Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 7328 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 7328 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/03/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 31450/2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVAP_IVA che la rappresenta e difende
-ricorrente-
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difeso dagli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) -controricorrente e ricorrente incidentale- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. MILANO n. 2688/2018 depositata il 12/06/2018.
Udita la relazione svolta alla pubblica udienza del 06/03/2024 dal AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO.
Udito il pubblico ministero nella persona del AVV_NOTAIO, che ha chiesto dichiararsi inammissibili il ricorso principale ed il ricorso incidentale condizionato.
Dato atto che l’AVV_NOTAIO ha insistito per l’accoglimento del ricorso e l’AVV_NOTAIO per la società contribuente ha insistito per le conclusioni già rassegnate.
FATTI DI CAUSA
Ad esito di verifica della Guardia di Finanza, con avvisi di accertamento del 21.8.2015 l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di Milano rettificava le dichiarazioni Ires, lrap e Iva relative agli anni di imposta presentate per il 2008, 2009, 2010 dalla RAGIONE_SOCIALE – sede secondaria, con sede legale a Milano, della società statunitense RAGIONE_SOCIALE, operante a livello mondiale nella fornitura di sistemi di ” networking “, ovverosia di collegamento in rete di differenti apparecchiature e sistemi informatici, sia per le imprese sia per i privati.
La sede secondaria -in atti indicata anche con il termine anglofono di ‘ branch ‘ – era stata costituita nel 2001 al fine di svolgere in Italia, per conto della casa madre, servizi promozionali, di marketing e di supporto alle vendite concluse direttamente da altre società del Gruppo nei confronti di un ridotto numero di distributori presenti nel territorio italiano, la cui clientela finale era costituita per lo più da venditori al dettaglio dei medesimi prodotti tecnologici.
Le vendite dei prodotti ai distributori venivano a questi ultimi fatturate direttamente dalla casa madre tramite il rappresentante fiscale Iva europeo, una consociata olandese della medesima società statunitense.
I relativi ricavi non venivano quindi assoggettati in Italia a tassazione ai fini Ires e Irap, in quanto imputati a soggetto non residente e non prodotti tramite stabile organizzazione in Italia, né ad Iva, in quanto relativi a cessioni intracomunitarie dall’Olanda all’Italia (con applicazione del ” reverse charge ” ai sensi del d.l. n. 331/93).
I servizi di supporto venivano invece compensati come disciplinato in due contratti di servizio: l’uno, denominato ” Agreement for assistance in sale promotion, product information and other service “, concluso con effetti dal 10.04.2001, che prevedeva un compenso determinato nella misura del 7,5% dei costi operativi sostenuti nell’esercizio di riferimento; l’altro, denominato ” Sales representative agreement “, concluso con effetti dal 19.05.2006, che prevedeva un compenso pari ai costi sostenuti più l’1,2% dei ricavi netti sulle vendite verso i clienti sul territorio italiano per gli ordini sollecitati e/o le vendite agevolate dall’attività svolta dalla ‘ branch ‘, compensi tutti regolarmente dichiarati e assoggettati a tassazione in Italia.
In esito alla verifica effettuata i militari contestavano che la sede secondaria italiana avesse operato al di là dei limiti formali dei contratti di prestazione di servizi alla attività promozionale e di assistenza alla clientela, rilevando come essa concordasse con i distributori italiani elementi essenziali e decisivi dei contratti con la casa madre, quali, in particolare, gli sconti (” rebates “) riconosciuti loro al raggiungimento di determinati volumi di vendite al dettaglio.
Ne derivava, secondo la ricostruzione dei verificatori e fatta propria dall’Ufficio, che la sede secondaria non si sarebbe limitata alla attività promozionale e di assistenza alla clientela, ma avrebbe operato con autonomo potere negoziale, e quindi, identificata come ‘stabile organizzazione’ in Italia della società statunitense, ad essa dovessero imputarsi i ricavi generati dalla vendita in Italia dai prodotti della casa madre, da sottoporre a tassazione ai fini Ires e Irap; ai fini Iva, inoltre, ciò comportava che le cessioni ai distributori italiani, provenendo dalla stabile organizzazione italiana, dovevano essere considerate cessioni interne, da assoggettare a tassazione ordinaria, e non cessioni intracomunitarie non soggette ad imposta ex art. 41 d.l. 331/93.
La società proponeva separati ricorsi, eccependo l’intervenuta decadenza dell’Amministrazione dal potere impositivo per illegittimo raddoppio dei termini, il difetto di motivazione degli atti impugnati, l’illegittima applicazione RAGIONE_SOCIALE disposizioni sulla stabile organizzazione, l’illegittima applicazione della disciplina dell’IVA con riguardo alla territorialità dell’imposta, l’illegittima irrogazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni.
8.1. La CTP di Milano, riuniti i ricorsi, li accoglieva, ritenendo fondata la censura pregiudiziale di decadenza per non applicabilità del raddoppio dei termini previsto dagli artt. 43 del DPR n. 600/1973.
Su appello dell’RAGIONE_SOCIALE, la CRT della Lombardia, con la sentenza in epigrafe: i) riteneva fondata la censura avente ad oggetto la tempestività dell’accertamento; ii) rigettava comunque il gravame, escludendo la natura di stabile organizzazione della RAGIONE_SOCIALE– sede secondaria.
Avverso la predetta sentenza ricorre l’RAGIONE_SOCIALE, con quattro motivi.
Resiste la società contribuente e propone ricorso incidentale condizionato sorretto da unico motivo.
Il Pubblico ministero ha depositato requisitoria ex art. 378 cod. proc. civ. chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso principale, e di conseguenze il ricorso incidentale condizionato.
In prossimità dell’udienza, la società contribuente ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo del ricorso principale, l’RAGIONE_SOCIALE lamenta, in relazione all’art. 360 n. 4 cod. proc. civ., la «Violazione e falsa applicazione dell’art. 36 c. 2 n. 4 d. lgs. 31.12.1996 n. 546 (omissione totale di motivazione)».
Con il secondo motivo denuncia, in relazione all’art. 360 n. 4 cod. proc. civ., la «Violazione e falsa applicazione dell’art. 36 c. 2 n. 4 d. lgs. 31.12.1992 n. 546».
Con il terzo motivo lamenta, in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la «Violazione e falsa applicazione degli artt. 2729 c.c.; 162 dpr 22.12.1986 n. 917; 5 c. 4 l. 11.12.85 n. 763».
Con il quarto motivo deduce, in relazione all’art. 360 n. 5, cod. proc. civ., l’«Omesso esame di punti di fatto decisivi e controversi».
È opportuno anteporre all’esame dei motivi di ricorso la ricognizione della disciplina normativa applicabile.
5.1. La stabile organizzazione, istituto di origine convenzionale, ha ricevuto una disciplina compiuta nell’ordinamento interno a seguito RAGIONE_SOCIALE modifiche apportate dal dl.gs. 12.12.2003, n. 344 all’art. 162 d.P.R. 22.12.1986, n. 917, il quale, nella versione applicabile ratione temporis (ovvero nella versione precedente alla novella introdotta dall’art. 1 della legge del 27/12/2017, n. 205, conseguente alla modifica, nel 2017, del moAVV_NOTAIO Ocse), nelle parti che qui rilevano, prevede, al primo comma che «l’espressione “stabile organizzazione” designa una sede fissa di affari per mezzo della quale l’impresa non residente esercita in tutto o in parte la sua attività sul territorio AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO» e al quarto comma precisa che: « 4. Una sede fissa di affari non è, comunque, considerata stabile organizzazione se: (…) e) viene utilizzata ai soli fini di svolgere, per l’impresa, qualsiasi altra attività che abbia carattere preparatorio o ausiliario».
5.2. Specularmente, la Convenzione tra Italia e Stati Uniti per evitare le doppie imposizioni del 25/08/1999, all’art. 5 comma 1, recita che: «1. Ai fini della presente Convenzione, l’espressione “stabile organizzazione” designa una sede fissa di affari in cui l’impresa esercita in tutto o in parte la sua attività», precisando al terzo comma che «Non si considera che vi sia una “stabile
organizzazione” se: (…) (e) una sede fissa di affari è utilizzata, per l’impresa, ai soli fini di pubblicità, di fornire informazioni, di ricerche scientifiche o di attività analoghe che abbiano carattere preparatorio o ausiliario».
5.3. Quanto al rapporto tra le due fonti appena richiamate, deve sottolinearsi che quella convenzionale, a sua volta conforme al moAVV_NOTAIO Ocse di convenzione tra gli Stati in materia di doppia imposizione, preesisteva al d.lgs. n. 344 del 2003, che ha introdotto nel T.u.i.r. l’art. 162 ante riprodotto, dando attuazione all’art. 4, comma 1, lettera a), della legge delega 7 aprile 2003, n. 80, che prevedeva l’introduzione della nozione interna di stabile organizzazione, prescrivendone l’elaborazione «sulla base dei criteri desumibili dagli accordi internazionali contro le doppie imposizioni».
5.4. È quindi evidente la relazione di circolarità che, nella definizione e nell’interpretazione della nozione di stabile organizzazione, lega la norma interna di cui all’art. 162 d.P.R. n. 917 del 1986, già modellata sui criteri convenzionali, alla specifica singola previsione convenzionale e, pertanto, agli strumenti che sono di ausilio all’interpretazione di quest’ultima (in particolare il moAVV_NOTAIO di convenzione ed il relativo commentario Ocse). Fermo restando, comunque, che (come rilevato da Cass. 20/11/2019, n. 30140, in motivazione) le convenzioni, una volta recepite nel nostro ordinamento interno con legge di ratifica, acquistano il valore di fonte primaria, ai sensi dell’art. 10, comma 1, Cost. (che prevede il sistema di adattamento dell’ordinamento italiano alle norme del diritto internazionale) e dell’art. 117 Cost. (che prevede l’obbligo comune AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO e RAGIONE_SOCIALE Regioni di conformarsi ai vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario ed agli obblighi internazionali), come peraltro ribadito, nella materia tributaria, anche dall’art. 75 del d.P.R. n. 600 del 1973 («nell’applicazione RAGIONE_SOCIALE disposizioni concernenti le imposte sui redditi, sono fatti salvi accordi internazionali resi esecutivi in Italia») e dall’art. 169 del
d.P.R. n. 917 del 1986 (per il quale le disposizioni AVV_NOTAIO stesso t.u. «si applicano, se pi ù̀ favorevoli al contribuente, anche in deroga agli accordi internazionali contro la doppia imposizione»).
5.5. Sulla base RAGIONE_SOCIALE norme da ultimo citate, quindi, questa Corte (Cass. 19/01/2009, n. 1138; Cass. 15/7/2016, n. 14474) ha non solo affermato il principio AVV_NOTAIO che le Convenzioni, per il carattere di specialit à̀ del loro ambito di formazione, cos ì come le altre norme internazionali pattizie, prevalgono sulle corrispondenti norme nazionali, dovendo la potest à̀ legislativa essere esercitata nei vincoli derivanti, tra l’altro, dagli obblighi internazionali (art. 117 Cost., comma 1, nel testo di cui alla legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3, art. 3), ma ha anche specificato che, in materia d’imposte sul reddito, le norme pattizie derivanti da accordi tra gli Stati prevalgono, attesane la specialit à̀ e la ratio di evitare fenomeni di doppia imposizione, su quelle interne (Cass. 24/11/2016, n. 23984; v., di recente, Cass. 14/12/2022, n. 36679).
I primi due motivi, da esaminarsi congiuntamente stante la stretta connessione e l’affinità RAGIONE_SOCIALE critiche sollevate, sono inammissibili.
Con la prima doglianza l’Amministrazione lamenta che, nel capo in cui ha affrontato il merito della vertenza, escludendo che la sede secondaria della RAGIONE_SOCIALE potesse configurare una ‘stabile organizzazione’ nella accezione ora evocata, la sentenza della CTR risulti viziata da motivazione apparente.
Con il secondo strumento di impugnazione viene mossa analoga censura, rilevandosi l’assenza di motivazione con riguardo alla statuizione con la quale è stata ritenuta non corretta la metodologia applicata da parte dell’RAGIONE_SOCIALE per la determinazione dei ricavi sottratti a tassazione.
8.1. Sostiene la ricorrente che le argomentazioni espresse dalla CTR constino esclusivamente di proposizioni conclusive,
esponendo non razionali motivazioni, ma mere conclusioni tratte da premesse che rimangono del tutto assenti dalla sentenza impugnata.
Lamenta pertanto che la pronuncia sia viziata da motivazione apparente, in quanto non consentirebbe alcun controllo della congruità logico-giuridica RAGIONE_SOCIALE conclusioni così raggiunte dal giudice di secondo grado, e ciò anche in considerazione del fatto che il giudice di primo grado non aveva affrontato il merito, risolvendo la controversia sulla base di una questione pregiudiziale.
Va rammentato che ‘La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 RAGIONE_SOCIALE preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.’ (Cass., Sez. U., 07/04/2014, n. 8053; Cass. Sez. 1, 03/03/2022 n. 7090).
9.1. Ancora, secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte, ai fini della sufficienza della motivazione della sentenza, il giudice non può, quando esamina i fatti di prova, limitarsi ad enunciare il giudizio nel quale consiste la sua valutazione, perché questo è il solo contenuto “statico” della complessa dichiarazione motivazionale, ma deve impegnarsi anche nella descrizione del
processo cognitivo attraverso il quale è passato dalla sua situazione di iniziale ignoranza dei fatti alla situazione finale costituita dal giudizio, che rappresenta il necessario contenuto “dinamico” della dichiarazione stessa (cfr. Cass., Sez. 5, Sentenza n. 1236 del 23/01/2006; Cass. , Sez. 6 -5, Ordinanza n. 15964 del 29/07/2016; Cass., Sez. 5 , Ordinanza n. 32980 del 20/12/2018, richiamate da Cass. n. 26387 del 12/09/2023).
10. Con specifico riguardo alla questione della selezione dei dati offerti o comunque disponibili è oramai consolidato in giurisprudenza il principio che il giudice di merito sia libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prove che ritenga più attendibili ed idonee alla formazione AVV_NOTAIO stesso (Cass. n. 3601/2006).
Inoltre, l’osservanza degli artt. 115 e 116 c.p.c., non richiede che il giudice di merito dia conto dell’esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettate dalle parti. È, infatti, necessario e sufficiente che egli esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, offrendo una motivazione logica ed adeguata, evidenziando le prove ritenute idonee a confortarla. Invece, devono reputarsi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo seguito. (Cass. n. 520/2005).
In altre parole, il giudice di merito non ha l’obbligo di soffermarsi a dare conto di ogni singolo elemento indiziario o probatorio acquisito in atti, potendo egli invece limitarsi a porre in luce quelli che, in base al giudizio effettuato, risultano gli elementi essenziali ai fini del decidere, purché tale valutazione risulti logicamente coerente.
10.1. Quanto ai confini del controllo del giudice di legittimità sull’apparato decisorio, si rammenta che è prevalente nella
giurisprudenza di legittimità l’orientamento che ne ammette la censurabilità solo nella misura in cui risulti ciò dal testo della decisione gravata dal ricorso, posto che una diversa revisione, in realtà, non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe sostanzialmente in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità. Ne consegue che risulta del tutto estranea all’ambito del giudizio di legittimità ogni possibilità per la Corte di cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l’autonoma, propria valutazione RAGIONE_SOCIALE risultanze degli atti di causa (Cass. n. 3161/2002).
10.2. Diversamente opinando la stessa Corte inevitabilmente compirebbe un non consentito giudizio di merito, se – confrontando la sentenza con le risultanze istruttorie -prendesse in considerazione fatti probatori diversi o ulteriori rispetto a quelli assunti dal giudice di appello a fondamento della sua decisione. (Cass. n. 4766/2006).
10.3. Né a ciò soccorre l’eventuale autosufficienza poiché “il divieto di accesso agli atti istruttori è la conseguenza di un limite all’ambito di cognizione della Corte di cassazione” e, dunque, “non ha una funzione solo logistica, che possa essere soddisfatta mediante la trascrizione’ (nella specie neppure operata dalla ricorrente), così eludendo l’esclusiva devoluzione al giudice di merito della selezione RAGIONE_SOCIALE prove (cfr. Cass. n. 961/2015 in motivazione).
11. Il giudice d’appello, in aderenza ai principi e criteri ora esposti, nell’esaminare i fatti di prova non si è dunque limitato ad enunciare il giudizio nel quale consiste la sua valutazione (contenuto “statico” della complessa dichiarazione motivazionale), ma ha anche chiaramente manifestato il processo cognitivo attraverso il quale è passato dalla sua situazione di iniziale
ignoranza dei fatti alla situazione finale costituita dal giudizio (contenuto “dinamico” della dichiarazione stessa).
11.1. Dalla lettura della motivazione della sentenza impugnata emerge inoltre l’iter logico seguito dalla CTR che, lungi dal manifestare una mera adesione acritica alle difese della contribuente, e indipendentemente dalla condivisibilità della conclusioni tratte, si è confrontata con le argomentazioni RAGIONE_SOCIALE parti e con le relative allegazioni probatorie ivi richiamate, affermando che i) «la RAGIONE_SOCIALE con sede secondaria in Italia non abbia svolto attività negoziale ulteriore rispetto a quelle previste dal contratto di servizi»; che ii) «dalla documentazione e dalle dichiarazioni rese da soggetti terzi risulta che la società per il tramite della sua sede secondaria svolga in Italia il ruolo di mero supporto e di collegamento tra la casa madre statunitense, il distributore e i clienti» e, con specifico riguardo alle allegazioni dell’appellante, che iii) «l’RAGIONE_SOCIALE comunque non ha in alcun modo provato l’esistenza di una diversa ed occulta attività consistente in una vendita vera e propria, rispetto a quella di supporto alle vendite», e tale riguardo precisando che «La Commissione ritiene che la RAGIONE_SOCIALE sede secondaria, ai sensi e per gli effetti dell’art. 11 del Regolamento UE n.282/2011, non abbia una stabile organizzazione, dal momento che non risulta abbia stipulato o stipuli contratti in nome e per conto della controllante, né che le siano affidate le attività di commercializzazione e i rapporti con i clienti, né che abbia o acquisisca il possesso fisico dei beni, prima o durante la cessione e che i suddetti beni siano depositati prima della vendita, presso di essa».
11.2. Come necessaria conseguenza della esclusione della sussistenza di una stabile organizzazione, la CTR ha quindi ritenuto non corretta la metodologia di ricostruzione dei ricavi adottata dall’Ufficio, che su tale presupposto si fondava.
12. Con il terzo motivo di ricorso principale si contesta, in concreto, la violazione da parte dei giudici di appello, dei principi in materia di valutazione della prova.
Il motivo è inammissibile.
12.1. A tale riguardo, osserva il Collegio che: a) sotto un primo profilo, la valutazione RAGIONE_SOCIALE prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione, sicché rimane estranea al vizio previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. qualsiasi censura volta a criticare il “convincimento” che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116, commi 1 e 2, cod. proc. civ., in esito all’esame del materiale istruttorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità RAGIONE_SOCIALE fonti di prova, atteso che la deduzione del vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. non consente di censurare la complessiva valutazione RAGIONE_SOCIALE risultanze processuali, contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito (Cass., Sez. 2, 19.7.2021, n. 20553, Rv. 661734-01); b) per altro verso, in tema di prova presuntiva, il giudice è tenuto, ai sensi dell’art. 2729 cod. civ., ad ammettere solo presunzioni “gravi, precise e concordanti”, laddove il requisito della “precisione” è riferito al fatto noto, che deve essere determinato nella realtà storica, quello della “gravità” al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto desumibile da quello noto, mentre quello della “concordanza”, richiamato solo in caso di pluralità di elementi presuntivi, richiede che il fatto ignoto sia -di regola -desunto da una pluralità di indizi gravi, precisi e univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza, e ad articolare il procedimento logico nei due momenti
della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, onde scartare quelli irrilevanti, e nella successiva valutazione complessiva di quelli così isolati, onde verificare se siano concordanti e se la loro combinazione consenta una valida prova presuntiva (c.d. convergenza del molteplice), non raggiungibile, invece, attraverso un’analisi atomistica degli stessi. Sicché, la denuncia, in cassazione, di violazione o falsa applicazione del citato art. 2729 cod. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., può prospettarsi quando il giudice di merito affermi -e non è il caso di specie – che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ovvero -e non si tratta, ancora, del caso di specie – fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota e non anche quando la critica -come invece avvenuto nella specie – si concreti nella diversa ricostruzione RAGIONE_SOCIALE circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma (Cass., Sez. 2, 21.3.2022, n. 9054, Rv. 664316-01); c) non ultimo, infine (e con specifico riferimento alle contestazioni dell’Amministrazione ricorrente), il giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prova che ritenga più attendibili e idonee alla formazione AVV_NOTAIO stesso, né gli è richiesto di dar conto, nella motivazione, dell’esame di tutte le allegazioni e prospettazioni RAGIONE_SOCIALE parti e di tutte le prove acquisite al processo, essendo sufficiente che egli esponga – in maniera concisa ma logicamente adeguata – gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione e le prove ritenute idonee a confortarla, dovendo reputarsi implicitamente disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter
argomentativo svolto (Cass., Sez. 5, 29.12.2020, n. 29730, Rv. 660157-01).
12.2. Nel caso in esame dalla lettura del motivo di ricorso nessuna di tali censure viene mosse al Giudice di appello del quale si contesta, esclusivamente e nella sostanza, la valutazione RAGIONE_SOCIALE risultanze RAGIONE_SOCIALE prove offerte, con censure di natura meritale, non ammissibili in questa sede di legittimità.
13. Il quarto motivo è inammissibile.
Con riferimento alla doglianza prospettata ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 5 c.p.c., va ribadito che l’art. 360, 1° comma, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 d.l. 22 giugno 2012 n. 83, conv. in I. 7 agosto 2012 n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); ne consegue che, nel rigoroso rispetto RAGIONE_SOCIALE previsioni degli art. 366, 1 comma, n. 6, e 369, 2 comma, n. 4, c.p.c., il ricorrente deve indicare il «fatto storico», il cui esame sia stato omesso, il «dato», testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il «come» e il «quando» tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua «decisività», fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. ex multis, Sez. un. 22/9/2014 n. 19881, Sez. un. 7/4/2014 n.8053; Cass. n. 27415 del 29/10/2018, richiamate da Cass. n 9664/2023).
13.1. Nel caso di specie il vizio denunciato non è ravvisabile.
Anzi, secondo la stessa ricorrente, il fatto decisivo, riguardante l’oggetto dell’attività svolta dalla stabile organizzazione, è stato esaminato dalla CTR che ne ha ritenuto, la natura accessoria e meramente preparatoria RAGIONE_SOCIALE vendite e ne ha escluso una funzione direttamente negoziale, in particolare osservando che: «La Commissione, dall’esame della documentazione in atti, ritiene che contrariamente a quanto sostenuto all’RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE, con sede secondaria in Italia, non abbia svolto attività negoziale ulteriore rispetto a quelle previste dal contratto di servizi. Sempre dalla documentazione e dalle dichiarazioni rese da soggetti terzi, risulta che la società, per il tramite della sua sede secondaria, svolga in Italia un ruolo di mero supporto e di collegamento tra la casa madre statunitense, il distributore e i clienti, nonché quello di assistere i distributori italiani nella individuazione RAGIONE_SOCIALE attività promozionali e di marketing poste in essere per incrementare le vendite dei prodotti RAGIONE_SOCIALE, fornendo pareri e raccomandazioni per quanto attiene prezzi e sconti da applicare; risulta inoltre, che l’approvazione e la gestione di contratti competa sempre e in ogni caso alla casa madre statunitense. L’RAGIONE_SOCIALE, comunque, non ha in alcun modo provato la esistenza di una diversa ed occulta attività, consistente in una vendita vera e propria, rispetto a quella di supporto alle vendite».
L’omissione denunciata viene nella specie riferita alla mancanza di una espressa confutazione di fatti secondari dedotti dall’Ufficio, ma ciò non rientra nel perimetro del vizio di cui all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
14. In conclusione, il ricorso principale va dichiarato inammissibile, ed il ricorso incidentale condizionato risulta conseguentemente assorbito; segue la condanna della ricorrente al
rimborso, in favore della controricorrente, RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo.
Rilevato che risulta soccombente l’RAGIONE_SOCIALE, ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, non si applica il D.P.R. n. 30 maggio n. 115, art. 13 comma 1- quater, (Cass. 29/01/2016, n. 1778).
P.Q.M .
La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale.
Condanna la ricorrente RAGIONE_SOCIALE al pagamento, in favore della controricorrente, RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 27.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 06/03/2024.