Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 992 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 992 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/01/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 22612/2016 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME (CODICE_FISCALE), NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
sul controricorso incidentale proposto da RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME (CODICE_FISCALE), NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente incidentale- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. MILANO n. 3394/2016 depositata il 08/06/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/12/2023 dal Co: COGNOME NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero nella persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e l’improcedibilità del ricorso incidentale condizionato; uditi per le parti l’ avvocato dello Stato NOME COGNOME per l’Agenzia e gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME per la società.
FATTI DI CAUSA
All’esito delle attività ispettive della Guardia di finanza contenute nel processo verbale di constatazione del 31 gennaio 2012, emergeva che la società holding di diritto elvetico RAGIONE_SOCIALE deteneva l’intero capitale sociale della portoghese RAGIONE_SOCIALE nonché dell’italiana RAGIONE_SOCIALE oltre ad altre due società lussemburghesi. Non è controverso in atti che la società italiana agisca da commissionaria della società portoghese e commercializzi i prodotti a marchio RAGIONE_SOCIALE in territorio italiano; la società
portoghese acquista i prodotti dalle società afferenti al gruppo e produttrici di orologi, seppure la merce venga spedita direttamente dalla Svizzera alla società italiana che li commercializza, vendendoli in Italia in nome proprio, ma per conto della società portoghese da cui li ha acquistati. Importatore risulta la società portoghese che agisce e ottempera agli adempimenti fiscali connessi alle operazioni doganali tramite rappresentante in Italia.
Di qui, l’Ufficio riteneva sussistere una stabile organizzazione della società elvetica in Italia per il tramite della società italiana sotto il profilo soggettivo e oggettivo argomentando che l’italiana dipende giuridicamente dalla holding Svizzera che ne ha il controllo totale, detenendo l’intero capitale sociale e il coordinamento complessivo, tramite persone della holding nel consiglio di amministrazione della società italiana e con continuo controllo di dati ed informazioni via mail con spessore invasivo. La società italiana diventa pertanto una mera struttura di gestione della controllante e senza rappresentanza autonoma, la società italiana non ha potere nelle fasi conclusive di contratti di franchising che sono stipulati dalla holding Svizzera anche se l’attività prodromica è posta in essere e sostenuta economicamente dalla società italiana. I rapporti tra le società in argomento sono contrattualizzati e tutti prevedono il foro esclusivo di Zurigo in caso di contrasti. La società italiana dipende economicamente dalla holding elvetica, non avendo rischio imprenditoriale in quanto agisce come commissionaria della società portoghese e la holding decide il prodotto, il prezzo di vendita e le altre scelte operative con un controllo che non è meramente di strategia di gruppo, ma diviene di scelta imprenditoriale individuale. Infine, la società italiana dipende finanziariamente dalla holding attesa la sussistenza di una tesoreria centralizzata e la gestione dei flussi di cassa tramite le società finanziarie lussemburghesi ivi compresi le compensazioni debiti -crediti imposti alla società italiana. Inoltre, la holding elvetica
già detiene un controllo totalitario sull’italiana e sulla società portoghese, ma manifesta il suo potere anche sulle altre società del gruppo, tra cui quelle produttrici di orologi. La società portoghese ha sede nell’isola di Madeira e gode di un regime fiscale particolarmente agevolato, mentre la società italiana non eroga dividendi e deve avere un’immagine uniforme e imposta dal gruppo.
Dal pvc scaturivano distinti avvisi di accertamento per gli anni di imposta dal 2001 al 2010 tutti impugnati dalla società elvetica le cui ragioni non trovavano apprezzamento davanti al collegio di primo grado che confermava la ripresa a tassazione affermando che la holding elvetica opera come una stabile organizzazione occulta in Italia e, come tale, è il soggetto legittimato a ricevere l’imposizione fiscale contestata sia ai termini dell’articolo 162, dPR 917/1986, sia in base alla convenzione O.C.S.E., a sua volta richiamata dalla convenzione Italo elvetica sulle doppie imposizioni.
Più precisamente i giudici di prime cure ritenevano sussistente la stabile organizzazione dalla pianificazione fiscale sottostante all’accordo posto in essere per evitare l’imposizione fiscale in Italia, attraverso l’allocamento dei costi solo sulla società italiana che così raggiunge un minimo vantaggio economico a beneficio della holding elvetica e della società portoghese la quale gode di regime fiscale privilegiato, il tutto riscontrato dai prospetti redatti dall’Erario anche utilizzando criteri secondo il cosiddetto metodo del transfer price .
Ai fini del giudizio occorre evidenziare che secondo i giudici di primo grado i redditi oggetto di contestazione sono diversi da quelli dichiarati e tassati dalla società italiana che sono frutto della mera provvigione delle vendite che sono gestite direttamente dalla holding elvetica e quindi il soggetto di diritto fiscale occulto accertato è chiamato a pagare le imposte per i ricavi conseguiti
dalla commercializzazione in Italia dei suoi prodotti direttamente tramite fittizia società portoghese.
Interponeva appello la holding elvetica trovando apprezzamento presso il collegio di secondo grado che riteneva carenti presupposti per il raddoppio dei termini in presenza di fatti astrattamente costituenti reato e più radicalmente insussistente la stabile organizzazione in Italia. Donde ricorre per Cassazione l’erario, affidandosi a tre mezzi, cui replica con tempestivo contro ricorso il contribuente, interponendo altresì ricorso incidentale affidato a due motivi.
In prossimità dell’adunanza ha depositato conclusioni scritte in forma di memoria il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME affermando la fondatezza del primo motivo, ma concludendo per il rigetto del ricorso per inammissibilità o infondatezza del secondo e del terzo che rendono sostanzialmente inutile l’accoglimento del primo. Ha concluso per l’improcedibilità del ricorso incidentale, chiaramente proposto in via condizionata.
In prossimità dell’udienza la parte privata ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Vengono proposti tre mezzi di impugnazione.
Con il primo motivo si profila censura ai sensi dell’articolo 360 numero 3 codice di procedura civile per violazione falsa applicazione dell’articolo 11 delle disposizioni preliminari al codice civile dell’articolo 43, terzo comma del DPR 600 del 1973 degli articoli 57, terzo comma, del DPR 633 del 1972, entrambi del testo vigente anteriormente all’entrata in vigore della legge 208 del 2015, nonché dell’articolo 2, terzo comma del decreto legislativo 128 del 2015, dell’articolo 1, comma 132, della legge numero 208 del 2015. In altri termini, si censura che la CTR abbia attribuito effetto retroattivo alla disposizione di cui all’articolo 2 del decreto
legislativo 128 del 2015 circa le condizioni per il raddoppio del termine per l’accertamento in presenza di condizioni che impongano la presentazione di denuncia querela all’autorità giudiziaria penale.
La giurisprudenza di questa Corte è consolidata nel ritenere che tale effetto retroattivo non ci sia e dunque ha errato il giudice d’appello ad applicare la disposizione ad un accertamento notificato il 22 novembre 2012, sicché il motivo è fondato. Infatti, in tema di accertamento tributario, i termini previsti dall’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 per l’IRPEF e dall’art. 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 per l’IVA, come modificati dall’art. 37 del d.l. n. 223 del 2006, conv., con modif., in l. n. 248 del 2006, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se archiviata o tardiva, senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento già notificati, relativi a periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016, incidano le modifiche introdotte dall’art. 1, commi da 130 a 132, della l. n. 208 del 2015, attesa la disposizione transitoria, ivi introdotta, che richiama l’applicazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015, nella parte in cui fa salvi gli effetti degli avvisi di accertamento, dei provvedimenti che irrogano sanzioni e degli inviti a comparire ex art. 5 d. lgs. n. 218 del 1997 già notificati, dimostrando un “favor” del legislatore per il raddoppio dei termini se non incidente su diritti fondamentali del contribuente, quale il diritto di difesa, in ossequio ai principi costituzionali di cui agli artt. 53 e 112 Cost (cfr. Cass. VI -5 n. 33793/2018, ma già n. 11620/2018). Peraltro, queste ed altre pronunce si conformano alla legittimità della novellazione in materia come disegnata dalla sentenza n. 247/2011 della Corte costituzionale.
L’accoglimento del primo motivo, che riguarda le riprese a tassazione dal 2001 al 2005, non esime dall’esame degli altri
motivi, inerenti la sussistenza o meno della stabile organizzazione in Italia ai fini di radicare il potere impositivo del Fisco nazionale. Si tratta cioè di vagliare la legittimità o meno di tutti gli avvisi di accertamento, compresi quelli relativi agli anni 2001 al 2005 che debbono ritenersi tempestivi.
Con il secondo motivo il patrono erariale prospetta censura ai sensi dell’articolo 360 numero 3 e numero 4 del codice di procedura civile per violazione falsa applicazione degli articoli 115 primo comma e 116 del codice di procedura civile degli articoli 2697 e 2729 del codice civile, dell’art. 162, commi primo, quarto e settimo del DPR numero 917 del 1986, dell’articolo 5, commi primo e quinto della Convenzione Italia Svizzera contro le doppie posizioni, ratificata con legge numero 943 del 1978.
Nella sostanza viene criticato l’esame disarticolato e atomistico dei singoli elementi di fatto rinvenuti dai verificatori e pacifici in causa. Viene criticata alla CTR la circostanza di aver perso di vista il disegno ultimo teso a dissimulare una stabile organizzazione in Italia della holding elvetica.
Ancora, il patrono erariale lamenta che la CTR abbia ulteriormente violato le norme sulle presunzioni e quelle sulla nozione di stabile organizzazione personale, perché dai dati di fatto acquisiti e riportati non ha tratto l’inferenza logica che la società italiana costituisce stabile organizzazione della capogruppo elvetica.
Il motivo non può essere accolto.
La nozione di stabile organizzazione e i criteri per dimostrarla stati oggetto di approfondimento di questa Corte con orientamento cui merita qui dare continuità, con particolare riguardo -precipuamente alla fattispecie Italia/Svizzera -alle sentenze n. 36690/2022, n. 1709/2023 e 2597/2023.
Ed infatti, la cornice normativa di riferimento è stata recentemente delineata da Cass. n. 36690/2022 nei seguenti termini: «La stabile organizzazione, istituto di origine
convenzionale, ha ricevuto una disciplina compiuta nell’ordinamento interno a seguito delle modifiche apportate dal d.gs. 12/12/2003, n. 344, all’art. 162, d.P.R. 22/12/1986, n. 917, il quale, nella versione applicabile ratione temporis (ovvero nella versione precedente alla novella introdotta dall’art. 1 della legge del 27/12/2017, n. 205, conseguente alla modifica, nel 2017, del modello OCSE), nel sesto e nel settimo comma, che qui interessano, così dispone: ‘6. Nonostante le disposizioni dei commi precedenti e salvo quanto previsto dal comma 7, costituisce una stabile organizzazione dell’impresa di cui al comma 1 il soggetto, residente o non residente, che nel territorio dello Stato abitualmente conclude in nome dell’impresa stessa contratti diversi da quelli di acquisto di beni. 7. Non costituisce stabile organizzazione dell’impresa non residente il solo fatto che essa eserciti nel territorio dello Stato la propria attività per mezzo di un mediatore, di un commissionario generale, o di ogni altro intermediario che goda di uno status indipendente, a condizione che dette persone agiscano nell’ambito della loro ordinaria attività.’. La già citata convenzione tra Italia e Svizzera così recita 5 dell’art. 5 ‘Non si considera che un’impresa di uno Stato contraente ha una stabile organizzazione nell’altro Stato contraente per il solo fatto che essa vi esercita la propria attività per mezzo di un mediatore, di un commissionario generale o di ogni altro intermediario che goda di uno status indipendente, a condizione che dette persone agiscano nell’ambito della loro ordinaria attività.’. Quanto al rapporto tra le due fonti appena richiamate, deve sottolinearsi che quella convenzionale, a sua volta conforme al modello Ocse di convenzione tra gli Stati in materia di doppia imposizione, preesisteva al d.lgs. n. 344 del 2003, che ha introdotto nel t.u.i.r. l’art. 162 ante riprodotto, dando attuazione all’art. 4, comma 1, lettera a), della legge delega 7 aprile 2003, n. 80, che prevedeva l’introduzione della nozione
interna di stabile organizzazione, prescrivendone l’elaborazione ‘sulla base dei criteri desumibili dagli accordi internazionali contro le doppie imposizioni’. È quindi evidente la relazione di circolarità che, nella definizione e nell’interpretazione della nozione di stabile organizzazione, lega la norma interna di cui all’art. 162 d.P.R. n. 917 del 1986, già modellata sui criteri convenzionali, alla specifica singola previsione convenzionale e, pertanto, agli strumenti che sono di ausilio all’interpretazione di quest’ultima (in particolare il modello di convenzione -tipo ed il relativo commentario Ocse). Fermo restando, comunque, che (come rilevato da Cass. 20/11/2019, n. 30140, in motivazione) le convenzioni, una volta recepite nel nostro ordinamento interno con legge di ratifica, acquistano il valore di fonte primaria, ai sensi dell’art.10, comma 1, Cost. (che prevede il sistema di adattamento dell’ordinamento italiano alle norme del diritto internazionale) e dell’art.117 Cost. (che prevede l’obbligo comune dello Stato e delle Regioni di conformarsi ai vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario ed agli obblighi internazionali), come peraltro ribadito, nella materia tributaria, anche dall’art. 75 del d.P.R. n. 600 del 1973 (‘nell’applicazione delle disposizioni concernenti le imposte sui redditi, sono fatti salvi accordi internazionali resi esecutivi in Italia’) e dall’art. 169 del d.P .R. n. 917 del 1986 (per il quale le disposizioni dello stesso t.u. ‘si applicano, se più favorevoli al contribuente, anche in deroga agli accordi internazionali contro la doppia imposizione’)». 1.3. Per la giurisprudenza di questa Corte, alla quale va data continuità, «n tema di imposte sui redditi, ai fini dell’individuazione di una stabile organizzazione nel territorio dello Stato di soggetto non residente l’accertamento deve essere condotto sul piano formale, ma anche -e soprattutto -su quello sostanziale» (Cass. n. 14573/2018 che, in motivazione, richiama Cass. nn. 28815/2010, 20597/2011, 1103/2013), con la precisazione che «er l’imponibilità del reddito d’impresa del
soggetto non residente, è necessaria: una presenza che sia incardinata nel territorio dell’altro Stato e dotata di una certa stabilità; una sede di affari capace, anche solo in via potenziale, di produrre reddito; un’attività autonoma rispetto a quella svolta dalla casa madre» (Cass. n. 21693/2020; conf., Cass. n. 30033/2018).
Con motivazione analitica su otto punti da pagina 12 a pagina 16, la sentenza qui in scrutinio ha esaminato partitamente, ma complessivamente, tutti gli elementi caratteristici della stabile organizzazione, in parametro ai citati presupposti normativi. Pertanto, con un apprezzamento di merito che esula dallo scrutinio di questa Corte, il giudice di appello ha dato conto del dell’insussistenza della stabile organizzazione, ma della presenza di un soggetto mediatore o commissionario indipendente, la cui capacità contributiva ha trovato tassazione in Italia senza attrarre la holding elvetica.
È appena il caso di rammentare che il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione (tra le tante: Cass. 11 gennaio 2016 n. 195; Cass. 30 dicembre 2015, n. 26610).
Come è noto, il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico -formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di
scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente la prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. 4 novembre 2013 n. 24679; Cass. 16 novembre 2011 n. 27197; Cass. 6 aprile 2011 n. 7921; Cass. 21 settembre 2006 n. 20455; Cass. 4 aprile 2006 n. 7846; Cass. 9 settembre 2004 n. 18134; Cass. 7 febbraio 2004 n. 2357). Né il giudice del merito, che attinga il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, è tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (ad es.: Cass. 7 gennaio 2009 n. 42; Cass. 17 luglio 2001 n. 9662).
Il secondo motivo non può quindi essere accolto.
Con il terzo motivo si prospetta censura ai sensi dell’articolo 360 numero 5 codice di procedura civile per omesso esame di punti di fatto controversi e decisivi.
Nella sostanza si ripropongono con diversa configurazione le medesime doglianze del motivo che precede configurandolo secondo il diverso parametro di legittimità. Segnatamente il patrono erariale lamenta non essere stati considerati gli elementi caratterizzanti l’assenza di autonomia imprenditoriale della società italiana, il controllo puntuale e stringente sotto ogni profilo, organizzativo e gestionale, da parte della controllante elvetica, leggerezza di gestione che si traduce nella presenza di autonoma organizzazione.
Come emerge già da pagina 59, i fatti che vengono ritenuti omessi sono poi criticati nella loro valutazione da parte del collegio di appello che risulta così averne preso cognizione. Il motivo si traduce nella richiesta di rivalutazione del merito dell’apporto probatorio dedotto dalle parti, con richiesta di esito diverso rispetto a quello scaturito nel giudizio di appello.
Il motivo non può quindi essere accolto. Per completezza argomentativa, quanto alla denuncia di vizio di motivazione, poiché è qui in esame un provvedimento pubblicato dopo il giorno 11 settembre 2012, resta applicabile ratione temporis il nuovo testo dell’art. 360, comma primo, n. 5) c.p.c. la cui riformulazione, disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, secondo le Sezioni Unite deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez.Un. 7 aprile 2014 n. 8053).
Il motivo è quindi inammissibile prima che infondato.
In conclusione, la fondatezza del primo motivo non si traduce in interesse alla cassazione della sentenza, restando rigettati gli altri due motivi che si traducono nell’insussistenza della stabile organizzazione in Italia, venendo così meno il presupposto impositivo.
Il rigetto del ricorso principale comporta l’improcedibilità dell’incidentale espressamente qualificato condizionato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale. Dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in €.trentacinquemila/00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 20/12/2023.