Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16698 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 16698 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 23/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11457/2016 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in Roma al INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato, dalla quale è rappresentata e difesa ope legis
-resistente- avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA TOSCANA, SEZIONE STACCATA DI LIVORNO, n. 1912/14/15 depositata il 2 novembre 2015
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 3 aprile 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Direzione Provinciale di Livorno dell’Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti della RAGIONE_SOCIALE un avviso di accertamento
con il quale rettificava la dichiarazione dei redditi dalla stessa presentata per l’anno 2006, disconoscendo la deducibilità ai fini delle imposte dirette (IRES e IRAP) e la detraibilità ai fini dell’IVA delle spese di sponsorizzazione asseritamente sostenute dalla prefata società nel periodo in verifica, ritenute dall’Ufficio prive di inerenza all’attività d’impresa e incongrue, e operando le conseguenti riprese fiscali.
La contribuente impugnava l’atto impositivo dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Livorno, che respingeva il suo ricorso.
La decisione veniva successivamente confermata dalla Commissione Tributaria Regionale della Toscana, sezione staccata di Livorno, la quale, con sentenza n. 1912/14/15 del 2 novembre 2015, rigettava l’appello della parte privata soccombente.
Avverso tale sentenza la RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
L’Agenzia delle Entrate si è limitata a depositare un mero , ai soli fini della partecipazione all’eventuale udienza di discussione.
La causa è stata avviata alla trattazione in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c., è denunciato l’omesso esame di un fatto decisivo e controverso, , dal quale era chiaramente evincibile l’interesse della prima .
1.1 La mancata considerazione di tale circostanza avrebbe , inducendo la
CTR a una decisione diversa da quella che altrimenti sarebbe stata adottata.
1.2 La doglianza è inammissibile, in quanto, a fronte di una duplice conforme pronuncia di merito (cd. ‘doppia conforme’), il ricorso per cassazione poteva essere proposto esclusivamente per i motivi di cui ai numeri 1), 2), 3) e 4) dell’art. 360, comma 1, c.p.c., in base al combinato disposto dei commi 4 e 5 dell’art. 348 -ter del medesimo codice; né l’impugnante ha assolto l’onere di dimostrare la diversità delle ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello (cfr. Cass. n. 26934/2023, Cass. n. 5947/2023, Cass. n. 26774/2016).
Con il secondo motivo, proposto a norma dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., è lamentata la falsa applicazione dell’art. 108 del TUIR.
2.1 Viene rimproverato alla CTR di aver erroneamente ritenuto che i costi disconosciuti dall’Ufficio fossero da qualificare come spese di rappresentanza, anziché come spese di pubblicità, senza nemmeno indicare gli elementi probatori posti a base del convincimento espresso.
2.2 Il motivo è inammissibile.
2.3 Muovendo dalla premessa che con l’impugnato avviso di accertamento erano state disconosciute dall’Ufficio le spese di sponsorizzazione sostenute dalla RAGIONE_SOCIALE nell’anno 2006, documentate dalle fatture emesse nei suoi confronti dalla RAGIONE_SOCIALE, la CTR ha osservato che: – non avendo la contribuente dato prova di una diretta aspettativa di ritorno commerciale riconducibile all’attività sponsorizzata, le spese in questione dovevano essere qualificate come di rappresentanza; – ai fini della loro deducibilità ex art. 108, comma 2, del TUIR, andava verificato se le stesse fossero da considerare inerenti e congrue; – la spesa di 11.000 euro appariva «non congrua … a fronte di un reddito
d’impresa… di circa 45.000,00 €» , tanto più perchè essa si riferiva «all’esibizione di un’autovettura per un solo giorno, seppur nell’àmbito del programma del rinomato Motor Show di Bologna» ; -«l’impegno economico della RAGIONE_SOCIALE risulta (va) , altresì, sproporzionato se si considera (va) che un’impresa che operava a livello esclusivamente locale non poteva trovare alcun ritorno di immagine in un messaggio rivolto nei confronti di soggetti che, provenendo da varie parti d’Italia, non conoscevano né la società né la sua attività d’impresa» .
2.4 Il percorso argomentativo sviluppato dal collegio di secondo grado si conforma al consolidato orientamento di questa Corte, ivi espressamente richiamato, secondo cui: – in tema di imposte sui redditi d’impresa, il criterio discretivo fra spese di rappresentanza e spese di pubblicità va individuato negli obiettivi, anche strategici, perseguiti mediante le stesse, i quali, nella prima ipotesi, coincidono con la crescita d’immagine e il maggior prestigio, nonché con il potenziamento delle possibilità di sviluppo della società, mentre nella seconda consistono in una diretta finalità promozionale e di incremento commerciale (cfr. Cass. n. 17028/2021, Cass. n. 32436/2018, Cass. n. 14252/2014); – le spese di sponsorizzazione costituiscono spese di rappresentanza, ove il contribuente non provi che all’attività sponsorizzata sia riconducibile una diretta aspettativa di ritorno commerciale (cfr. Cass. n. 8590/2021, Cass. n. 14473/2018, Cass. n. 28690/2017).
2.5 Ora, lungi dall’individuare eventuali affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che in tesi si pongano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, la ricorrente si limita a contestare la correttezza dell’operata riconduzione delle spese in parola fra quelle di rappresentanza, anziché di pubblicità, e, al fine di dimostrare la fondatezza del proprio assunto, tenta di sollecitare
la Corte a un riesame della valutazione delle emergenze processuali compiuta dai giudici di merito.
2.6 Una censura così formulata non può, tuttavia, trovare ingresso, come da costante giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 20870/2024, Cass. n. 17570/2020, Cass. Sez. Un. n. 22086/2017, nonché Cass. n. 23747/2024, Cass. n. 7730/2022, Cass. n. 5727/2019).
2.7 Essa, oltretutto, non considera che anche le spese di pubblicità, non diversamente da quelle di rappresentanza, sono deducibili soltanto ove ricorrano i requisiti dell’inerenza, della congruità e dell’effettività, i quali, ai sensi dell’art. 109, comma 5, del TUIR, configurano condizioni indispensabili per il riconoscimento fiscale di tutti i costi (cfr. Cass. n. 34464/2021, Cass. n. 25021/2018, Cass. n. 21450/2014).
2.8 Un’eccezione al regime generale previsto dalla disposizione innanzi citata era costituita dall’art. 90, comma 8, della L. n. 289 del 2002, abrogato dall’art. 52, comma 2, lettera a), del D. Lgs. n. 36 del 2021, che in tema di deducibilità delle spese di sponsorizzazione di società e associazioni sportive dilettantistiche fissava una presunzione legale assoluta di inerenza e congruità dei relativi costi (cfr. Cass. n. 96/2025, Cass. n. 29217/2024, Cass. n. 4612/2023).
2.9 Non è questo, però, il caso di specie, per quanto accertato in fatto dalla Commissione regionale.
Con il terzo mezzo, pure introdotto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., sono prospettate la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2729 c.c..
3.1 Si sostiene che l’impugnata decisione poggerebbe su elementi privi di qualsiasi rilevanza, anche solo indiziaria.
3.2 Il motivo è inammissibile perché privo di pertinenza con le ragioni della decisione impugnata.
3.3 La CTR ha rammentato che, «in mancanza di elementi certi e
precisi da parte del Contribuente, non sono deducibili dal reddito d’impresa i costi ritenuti dall’Ufficio non inerenti» .
3.4 Tale enunciazione di principio si pone in linea con il costante insegnamento di questo Supremo Collegio secondo cui, in caso di contestazioni da parte dell’Amministrazione Finanziaria, spetta al contribuente dimostrare l’inerenza e la congruità dei costi portati in deduzione (cfr. Cass. n. 36097/2021, Cass. n. 22825/2020, Cass. n. 18904/2018).
3.5 In applicazione della surriferita «regula iuris» , i giudici «a quibus» , all’esito di un apprezzamento di merito incensurabile in questa sede, hanno escluso che la RAGIONE_SOCIALE avesse assolto l’onere probatorio posto a suo carico, non mancando, peraltro, di evidenziare che una serie di elementi deponevano in senso contrario.
3.6 Rispetto a una motivazione così articolata appare eccentrica la denuncia di violazione dell’art. 2729 c.c., in quanto il ragionamento della Commissione di secondo grado non si fonda sulla prova presuntiva dell’esistenza del maggior reddito contestato dall’Ufficio, bensì sull’omessa dimostrazione, da parte della contribuente, dell’inerenza e della congruità delle spese di sponsorizzazione per cui è causa.
Per le ragioni illustrate, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Nulla va disposto in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità, non avendo l’Agenzia delle Entrate svolto attività difensiva in questa sede.
Stante l’esito dell’impugnazione, viene resa nei confronti della ricorrente l’attestazione contemplata dall’art. 13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), inserito dall’art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la proposta impugnazione, a norma del comma 1bis dello stesso articolo, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione