza necessariamente integrare la stabile organizzazione, tanto da prevedere invece la possibilità che talune RAGIONE_SOCIALE Convenzioni contro le doppie imposizioni (alcune anche siglate dall’Italia, ma non quella con la Romania), in aderenza a quanto previsto piuttosto dal Modello di Convenzione ONU, contengano invece una disposizione speciale intesa proprio ad individuare l’esistenza di una stabile organizzazione per il fatto stesso che un’impresa di assicurazioni di uno Stato contraente, attraverso propri agenti, raccolga premi nel territorio dell’altro Stato contraente, ovvero assicuri rischi situati sul territorio di detto altro Stato.
2.3. Il riferimento ai brokers ed al COGNOME, oltre che alla circostanza che questi ultimi operavano in Italia senza la necessità di sindacato effettivo da parte della s.RAGIONE_SOCIALE, alimenta poi la confusione (denunziata in altri motivi del ricorso) generata dalla CTR tra stabile organizzazione materiale o personale.
Infatti, la stabile organizzazione personale è struttura permanente che opera nel territorio dello Stato in nome dell’impresa estera concludendo contratti diversi da quelli di acquisto di beni, salvo il caso del mandatario senza rappresentanza o dell’agente indipendente che opera nell’ambito dei propri affari, i quali non costituiscono mai una stabile organizzazione trattandosi di soggetti distinti ed autonomi dall’impresa madre. Anche la stabile organizzazione materiale è permanente, differenziandosi per il fatto che essa richiede un elemento oggettivo strutturale, l’accertamento di una sede fissa d’affari, che è nella stabile organizzazione personale non è indispensabile (sebbene potrebbe sussistere in concreto).
Le due fattispecie sono considerate alternative e non cumulative sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza ( v. Cass. 09/04/2010, n. 8488 e Cass. 29/04/2016, n. 8543, per cui non è necessaria la loro coesistenza).
2.4. Il riferimento della CTR alla presunzione relativa che deriverebbe dal controllo tra s.a. e stabile organizzazione è poi in contrasto con il comma 6 dell’art. 5 della convenzione e pare piuttosto tratto dall’art. 73, co. 5bis , t.u.i.r ., che però riguarda
i criteri di individuazione dei soggetti passivi dell’imposizione nazionale e la residenza. Ma residenza ed esterovestizione sono concetti diversi da s.o. e antitetici: è stato osservato in dottrina come la nozione di stabile organizzazione sia ‘ontologicamente’ incompatibile con quella di residenza, dal momento che la prima assume rilievo solo ai fini dell’imposizione dei soggetti non residenti, vale a dire di soggetti che non hanno nel territorio dello Stato il proprio oggetto principale. Dunque residenza ed ‘esterovestizione’ presuppongono l’accertamento in fatto che la società contribuente sia residente nel territorio italiano (ove effettivamente conduca la propria impresa principale o abbia la sede della propria amministrazione); mentre la stabile organizzazione presuppone la non residenza nello stato della società contribuente, che abbia all’estero il proprio oggetto principale.
Certamente una stabile organizzazione personale può essere integrata, in punto di fatto, non solo da una persona fisica, ma anche da una società, ancorché dotata di personalità giuridica (come si desume a contrario della cosiddetta anti-single entity clause , di cui all’art. 5, par . 7, del Modello OCSE, ove è previsto che l’esistenza di una società sussidiaria non costituisce di per sé una stabile organizzazione della controllante; in tal senso anche le precisazioni recate ai punti 40 e 41 del commento all’art. 5 del Commentario al Modello OCSE; v. pure Cass. Sez. 5, Sentenza n. 7682 del 25/05/2002). Ed anche l”amministratore di fatto’ della società estera può integrare, ricorrendone le condizioni, la figura dell’agente dipendente che realizza una s.o.p. (v. Cass. 8.10.2020, n. 21693, in motivazione, in tema di Iva). Ma, nel caso di specie CTR non distingue puntualmente, né in fatto né in diritto, alcuna di tali differenti fattispecie.
2.5. Anche l’art. 162 t.u.i.r. potrebbe in astratto applicarsi, ma solo ove più conveniente per la contribuente, ai sensi dell’ art. 75 del d.P.R. n. 600 del 1973 («nell’applicazione RAGIONE_SOCIALE disposizioni concernenti le imposte sui redditi, sono fatti salvi accordi internazionali resi esecutivi in Italia») e dell’ art. 169 del d.P.R. n. 917 del 1986 ( per il quale le disposizioni dello stesso T.U. «si applicano, se più̀ favorevoli al contribuente, anche in deroga agli accordi internazionali contro la doppia imposizione»; cfr . Cass. 20/11/2019, n. 30140, cit., in motivazione, , punto 5.9 e giurisprudenza ivi richiamata).
Secondo l’art. 162 t.u.i.r.:
Fermo restando quanto previsto dall’articolo 169, ai fini RAGIONE_SOCIALE imposte sui redditi e dell’imposta regionale sulle attivita’ produttive di cui al decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, l’espressione “stabile organizzazione” designa una sede fissa di affari per
mezzo della quale l’impresa non residente esercita in tutto o in parte la sua attività sul territorio dello Stato.
L’espressione “stabile organizzazione” comprende in particolare:
una sede di direzione;
una succursale;
un ufficio;
Una sede fissa di affari non e’, comunque, considerata stabile organizzazione se:
viene utilizzata una installazione ai soli fini di deposito, di esposizione o di consegna di beni o merci appartenenti all’impresa;
i beni o le merci appartenenti all’impresa sono immagazzinati ai soli fini di deposito, di esposizione o di consegna;
i beni o le merci appartenenti all’impresa sono immagazzinati ai soli fini della trasformazione da parte di un’altra impresa;
una sede fissa di affari e’ utilizzata ai soli fini di acquistare beni o merci o di raccogliere informazioni per l’impresa;
viene utilizzata ai soli fini di svolgere, per l’impresa, qualsiasi altra attivita’ che abbia carattere preparatorio o ausiliario;
viene utilizzata ai soli fini dell’esercizio combinato RAGIONE_SOCIALE attivita’ menzionate nelle lettere da a) ad e), purche’ l’attivita’ della sede fissa nel suo insieme, quale risulta da tale combinazione, abbia carattere preparatorio o ausiliario.
Oltre a quanto previsto dal comma 4 non costituisce di per sé stabile organizzazione la disponibilita’ a qualsiasi titolo di elaboratori elettronici e relativi impianti ausiliari che consentano la raccolta e la trasmissione di dati ed informazioni finalizzati alla vendita di beni e servizi.
Nonostante le disposizioni dei commi precedenti e salvo quanto previsto dal comma 7, costituisce una stabile organizzazione dell’impresa di cui al comma 1 il soggetto, residente o non residente, che nel territorio dello Stato abitualmente conclude in nome dell’impresa stessa contratti diversi da quelli di acquisto di beni.
Non costituisce stabile organizzazione dell’impresa non residente il solo fatto che essa eserciti nel territorio dello Stato la propria attivita’ per mezzo di un mediatore, di un commissionario generale, o di ogni altro intermediario che goda di uno status indipendente, a condizione che dette persone agiscano nell’ambito della loro ordinaria attivita’.
9. Il fatto che un’impresa non residente con o senza stabile organizzazione nel territorio dello Stato controlli un’impresa residente, ne sia controllata, o che entrambe le imprese siano controllate da un terzo soggetto esercente o no attivita’ d’impresa non costituisce di per se’ motivo sufficiente per considerare una qualsiasi di dette imprese una stabile organizzazione dell’altra.
Fermo restando, tuttavia, che difetta totalmente nella motivazione della sentenza impugnata ( e nelle stesse allegazioni di parte ricorrente) la considerazione della maggior convenienza di tale ultima disciplina, in ogni caso, per quanto qui rileva in concreto, la motivazione in diritto della CTR sulla sussistenza della stabile organizzazione presenterebbe comunque le medesime carenze se pure fosse vagliata ai sensi dell’art. 162 t.u.i.r., invece che dell’art. 5 della convenzione (come deve essere).
3. Con il secondo motivo, la contribuente deduce « Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 5, commi 1, 2 e 5, della Convenzione Italia-Romania, ratificata con 1. n. 18 ottobre 1978, n. 680 e/o dell’art. 162, commi 1, 2 e 7, d.p.r. n. 917 del 1986 nonché dell’art. 73, commi 3, 5-bis e 5-ter, d.p.r. n. 917 del 1986, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.: la Commissione ha ritenuto sussistente la stabile organizzazione perché la società ricorrente sarebbe “esterovestita”.
Il motivo è fondato, è palese la confusione di CTR tra i due fenomeni (residenza ed esterovestizione da un lato, stabile organizzazione dall’altro), tra loro ontologicamente incompatibili, come ante rilevato.
Con il terzo motivo, la contribuente deduce « Violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. per extra-petizione. La sentenza pare essersi pronunciata in punto di stabile organizzazione cd. “personale” mai contestata nell’avviso di accertamento.». Il motivo è assorbito dall’accoglimento del primo.
5. Con il quarto motivo, la contribuente deduce « Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 42, comma 2, d.p.r. n. 600 del 1973 nonché dell’art. 7, comma 1, 1. n. 212 del 2000, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. nella parte in cui la sentenza ha deciso su un profilo (stabile organizzazione personale) non contenuto nella motivazione degli avvisi di accertamento così inammissibilmente integrandola in giudizio.».
Anche questo motivo è assorbito dall’accoglimento del primo.
6. Con il quinto motivo, la contribuente deduce « Violazione dell’art. 36, comma 4, d.lgs. n. 546 del 1992, in merito all’individuazione della asserita stabile
organizzazione in Italia della ricorrente, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.». Per tutte le ragioni già esposte sull’assenza, nella sentenza impugnata, di una qualificazione univoca, fattuale e giuridica, della fattispecie; per le contraddizioni tra possibili inquadramenti che sono invece tra loro incompatibili e per il tono ripetutamente assertivo ed apodittico («di tutta evidenza», «senza dubbio», «non può assolutamente dubitarsi»), già evidenziate a proposito del primo motivo, anche il quinto motivo va accolto, sussistendo, in parte qua , il vizio assoluto di motivazione denunziato.
Con il sesto motivo, la contribuente deduce «Violazione dell’art. 36, comma 4, d.lgs. n. 546 del 1992 in merito alla qualificazione del sig. COGNOME come amministratore di fatto della asserita stabile organizzazione ovvero ancora come stabile organizzazione personale dell’odierna ricorrente, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.».
Incentrandosi la censura, sostanzialmente, sulla carenza assoluta di motivazione in ordine all’inquadramento, fattuale e giuridico, RAGIONE_SOCIALE ragioni della riconducibilità alla ricorrente dell’attività imprenditoriale in questione, e coinvolgendo necessariamente tale carenza anche il ruolo gestorio di fatto attribuito con tono assertivo ed apodittico («di tutta evidenza», «senza dubbio», «non può assolutamente dubitarsi»), dalla sentenza impugnata al COGNOME, questo motivo resta assorbito dall’accoglimento del quinto.
Con il settimo motivo, la contribuente deduce « Nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., omessa pronuncia in merito al motivo della nullità dell’avviso di accertamento per grave carenza di contraddittorio: la RAGIONE_SOCIALE non è stata avvisata RAGIONE_SOCIALE operazioni di verifica, né è stata posta in condizioni di parteciparvi e di controdedurre, anche in relazione alla omessa notifica del processo verbale di constatazione alla esponente.»
Con l’ottavo motivo, la contribuente deduce « In subordine rispetto al motivo precedente: violazione dell’art. 36, comma 4, d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c..».
9.1. I due motivi vanno trattati congiuntamente per la loro connessione. Il settimo è infondato, configurandosi un rigetto implicito dell’eccezione in questione in appello, come rivelato dal passaggio della sentenza impugnata alla decisione sul merito della lite. Va tuttavia accolto l’ottavo motivo, per difetto assoluto di motivazione sul punto: a fronte di autosufficiente indicazione della ricorrente sulla proposizione e
riproposizione nel merito dell’eccezione, la CTR si è disinteressa totalmente di trattare la questione nella motivazione, sicché al logico rigetto implicito non corrisponde alcuna motivazione, neppure evincibile implicitamente dal resto del complesso della decisione.
Con il nono motivo, la contribuente deduce «Nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c., omessa pronuncia in merito al motivo del mancato rispetto del termine di 60 giorni di cui all’art. 12, comma 7, 1. n. 212 del 2000, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c..».
Con il decimo motivo, la contribuente deduce « In subordine rispetto al motivo precedente: violazione dell’art. 36, comma 4, d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c..».
11.1. I due motivi vanno trattati congiuntamente per la loro connessione. Il nono è infondato, configurandosi un rigetto implicito dell’eccezione in questione in appello, come rivelato dal passaggio della sentenza impugnata alla decisione sul merito della lite. Va tuttavia accolto il decimo motivo, per difetto assoluto di motivazione sul punto, poiché al logico rigetto implicito non corrisponde alcuna motivazione, neppure evincibile implicitamente dal resto del complesso della decisione.
Con l’undicesimo motivo, la contribuente deduce « Nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c., omessa pronuncia in merito al motivo della carenza di motivazione degli avvisi di accertamento per omessa allegazione del p.v.c. e per mancata esplicitazione RAGIONE_SOCIALE ragioni giuridiche e dei presupposti in fatto e degli elementi di prova fondanti il recupero impositivo, in relazione all’art.360, comma 1, n. 4, c.p.c.».
Con il dodicesimo motivo, la contribuente deduce « In subordine rispetto al motivo precedente: violazione dell’art. 36, comma 4, d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c..».
13.1. I due motivi vanno trattati congiuntamente per la loro connessione. L’undicesimo è infondato, configurandosi un rigetto implicito dell’eccezione in questione in appello, come rivelato dal passaggio della sentenza impugnata alla decisione sul merito della lite. Va tuttavia accolto il dodicesimo motivo, per difetto assoluto di motivazione sul punto, poiché al logico rigetto implicito non corrisponde alcuna motivazione, neppure evincibile implicitamente dal resto del complesso della decisione.
Con il tredicesimo motivo, la contribuente deduce « Nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c., omessa pronuncia in merito al motivo di illegittimità dell’avviso di accertamento in quanto intestato
direttamente nei confronti della stabile organizzazione come se questa fosse autonomo soggetto passivo d’imposta, soggetto comunque estinto a far data dal 2 luglio 2012, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c..».
Con il quattordicesimo motivo, la contribuente deduce « In subordine rispetto al motivo precedente: violazione dell’art. 36, comma 4, d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.».
15.1. I due motivi vanno trattati congiuntamente per la loro connessione. Il tredicesimo è infondato, configurandosi un rigetto implicito dell’eccezione in questione in appello, come rivelato dal passaggio della sentenza impugnata alla decisione sul merito della lite. Va tuttavia accolto il quattordicesimo motivo, per difetto assoluto di motivazione sul punto, poiché al logico rigetto implicito non corrisponde alcuna motivazione, neppure evincibile implicitamente dal resto del complesso della decisione (dato quanto premesso in sede di decisione sul primo motivo e su quelli ulteriori sinora già accolti).
Con il quindicesimo motivo, la contribuente deduce « Nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c., omessa pronuncia in merito al motivo della nullità dell’avviso di accertamento 2008 per difetto di sottoscrizione del capo dell’Ufficio o di altro funzionario da lui delegato e violazione dell’art. 42, c. 1, d.p.r. n. 600 del 1973 e dell’art. 17, comma 1-bis, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c..».
Con il sedicesimo motivo, la contribuente deduce « In subordine rispetto al motivo precedente: violazione dell’art. 36, comma 4, d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.».
17.1. I due motivi vanno trattati congiuntamente per la loro connessione.
Il quindicesimo è infondato, configurandosi un rigetto implicito dell’eccezione in questione in appello, come rivelato dal passaggio della sentenza impugnata alla decisione sul merito della lite. Va tuttavia accolto il sedicesimo motivo, per difetto assoluto di motivazione sul punto, poiché al logico rigetto implicito non corrisponde alcuna motivazione, neppure evincibile implicitamente dal resto del complesso della decisione).
Con il diciassettesimo motivo, la contribuente deduce « Nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c., omessa pronuncia in merito al motivo di nullità dell’avviso di accertamento perché non è mai esistita alcuna stabile organizzazione presso l’indirizzo indicato nell’avviso di accertamento né
tantomeno amministrata dal sig. COGNOME NOME, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.».
Con il diciottesimo motivo, la contribuente deduce « In subordine rispetto al motivo precedente: violazione dell’art. 36, comma 4, d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.».
19.1. I due motivi, da trattare congiuntamente per la loro connessione, sono inammissibili, essendo sostanzialmente motivi di merito, che riguardano peraltro non tanto la validità dell’accertamento, quanto la ricostruzione in fatto ed in diritto della fattispecie. Del resto, la sostanza RAGIONE_SOCIALE relative censure, sotto il profilo della violazione di legge e del preteso difetto assoluto di motivazione in ordine alla fattispecie impositiva, è già oggetto autonomo RAGIONE_SOCIALE precedenti censure di cui ai motivi sinora accolti, in particolate il primo ed il secondo.
Con il diciannovesimo motivo, la contribuente deduce «Nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c., omessa pronuncia in merito ai motivi relativi alla inesistenza e/o nullità insanabile della notifica degli avvisi di accertamento, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.».
Il motivo va rigettato, configurandosi un rigetto implicito dell’eccezione in questione in appello, come rivelato dal passaggio della sentenza impugnata alla decisione sul merito della lite.
Con il ventesimo motivo, la contribuente deduce « Nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c., omessa pronuncia in merito al motivo di ricorso relativo all’illegittima quantificazione dei ricavi e dei costi attribuibili alla stabile organizzazione per violazione dell’art. 7, comma 2, Convenzione contro la doppia imposizione Italia-Romania ratificata con 1. n. 18 ottobre 1978, n. 680 oltreché alla violazione del principio di non discriminazione dei soggetti non residenti di cui all’art. 26, comma 2 della predetta Convenzione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.».
Con il ventunesimo motivo, la contribuente deduce « Nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c., omessa pronuncia in merito al motivo di illegittimità RAGIONE_SOCIALE sanzioni amministrative per inesistenza del soggetto a cui sono state irrogate, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.».
Con il ventiduesimo motivo, la contribuente deduce «Nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c., omessa pronuncia
in merito al motivo di illegittimità RAGIONE_SOCIALE sanzioni amministrative per obiettiva incertezza normativa, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.».
23.1. Il ventesimo, il ventunesimo ed il ventiduesimo motivo sono assorbiti dall’accoglimento dei precedenti motivi relativi all’ an della fattispecie impositiva controversa.
Con il ventitreesimo motivo, la contribuente deduce «Richiesta di applicazione dello ius superveniens: art. 1, comma 2, d.lgs. n. 471 del 1997 così come modificato rispettivamente dall’art. 15, comma 1, lett. a) e comma 1, lett. e) n. 3, d.lgs. n. 158 del 2015, in vigore dall’ 1 gennaio 2016 a seguito RAGIONE_SOCIALE modifiche operate dall’art. 1, comma 133, 1. n. 208 del 2015 all’art. 32, comma 1, d.lgs. n. 158 del 2015.».
24.1. Il motivo rimane assorbito a seguito dell’accoglimento dei precedenti motivi relativi all’ an della fattispecie impositiva controversa, sarà eventualmente il giudice del rinvio ad applicare lo ius superveniens , ove ne ricorrano i presupposti. 25. Tutti i motivi accolti comportano la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio al giudice del merito.
PQM
Accoglie i motivi primo, secondo, quinto, ottavo, decimo, dodicesimo, quattordicesimo e sedicesimo; rigetta il settimo, il nono, l’undicesimo, il tredicesimo, il quindicesimo ed il diciannovesimo; dichiara inammissibili il diciassettesimo ed il diciottesimo; dichiara assorbiti il terzo, il quarto, il quinto, il sesto, il ventesimo, il ventunesimo, il ventiduesimo ed il ventitreesimo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 3 aprile 2024