Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5317 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 5317 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18073/2018 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici è elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna n. 3435/2017, depositata il 13 dicembre 2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15 gennaio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
-La RAGIONE_SOCIALE proponeva separati ricorsi avverso gli avvisi di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO e THS036601006/2012, relativi agli anni d’imposta 2007 e 2008, emessi ai fini IRES, IRAP ed IVA; con tali atti impositivi la p.a. recuperava, rispettivamente, euro 125.000,00 relativamente all’anno di imposta 2007 ed euro 100.000,00 per il 2008, contabilizzati come spese di sponsorizzazione effettuate in favore di due associazioni sportive dilettantistiche, la ASD RAGIONE_SOCIALE e la Cadelbosco Sportiva 2000, perché ritenute non inerenti all’attività esercitata.
Si costituiva l’Agenzia delle entrate chiedendo il rigetto dei ricorsi, successivamente riuniti per ragioni di connessione.
Con sentenza n. 73/02/2013 del 4 aprile 2013, la Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia accoglieva i ricorsi.
-Avverso tale sentenza, proponeva appello l’Agenzia delle entrate.
Si costituiva nel giudizio l’odierna ricorrente, chiedendo la conferma della sentenza di primo grado.
Con sentenza numero 3435/8/2017, depositata il 13 dicembre 2017, la Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna accoglieva l’appello e, per l’effetto, confermava gli avvisi di accertamento impugnati, condannando l’appellata alle spese di lite.
-La RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi.
L ‘Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso.
-Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.
La ricorrente ha depositato una memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 12 della l. 212/2000 (c.d. Statuto del Contribuente), nonché dell’art. 24 e 97 Cost. Eventuale censura di legittimità costituzionale della disposizione dello Statuto, laddove si ritenga che la stessa, nell’interpretazione fornitane dal c.d. diritto vivente, non si a pplichi agli accertamenti impositivi “a tavolino’, in relazione agli artt. 3, 24 e 97 Cost. (art. 360, n. 3, cod. proc. civ.). Parte ricorrente rileva che, contrariamente a quanto affermato dalla Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, l’avviso di accertamento impugnato deve ritenersi radicalmente nullo per violazione del principio del contradditorio endoprocedimentale che, in ossequio alla migliore dottrina e giurisprudenza, deve ritenersi immanente nell’ordinamento giuridico a presidio di valori costituzionalmente tutelati. Infatti, sarebbe pacifico e non controverso tra le parti che le operazioni di verifica si sono concluse il 13.9.2012, mentre l’atto di accertamento per cui è causa è stato notificato il 25.9.2012, ovvero solo dodici giorni dopo la chiusura della verifica stessa, senza consentire al contribuente di sottoporre all’erario le proprie difese e controdeduzioni. Il giudice di appello, in totale riforma della pronuncia resa in primo grado, ha, tuttavia, ritenuto irrilevante tale circostanza sul presupposto, erroneo, che la succitata disposizione si riferisca solo ed esclusivamente agli accessi, ispezioni e verifiche nei locali destinati all’esercizio dell’attività e non anche agli accertamenti eseguiti a tavolino. Contrariamente a quanto opinato dalla Commissione territoriale, il principio del contraddittorio è posto a garanzia e tutela del contribuente ed è da ritenersi elemento essenziale e imprescindibile, ai fini della regolarità della condotta dell’Amministrazione, come sancito in numerose pronunce della Suprema Corte e della Corte di giustizia.
Solo in subordine, ove la RAGIONE_SOCIALE non ritenga di discostarsi dall’orientamento espresso con la sentenza del 9.7.2014 n. 15624 (citata nella sentenza impugnata), si eccepisce l ‘ illegittimità
costituzionale dell’art . 12, comma 7 dello Statuto del contribuente, laddove si ritenga che lo stesso, sulla scorta dell’eventuale interpretazione fornitane dal diritto vivente, stabilisca la necessità del contraddittorio solo in relazione agli accertamenti in loco e non anche per quelli a tavolino: siffatta interpretazione costituirebbe, infatti, una palese violazione degli artt. 3, 24 e 97 Cost, non rinvenendosi alcun criterio ragionevole per discriminare il contribuente, e dunque precludergli o meno la possibilità di fornire utili chiarimenti all’erario, solo in ragione della particolare modalità con cui è eventualmente avvenuto l’accertamento fiscale.
Con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 12 dello Statuto dei diritti del contribuente, in relazione ai cosiddetti tributi armonizzati (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.). Nullità della sentenza perché resa attraverso una mera apparenza argomentativa (art. 360 n. 4 cod. proc. civ.). In ulteriore subordine si evidenzia come il giudice del gravame non abbia fatto buon governo dell’art. 12 della l . 212/00, anche nell’interpretazione restrittiva, in relazione anche ai cc.dd. tributi armonizzati. La Commissione tributaria regionale , pur affermando l’obbligo d el contraddittorio endoprocedimentale anche solo per quanto concerne i tributi armonizzati, ha respinto, con una mera petizione di principio e senza dar conto dell’iter logico -argomentativo seguito, l’intero ricorso della contribuente senza avvedersi che il giudizio concerneva sia tributi non armonizzati sia l’IVA che rientra fra i tributi c.d. ‘armonizzati’ e, dunque, almeno per essa vigeva un obbligo generalizzato di contraddittorio.
1.1. -I motivi, da trattarsi congiuntamente, sono infondati.
In via preliminare deve escludersi l’in ammissibilità del secondo motivo di censura, giacché la sua formulazione permette di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate, di fatto scindibili, onde consentirne l’esame separato, esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi
diversi, singolarmente numerati (Cass., Sez. I, 9 dicembre 2021, n. 39169).
Riguardo alle censure sollevate, va osservato che secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, in conformità agli orientamenti della Corte di giustizia dell’Unione europea, in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito (Cass., Sez. VI-5, 29 ottobre 2018, n. 27421; Cass., Sez. VI-5, 11 maggio 2018; Cass., Sez. Un., 9 dicembre 2015, n. 24823).
Pertanto, il contribuente deve assolvere in giudizio all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, contenuto che può essere desunto in positivo anche dal comportamento tenuto dall’Amministrazione finanziaria nel caso concreto successivamente alla notifica dell’atto impositivo (Cass., Sez. V, 20 dicembre 2022, n. 37234).
Nel caso di specie, gli accertamenti impugnati concernevano non solo l’IRES e l’IRAP , ma altresì l’IVA, imposta ‘ armonizzata ‘ .
Fermo restando, pertanto, che non sussisteva alcun obbligo di contraddittorio per le imposte non armonizzate (IRES e IRAP), non è stata fornita la prova in concreto delle ragioni che la parte avrebbe potuto far valere in maniera non meramente pretestuosa (c.d. prova di “resistenza”).
Priva di pregio -e manifestamente infondata alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea e del rilievo delle imposte armonizzate -risulta l’eccezione di legittimità costituzionale, formulata in subordine al primo motivo, dell’art. 12, comma 7 dello Statuto del contribuente, laddove si ritenga che lo stesso statuisca la necessità immanente del contraddittorio solo in relazione agli accertamenti sui luoghi e non anche per quelli a tavolino, stante la diversità tra le fattispecie richiamate, giacché il principio di uguaglianza non può essere invocato quando trattasi di situazioni intrinsecamente ‘ eterogenee ‘ (Corte cost. n. 171 del 1982) o quando si tratti di situazioni che, pur derivanti da basi comuni, differiscano tra loro per aspetti distintivi particolari (Corte cost. n. 100 del 1976).
2. -Con il terzo motivo di ricorso si deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 cod. civ. , 115, comma 1 e 116 cod. proc. civ. e 62 del d.lgs. n. 546 del 1992 (artt. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.). La sentenza impugnata avrebbe fatto malgoverno di tali disposizioni laddove i giudici hanno stabilito che « non può trovare ingresso, ai fini probatori, eventuali dichiarazioni sostitutive di atto notorio rilasciate dai responsabili delle associazioni sportive » in quanto « la società appellata non ha fornito la prova documentale (servizi fotografici, locandine con il logo della stessa, pubblicazioni come giornali e riviste locali, ecc.), in base alla quale sarebbe stato possibile dedurre un’attività di pubblicità posta in essere dalle compagini sportive beneficiarie delle erogazioni ». La società contribuente, unitamente ai ricorsi proposti avverso gli avvisi di accertamento emessi per gli anni 2007 e 2008, aveva depositato presso la Commissione tributaria provinciale le “dichiarazioni di terzi’ rese da dirigenti delle società sportive dilettantistiche beneficiarie della sponsorizzazione, riportate testualmente nel ricorso. La Commissione tributaria regionale ha invece aprioristicamente
rifiutato di esaminarle, omettendo di confrontarne il contenuto con la restante produzione documentale.
2.1. -Il motivo è inammissibile.
La censura non coglie la ratio della decisione giacché la Commissione tributaria regionale non ha negato in astratto l’ammissibilità delle prove costituite dalle dichiarazioni in questione, ma ha ritenuto che le stesse non potessero avere alcun rilievo probatorio in mancanza di elementi documentali tali da fornire la prova diretta di un’attività di pubblicità posta in essere dalle compagini sportive beneficiare delle erogazioni.
3. -Con il quarto motivo di ricorso si prospetta la nullità della sentenza per violazione degli artt. 36, comma 2, n. 4, del d.lgs. 31.12.1992, n. 546, 132, n. 4, del cod. proc. civ., 118 delle disposizioni attuative cod. proc. civ. e 111, comma 6, della Costituzione e 62 d.lgs. n. 546 del 1992 (artt. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ.). La sentenza impugnata viene altresì censurata nella parte in cui, limitandosi a una affermazione generica e apodittica, ometterebbe di indicare e di esaminare approfonditamente gli elementi probatori documentali offerti dalla contribuente senza spiegare le ragioni in base alle quali la documentazione giustificativa allegata dalla società è stata ritenuta insufficiente rispetto alla necessaria prova dell’effettivo svolgimento delle prestazioni pubblicitarie e, rendendo in tal modo impossibile un controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento. I giudici di seconde cure, nonostante affermino che l’odierna ricorrente avrebbe dovuto produrre «locandine con il logo» della società ricorrente, omettono di motivare l’irrilevanza, oltre che dei contratti stipulati dalla società ricorrente con le società sportive dilettantistiche, della «scheda di partecipazione al torneo Cavazzoli per l’anno 2008 della RAGIONE_SOCIALE» che menziona espressamente la RAGIONE_SOCIALE come sponsor della squadra di calcio della società sportiva dilettantistica RAGIONE_SOCIALE.
Con il quinto motivo di ricorso si prospetta l’ illegittimità della sentenza per omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetti di discussione tra le parti (artt. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. e 62 d.lgs. n. 546 del 1992). I giudici avrebbero inoltre omesso di esaminare talune circostanze di fatto risultanti dagli atti processuali (contratti di pubblicità, dichiarazioni di terzi, partecipazione a una competizione sportiva e al campionato di calcio), che hanno formato oggetto di discussione tra le parti e che appaiano decis ive ai fini della prova dello svolgimento di un’attività pubblicitaria da parte delle società sportive dilettantistiche sponsorizzate durante la loro partecipazione a campionati o tornei sportivi e, quindi, ai fini di una diversa soluzione della controversia.
3.1. -I motivi, da trattarsi congiuntamente, sono infondati.
In seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, l’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111, sesto comma, Cost. e, nel processo civile, dall’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. (Cass., Sez. VI-3, 25 settembre 2018, n. 22598) per cui il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. (Cass., Sez. I, 3 marzo 2022, n. 7090)
Nel caso di specie non sussiste alcuna lesione del «minimo costituzionale» avendo la Commissione tributaria regionale -con una motivazione sintetica ma sufficiente a far comprendere la ratio della
decisione assunta -escluso la sussistenza di una prova documentale alla luce delle risultanze istruttorie, confermando l’apprezzamento compiuto in sede amministrativa.
Riguardo alle circostanze dedotte, mentre le dichiarazioni provenienti da terzi sono state considerate non determinanti in assenza di specifica documentazione atta a dimostrare l’esistenza delle prestazioni pubblicitarie, gli ulteriori elementi allegati non appaiono di per sé decisivi, considerata la genericità delle prestazioni pubblicitarie dedotte nei contratti e il rilievo circoscritto della partecipazione a una competizione e a un campionato, a fronte dell’apprezzamento compiuto in sede di merito, che ha evidenziato l’assenza di una prova documentale (servizi fotografici, locandine con il logo della società, pubblicazioni in giornali e riviste locali) idonea a provare l’effettività delle prestazioni pubblicitarie.
4. -Con il sesto motivo si prospetta la violazione dell’art. 2697 cod. civ . e, comunque, delle norme circa la distribuzione dell’onere probatorio, nonché del principio della c.d. vicinanza della prova. Violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. e dell’art. 90, comma 8, L. 289/2002 (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.). Omesso esame di fatti decisivi per il giudizio i quali sono stati discussi tra le parti (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.). La sentenza impugnata non avrebbe infine fatto buon governo neppure delle norme circa la distribuzione dell’ onus probandi . Si evidenzia che, trattandosi di sponsorizzazione in favore di associazioni sportive, l’unica prestazione richiesta alla contribuente era di fornire il denaro per provvedere a pubblicizzare, nelle forme che questi ultimi avrebbero preferito (il contratto, infatti, lasciava ampia libertà sul punto), il marchio o comunque il nome dell’odierna ricorrente: spettava poi alle associazioni di far inserire il logo e/o il marchio della RAGIONE_SOCIALE sulle riviste, sulle tute sociali, sui calendari o su quant’altro, al fine di veicolare il nome e l’attività del proprio sponsor. Pertanto, non potrebbe lamentare la Commissione la mancata produzione del materiale fotografico e
pubblicitario siccome elencato nella sentenza, ai fini di vedere riconosciuta la deducibilità delle sponsorizzazioni. Si evidenzia, altresì, che il materiale fotografico e documentale sarebbe stato effettivamente fornito nella misura in cui lo stesso è stato conservato dagli stessi enti sportivi che hanno fatto avere copia dei calendari sportivi, contenenti il logo della patrocinata, ritualmente e tempestivamente prodotti in giudizio.
4.1. -Il motivo è infondato.
Al di là della commistione in un unico motivo di plurime censure afferenti a diversi profili di dedotta illegittimità, deve osservarsi che, non sussiste alcuna violazione dell’onere della prova, tenuto conto dell’accertamento compiuto in fatto, così come riportato nell’esame dei precedenti motivi. Le circostanze dedotte, infatti, sono state considerate non decisive per il giudizio, mentre difettano di specificità i richiami a fatture e a contabilità bancaria, che attesterebbero l’erogazione delle somme, così come del materiale fotografico e documentale che sarebbe stato fornito dalle società sportive.
Riguardo al regime di cui all’art. 90, comma 8, della l. n. 289 del 2002, nel testo vigente ratione temporis , la disposizione fissa una presunzione assoluta di inerenza e congruità delle sponsorizzazioni rese a favore di imprese sportive dilettantistiche laddove i corrispettivi erogati siano effettivamente destinati alla promozione dell’immagine o dei prodotti del soggetto erogante e sia riscontrata, a fronte dell’erogazione, una specifica attività del beneficiario della medesima, consentendo, di conseguenza, di ritenere integralmente deducibili tali spese dal reddito del soggetto sponsor (Cass., Sez. V, 14 febbraio 2023, n. 4612).
La norma in questione presuppone tuttavia la dimostrazione dell’esistenza del costo, nella specie non provata, come appurato dalla Commissione tributaria regionale.
5. -Il ricorso va dunque rigettato.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.900,00 per compensi, oltre alle spese prenotate addebito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 15 gennaio 2025.