Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 13339 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 13339 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 30981/2021 proposto da:
COGNOME NOME, difeso da se stesso ex art. 86 c.p.c., con domicilio eletto presso il proprio studio, in Roma, INDIRIZZO
PEC: EMAIL
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate, nella persona del Direttore pro tempore; Comune di Messina, nella persona del Sindaco pro tempore ; RAGIONE_SOCIALE nella persona del legale rappresentante pro tempore ;
– intimate –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della SICILIA n. 4605/16/2021, depositata in data 14 maggio 2021, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23 aprile 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
La Commissione tributaria regionale accoglieva parzialmente l’appello proposto da COGNOME Giuseppe avverso la sentenza di primo grado che aveva respinto il ricorso avente ad oggetto l’intimazione di pagamento n. NUMERO_CARTA con il quale era stata eccepita la prescrizione del credito e la mancata notifica delle cartelle di pagamento sottese e degli atti presupposti, aventi ad oggetto Irpef, Irap Iva e altro, per l’annualità 2011.
I giudici di secondo grado, dopo avere ritenuto ammissibile il ricorso e dichiarato la cessazione della materia del contendere per la cartella n. 295 2005 0030461153, hanno affermato che il credito portato dalla cartella n. 295 2008 0030955921 era legittimamente dovuto poiché la cartella di pagamento, avente ad oggetto Irpef, era stata notificata nel dicembre 2008 e il 15 novembre 2017 era stata inserita nell’avviso di intimazione n. 5114, notificato con pec e non impugnato, mentre le cartelle n. 295 2012 0002338432, n. 295 2012 0018459675 e n. 295 2011 0029315325 dovevano considerarsi come mai notificate in quanto la procedura notificatoria non era stata eseguita legittimamente e la mancata impugnazione della cartella, da parte del contribuente, non aveva ottenuto quell’effetto sanante del «raggiungimento dello sc opo» ex art. 156 c.p.c.; nella specie, l’Ufficio non aveva né eseguito direttamente la notificazione, attraverso propri messi, né si era rivolto alle Poste Italiane, ma aveva trasmesso direttamente l’atto affidandone il recapito al Consorzio Stabile Olimpico, che non aveva titolo per
notificare direttamente, senza il tramite di Poste Italiane, atti diversi da quelli per cui era stata rilasciata la licenza individuale speciale.
La Commissione tributaria regionale, poi, ha statuito sulle spese processuale, evidenziando che al parziale accoglimento dell’appello, seguiva la condanna al solo rimborso delle spese vive sostenute per essersi il contribuente difeso personalmente e non anche nella qualità, pari all’esborso per CU sostenuto in entrambi i gradi del giudizio.
COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato ad un motivo.
L’ Agenzia delle Entrate, il Comune di Messina e la società RAGIONE_SOCIALE non hanno svolto difese.
CONSIDERATO CHE
Il primo ed unico motivo deduce la violazione dell’art. 15 del d.lgs. n. 546 del 1992; carente, insufficiente o illogica motivazione sul punto delle spese e la violazione dell’art. 132 c.p.c.; la violazione degli artt. 86, 115 e 116, c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. e 366 c.p.c.; grave travisamento della prova. I giudici di secondo grado avevano deciso per l’annullamento di 4 cartelle su 5 per un valore di euro 10.822,28, su un totale di euro 13.012,91, e, di conseguenza, nel disporre l’azzeramento dei compensi senza una esauriente motivazione, essi non avevano rispettato il criterio di legge per disporre la compensazione delle spese. La CTR aveva disposto il rimborso delle sole spese vive, pari al CU di entrambi i gradi di giudizio, compensando integralmente i compensi « per essersi il contribuente difeso personalmente e non anche nella qualità », ma tale circostanza, oltre a non rientrare nelle ipotesi che la legge prevedeva ai fini della compensazione delle spese di lite, non rispondeva al vero, essendo testualmente contraddetta da quanto dichiarato nell’incipit dell’atto di appello alle righe 4 e 5 di pag. 1, laddove il ricorrente aveva dichiarato
la propria qualità di avvocato, e l’intenzione di difendersi da sé ex art. 86 c.p.c.. La CTR era incorsa in un grave travisamento della prova, il quale poteva ritenersi integrato quando l’informazione probatoria riportata in sentenza fosse contraddetta da uno specifico atto processuale e purché la stessa riguardasse un fatto decisivo della controversia, come nel caso di specie. c La motivazione della CTR era censurabile in sede di legittimità quando era determinata, come nel caso di specie, non già da ragioni di diritto ma dalla qualità del ricorrente-avvocato difensore di se stesso.
1.1 Il motivo è fondato.
1.2 Deve premettersi che, come affermato da questa Corte, anche di recente, l’avvocato che si sia avvalso della facoltà di difesa personale prevista dall’art. 86 c.p.c. svolge una attività professionale in proprio favore e, pertanto, il giudice deve liquidare in suo favore, secondo le regole della soccombenza e in base alle tariffe professionali, i diritti e gli onorari previsti per la sua prestazione (Cass., 19 marzo 2024, n. 7356, in motivazione); si tratta, peraltro, di una prestazione professionale in relazione alla quale non è dovuta l’Iva, posto che il riconoscimento dell’Iva si porrebbe in contrasto con la presunzione di gratuità che assiste simili prestazioni, integrando una sua ingiusta locupletazione (Cass., 28 febbraio 2023, n. 5950; Cass. 18 febbraio 2019, n. 4698; Cass., 17 agosto 2003, n. 12542).
1.3 Ciò posto, va, in primo luogo, precisato che la disciplina della condanna alle spese di cui all’art. 15 del decreto legislativo n. 546 del 1992 riposa, come la norma generale di cui all’art. 91 c.p.c., sul principio della soccombenza, che costituisce espressione del principio di causalità, onde chi abbia dato causa alla necessità dell’introduzione del giudizio col proprio comportamento rivelatosi contra ius è tenuto alla rifusione delle spese anticipate da controparte (Cass., 12 ottobre 2018, n. 25594). Dunque anche nel giudizio tributario si deve fare
corretta applicazione del criterio della soccombenza, che va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse e che identifica la parte soccombente, alla stregua del principio di causalità, con quella che, lasciando insoddisfatta una pretesa riconosciuta fondata, abbia dato causa alla lite ovvero con quella che abbia tenuto nel processo un comportamento rilevatosi ingiustificato e tale accertamento, ai fini della condanna al pagamento delle spese processuali, è rimesso al potere discrezionale del giudice del merito e la conseguente pronuncia è sindacabile in sede di legittimità nella sola ipotesi in cui dette spese, anche solo parzialmente, siano state poste a carico della parte totalmente vittoriosa (Cass., 16 giugno 2011, n. 13229; Cass., 4 agosto 2017, n. 19613).
1.4 In secondo luogo, va evidenziato che, in tema di spese nel giudizio tributario, l’art. 15, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, che è stato modificato dall’art. 9, comma 1, lett. f, del. d.lgs. n. 156 del 2015, con decorrenza dall’1 gennaio 2016, ha introdotto nel processo tributario la disciplina della compensazione delle spese di giudizio in modo autonomo rispetto al codice di procedura civile, stabilendo che « Le spese di giudizio possono essere compensate in tutto o in parte dalla commissione tributaria soltanto in caso di soccombenza reciproca o qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate »; il legislatore tributario, quindi, ha disciplinato le fattispecie di compensazione delle spese di lite autonomamente, e non più tramite il rinvio espresso all’art. 92, secondo comma, cod. proc. civ., come disponeva invece l’art. 15, comma 1, secondo periodo, del d.lgs. n. 546 del 1992, nel testo antecedente alla suddetta novella (a tenore del quale: « La commissione tributaria può dichiarare compensate in tutto o in parte le spese, a norma dell’art. 92, secondo comma, del codice di procedura
civile »); a sua volta, l’art. 92 cod. proc. civ., nella formulazione attualmente vigente (come novellata dall’art. 13, comma 1, del d ecreto legge n. 132 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 162 del 2014, che si applica, a norma dell’art. 13 dello stesso provvedimento, ai processi introdotti a decorrere dal trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione del detto decreto), prevede che il giudice possa, se vi è soccombenza reciproca ovvero nel caso di assoluta novità della questione trattata o di mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti, compensare le spese fra le parti, in parte o per intero; in seguito, la sentenza depositata dalla Corte Costituzionale n. 77 del 7 marzo 2018,, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 92, secondo comma, cod. proc. civ., « nella parte in cui non prevede che il giudice, in caso di soccombenza totale, possa non di meno compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni », con la precisazione che « l’obbligo di motivazione della decisione di compensare le spese di lite, vuoi nelle due ipotesi nominate, vuoi ove ricorrano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni, discende dalla generale prescrizione dell’articolo 111 Cost., comma 6°, che vuole che tutti i provvedimenti giurisdizionali siano motivat i». Dunque, anche nel giudizio tributario, le «gravi ed eccezionali ragioni», che possono sorreggere il provvedimento di compensazione parziale o totale delle spese, devono essere esplicitamente motivate e riguardare specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa (Cass., 27 gennaio 2023, n. 2572; Cass., 3 febbraio 2023, n. 3429; Cass., 8 maggio 2023, n. 12212; Cass., 21 luglio 2023, n. 21956). Peraltro, come già precisato da questa Corte « Nel processo tributario, la compensazione delle spese processuali, ex art. 15, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, come modificato dall’art. 9, comma 1, lett. f, del d.lgs. n. 156 del 2015, è consentita
esplicitando nella motivazione le gravi ed eccezionali ragioni che la sorreggono, che non possono essere illogiche o erronee, configurandosi altrimenti un vizio di violazione di legge, denunciabile in sede di legittimità » (Cass., 8 aprile 2024, n. 9312; Cass., 25 gennaio 2019, n. 2206; Cass., 9 marzo 2017, n. 6059). Inoltre, « Nel processo tributario, la compensazione delle spese processuali, prevista dall’art. 15, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, nel testo modificato dall’art. 9, comma 1, lett. f), n. 2) del d.lgs. n. 156 del 2015, è consentita, oltre che nell’ipotesi di soccombenza reciproca, solo in presenza di ragioni gravi ed eccezionali, da enunciare espressamente nella decisione, quali la condotta processuale della parte soccombente nell’agire e resistere in giudizio, nonché l’incidenza di fattori esterni e non controllabili, tali da rendere, nel caso concreto, contraria al principio di proporzionalità l’applicazione del criterio generale della soccombenza » (Cass., 3 settembre 2024, n. 23592).
1.5 La sentenza impugnata, nella parte in cui, dopo avere rilevato il parziale accoglimento dell’appello, ha statuito la condanna della controparte soccombente al solo rimborso delle spese vive sostenute (pari al contributo unificato sostenuto per entrambi i gradi di giudizio) per essersi il contribuente difeso personalmente e non anche nella qualità, non è conforme ai principi suesposti.
Per le ragioni di cui sopra, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio della causa, per il solo rinnovo della statuizione sulle spese giudiziali, alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo della Sicilia, in diversa
composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, in data 23 aprile 2025.