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Spese processuali: il mancato rimborso è illegittimo

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 9880/2025, ha stabilito che la mancata statuizione sulle spese processuali in un giudizio di appello equivale a una compensazione non motivata, e quindi illegittima. Anche se la controparte non si costituisce in giudizio, il vincitore ha diritto al rimborso dei costi sostenuti, specialmente se l’appello è stato necessario per correggere un errore del giudice di primo grado sulle stesse spese.

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Pubblicato il 7 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Spese Processuali: il Diritto al Rimborso Anche in Assenza della Controparte

L’ordinanza n. 9880/2025 della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale in materia di spese processuali: il loro mancato riconoscimento alla parte vittoriosa equivale a una compensazione illegittima se non adeguatamente motivata. Questo principio si applica anche quando la controparte soccombente non si è nemmeno presentata in giudizio. La sentenza in esame chiarisce che chi è costretto ad avviare un giudizio di appello per correggere un errore del primo giudice ha pieno diritto al rimborso dei costi legali sostenuti.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine da un ricorso di un contribuente contro una cartella di pagamento. Il primo grado di giudizio si conclude a favore del cittadino: la Commissione Tributaria Provinciale accoglie il ricorso, ma liquida le spese legali in misura inferiore ai minimi tariffari previsti dalla legge, nonostante l’Agente della Riscossione non si fosse costituito in giudizio.

Il contribuente decide quindi di impugnare la sentenza dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale, limitatamente al capo relativo alla quantificazione delle spese. Anche in questo secondo grado, l’Agente della Riscossione rimane contumace. La Corte regionale accoglie l’appello, riformando la decisione di primo grado, ma omette completamente di pronunciarsi sulle spese del giudizio di gravame. Questa omissione spinge il contribuente a presentare ricorso in Cassazione, lamentando la violazione del principio secondo cui il soccombente deve pagare le spese.

La Decisione della Corte di Cassazione sulle Spese Processuali

La Suprema Corte ha accolto il ricorso del contribuente, cassando la sentenza impugnata e rinviando la causa alla Commissione Tributaria Regionale in diversa composizione. Il punto centrale della decisione è che l’omessa pronuncia sulle spese di un grado di giudizio non è una svista neutrale, ma si traduce in una compensazione di fatto, priva però di quella motivazione esplicita che la legge richiede.

Secondo gli Ermellini, il giudice di appello, pur riconoscendo l’errore del primo giudice, ha a sua volta commesso un’ingiustizia non liquidando le spese del secondo grado. Il contribuente, infatti, è stato costretto ad affrontare un ulteriore giudizio, con i relativi costi, unicamente per vedersi riconosciuto un proprio diritto, violato in prima istanza.

Le Motivazioni

La Corte fonda la propria decisione sull’articolo 15 del d.lgs. 546/1992, che regola il governo delle spese processuali nel contenzioso tributario. La norma prevede la condanna della parte soccombente al rimborso delle spese. La compensazione, totale o parziale, è un’eccezione che può essere disposta solo in presenza di ‘gravi ed eccezionali ragioni’, che devono essere specificate nella motivazione della sentenza. La semplice contumacia o la mancata difesa della parte soccombente non rientra in queste ragioni.

Nel caso specifico, il contribuente non solo aveva ragione nel merito, ma era anche ‘incolpevole’ rispetto alla necessità di avviare l’appello. L’impugnazione si era resa necessaria per rimediare a un errore del giudice di primo grado. Pertanto, negargli il rimborso delle spese di appello significherebbe porre a suo carico i costi di un’attività processuale resasi necessaria per colpa altrui. La mancata pronuncia del giudice di secondo grado costituisce un vizio di violazione di legge, perché si traduce in una compensazione non motivata e quindi illegittima.

Le Conclusioni

L’ordinanza in commento rafforza la tutela del diritto di difesa. Stabilisce chiaramente che il vincitore di una causa ha diritto al rimborso integrale delle spese legali sostenute, e che qualsiasi deroga a questo principio deve essere rigorosamente motivata dal giudice. Il fatto che l’avversario scelga di non difendersi non può danneggiare la parte che ha agito legittimamente per la tutela dei propri diritti. Questa pronuncia è un importante monito per i giudici di merito a non trascurare la statuizione sulle spese, la cui omissione non è una semplice dimenticanza, ma una violazione sostanziale delle norme che governano il processo.

Se la controparte non si presenta in tribunale, ho comunque diritto al rimborso delle spese legali in caso di vittoria?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, la contumacia (cioè la mancata costituzione in giudizio) della parte soccombente non è una ragione valida per negare alla parte vittoriosa il rimborso delle spese processuali sostenute.

Un giudice può decidere di compensare le spese legali senza fornire una motivazione?
No. La compensazione delle spese è un’eccezione alla regola generale per cui chi perde paga. Pertanto, deve essere giustificata da ‘gravi ed eccezionali ragioni’ che il giudice è obbligato a indicare esplicitamente nella motivazione della sentenza. Omettere la pronuncia sulle spese equivale a una compensazione non motivata e, di conseguenza, illegittima.

Se devo fare appello per correggere un errore del giudice sulle spese legali, chi paga i costi del secondo giudizio?
Se l’appello viene accolto, hai diritto al rimborso anche delle spese legali sostenute per il giudizio di appello. La Corte ha chiarito che il cittadino non deve subire il costo di un’azione legale resasi necessaria per rimediare a un errore commesso in una precedente fase del giudizio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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