Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 12796 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 12796 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME COGNOME rappresenta e difesa, giusta procura speciale stesa a margine del ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME del Foro di Padova, ed elettivamente domiciliata in Roma, presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME, alla INDIRIZZO in Roma;
-ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate , in persona del Direttore pro-tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato ed elettivamente domiciliata presso i suoi uffici, alla INDIRIZZO in Roma;
-controricorrente –
avverso
la sentenza n. 647, pronunciata dalla Commissione Tributaria Regionale del Veneto il 9.3.2021 e pubblicata il 5.5.2021;
ascoltata, in camera di consiglio, la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
la Corte osserva:
Fatti di causa
Oggetto: Irpef 2013 – Srl a base ristretta -Reddito di partecipazione -Deducibilità dei costi – Sanzioni.
Con avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO/2018 l’Agenzia delle Entrate contestava alla RAGIONE_SOCIALE, che aveva omesso la presentazione della dichiarazione dei redditi per l’anno 2013 ma aveva depositato i bilanci, un imponibile ai fini Ires ed Irap di Euro 581.272,96, e di Euro 262.478,43 ai fini IVA. Da tale avviso di accertamento derivava l’atto impositivo n. T6301AN02465/2018, notificato a NOME COGNOME ai fini Irpef, in quanto titolare dell’80% delle quote sociali ed in applicazione dei principi in materia di società di capitali aventi ristretta base partecipativa.
Avverso l’atto impositivo la contribuente proponeva ricorso innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Venezia lamentandone l’illegittimità. Evidenziava, tra l’altro, il difetto di legittimazione del funzionario che aveva sottoscritto l’avviso di accertamento, l’indebito disconoscimento da parte dell’Ufficio dei costi sostenuti dalla società e la propria estraneità alla gestione dell’impresa. L’Amministrazione finanziaria si costituiva in giudizio ribadendo la correttezza del proprio operato. La CTP rigettava il ricorso, riconoscendo sussistenti le condizioni per poter attribuire proporzionalmente alla contribuente gli utili non dichiarati dalla società.
NOME COGNOME spiegava appello, avverso la decisione sfavorevole conseguita dai giudici di primo grado, innanzi alla Commissione Tributaria Regionale del Veneto, criticando: la sua estraneità rispetto alla gestione dell’impresa relativamente al periodo d’imposta 2013; la possibilità di censurare gli atti presupposti emessi nei confronti della società; nonché il mancato riconoscimento di costi deducibili relativi all’attività d’impresa. Si costituiva in giudizio l’Ufficio che ribadiva l’infondatezza delle eccezioni avverse e proponeva ricorso incidentale, con cui contestava la sentenza di primo grado nella parte in cui non aveva dichiarato l’inammissibilità del ricorso della contribuente in quanto
rivolto anche avverso l’avviso di accertamento societario. La CTR rigettava integralmente il ricorso principale del contribuente, mentre accoglieva le censure di inammissibilità e pertanto il ricorso incidentale proposto dall’Agenzia delle Entrate.
La contribuente ha proposto ricorso per cassazione, avverso la decisione sfavorevole conseguita dal giudice dell’appello, affidandosi a tre strumenti di impugnazione. Resiste mediante controricorso l’Agenzia delle Entrate. La ricorrente ha pure depositato memoria, ribadendo le proprie censure, e domandando applicarsi il regime sanzionatorio ritenuto più favorevole di cui al D.Lgs. n. 87 del 2024.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la contribuente contesta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2476 cod. civ., per non avere la CTR rilevato l’assenza di un onere di vigilanza sull’operato della società gravante sul socio e la sua estraneità alla gestione societaria.
Mediante il secondo strumento d’impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 24 Cost. e dell’art. 100 cod. proc. civ., avendo il giudice dell’appello erroneamente ritenuto che sia precluso al socio contestare il preteso reddito percepito dalla società.
Con il terzo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360 primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la contribuente critica la violazione e falsa applicazione degli artt. 39 e 41 del Dpr n. 600 del 1973, in quanto nell’accertamento dei redditi in capo alla società non sono stati considerati gli elementi negativi, pertanto i costi sopportati per realizzarli.
Con il primo motivo di ricorso NOME COGNOME censura la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2476 cod. civ. Nello
specifico, la difesa sostiene che la disposizione prevede, ai fini della riconducibilità della responsabilità per l’obbligazione tributaria in capo alla ricorrente, un ‘vincolo di solidarietà e reciproco controllo’, ossia la prova di una reale attività di gestione della società svolta dalla contribuente.
4.1. Invero questa Corte regolatrice ha già avuto occasione di statuire, condivisibilmente, che ‘in tema di imposte sui redditi, la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili, fondata sulla ristretta base partecipativa della società di capitali sottoposta ad accertamento, è superata dalla dimostrazione, a carico del socio, anche solo della sua estraneità assoluta alla gestione ed alla vita societaria, che non appare in contrasto con la ragione dell’operatività della presunzione, basata su una massima di comune esperienza per la quale dalla ristrettezza della base sociale deriva un elevato grado di compartecipazione dei soci alla gestione della società e di reciproco controllo tra gli stessi; ne consegue che, assolto detto onere probatorio da parte del socio, la suddetta massima di esperienza perde il suo rilievo probatorio e non consente più di ritenere legittima la presunzione di distribuzione degli utili extracontabili in favore di tutti i soci’, Cass. sez. V, 10.10.2024, n. 26473. La prova della propria estraneità alla gestione sociale, pertanto, grava comunque sul contribuente.
4.2. Occorre quindi ricordare che la CTR ha ritenuto legittimo l’accertamento del reddito di partecipazione conseguito dalla ricorrente nel 2013, in cui è stata socia e titolare dell’80% delle quote della RAGIONE_SOCIALE avente ristretta base partecipativa. Ha rilevato in proposito il giudice dell’appello che non ‘può essere condivisa la doglianza afferente all’asserita estraneità della Bergamo alla gestione della società nel corso del 2013, tenuto conto nuovamente delle notizie ricavabili dal Registro Imprese, delle quali si evince che la stessa è stata socia della RAGIONE_SOCIALE dal
2008 al 2015, sempre con una partecipazione di larghissima maggioranza (80%)’ avendo pure ricoperto, in anni precedenti, ‘la carica sia di Presidente del Consiglio di amministrazione sia di Amministratore Unico’ (sent. CTR, p. III).
4.3. A tal proposito appare anche opportuno ricordare come dalla ristretta base sociale derivi la presunzione di gestione diretta d’impresa, nonché quella di distribuzione degli utili. Del resto l’art. 2476 cod. civ. statuisce espressamente che i soci i quali ‘non partecipano all’amministrazione hanno diritto di avere dagli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare, anche tramite professionisti di loro fiducia, i libri sociali ed i documenti relativi all’amministrazione’.
4.3.1. Questa Corte regolatrice ha avuto occasione di chiarire in proposito, con giurisprudenza consolidata, che ‘in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà per il contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, ma siano stati, invece, accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti, non essendo comunque a tal fine sufficiente la mera deduzione che l’esercizio sociale ufficiale si sia concluso con perdite contabili’, Cass. sez. V, 22.11.2017, n. 27778; e non si era mancato, già in precedenza, di specificare che ‘in materia di imposte sui redditi, nell’ipotesi di società di capitali a ristretta base sociale è ammissibile la presunzione di attribuzione ai soci di utili extracontabili, che non si pone in contrasto con il divieto di presunzione di secondo grado, in quanto il fatto noto non è dato dalla sussistenza di maggiori redditi accertati induttivamente nei confronti della società, bensì dalla ristrettezza dell’assetto societario, che implica un vincolo di solidarietà e di reciproco
contro
llo dei soci nella gestione sociale’, Cass. sez. V, 29.7.2016, n. 15824.
Il primo motivo di ricorso risulta pertanto infondato, e deve perciò essere respinto.
Con il secondo motivo di ricorso la contribuente critica la violazione di legge in cui ritiene essere incorsa la CTR per aver ritenuto che non è consentito al socio, cui sia contestato il reddito di partecipazione conseguito, dimostrare che nessun reddito, o un minor reddito, sia stato conseguito dalla società.
5.1. La CTR ha affermato che ‘questo collegio, infatti, non può ammettere che la socia non legale rappresentante possa rimettere in discussione gli avvisi di accertamento in capo alla società, in quanto ormai definitivi, poiché l’ordinamento tributario riconosce al contribuente esclusivamente il diritto di dimostrare la non percezione degli utili extracontabili accantonati o investiti ovvero derivanti da attività gestorie non alla stessa non imputabili’ (sent. CTR, p. 3).
5.2. La decisione adottata dalla CTR appare conforme all’orientamento interpretativo proposto da questa Corte. Invero si è già avuta l’occasione di chiarire che ‘l’avviso di accertamento nei confronti del socio per redditi da utili non dichiarati di società di capitali a ristretta base partecipativa è legittimamente emesso e adeguatamente motivato anche quando il socio non abbia partecipato all’accertamento nei confronti della società e l’atto contenga un mero rinvio “per relationem” ai redditi della società, essendo i due accertamenti autonomi e indipendenti, in virtù dei poteri concessi ai soci, ai sensi dell’art. 2261 c.c., di consultare la documentazione contabile e di partecipare perciò agli accertamenti che riguardano la società, sicché essi non possono dolersi della definitività dell’accertamento, né riproporre doglianze ad esso riferibili’, Cass. sez. VI -V, 18.2.2020, n. 3980; e non si è mancato di specificare che ‘in tema di accertamento delle imposte sui
redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di provare che i maggiori ricavi non sono stati distribuiti, ma accantonati o reinvestiti dalla società, nonché di dimostrare la propria estraneità alla gestione e conduzione societaria’, Cass. sez. VI-V, 9.7.2018, 18042.
Il secondo motivo di ricorso risulta pertanto infondato, e deve perciò essere rigettato.
Con il terzo strumento di impugnazione la ricorrente contesta che nel ritenere corretta la determinazione del reddito societario come operata dall’Ente impositore, la CTR ha erroneamente trascurato di tener conto dei costi sostenuti per la produzione di detto preteso reddito.
6.1. Invero la CTR pronunzia espressamente in materia, e scrive che la contribuente non ‘ha prodotto in giudizio adeguata documentazione idonea a dimostrare l’effettività dei costi sostenuti’ (sent. CTR, p. II), argomentazione che la contribuente non contrasta. A maggior ragione, pertanto, il motivo non risulta scrutinabile perché la contribuente non illustra in quali termini avesse proposto la questione nei gradi di merito del giudizio, consentendo a questa Corte di legittimità di adempiere al suo compito di verificare la tempestività e congruità delle censure proposte dalle parti, ancor prima di provvedere a stimarne la decisività.
Il terzo motivo di ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
In definitiva il ricorso proposto dalla contribuente deve essere rigettato. Occorre però ancora rilevare che la ricorrente ha domandato, con propria memoria, applicarsi il regime sanzionatorio ritenuto più favorevole di cui al D.Lgs. n. 87 del 2024. Sull’applicabilità della disciplina sanzionatoria sopravvenuta deve
pertanto rimettersi la decisione alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Veneto.
La Corte di Cassazione,
P.Q.M.
rigetta il ricorso proposto da Bergamo COGNOME .
Rinvia le parti innanzi alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Veneto perché provveda in ordine all’istanza di applicazione del regime sanzionatorio sopravvenuto proposta dalla contribuente, provvedendo anche a regolare le spese di lite del giudizio di legittimità tra le parti.
Così deciso in Roma, il 7.3.2025