Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24147 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 24147 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6397/2016 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO presso RAGIONE_SOCIALE;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e difende;
-controricorrente/ricorrente incidentale –
Oggetto:
IVA – operazioni infracomunitarie
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania n. 8812/18/15, depositata il 6 ottobre 2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24 aprile 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
Con la sentenza impugnata la Commissione tributaria regionale della Campania accoglieva parzialmente l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza n. 14536/41/14 della Commissione tributaria provinciale di Napoli che ne aveva respinto il ricorsi contro gli avvisi di accertamento per II.DD. ed IVA 2008/2009.
La CTR, nella parte della sentenza impugnata che qui rileva, osservava in particolare che:
-era infondata la pretesa creditoria erariale in relazione alla, contestata, detrazione dell’IVA per le sponsorizzazioni RAGIONE_SOCIALE;
-era invece fondata la pretesa creditoria erariale in relazione al recupero per acquisti da operatori comunitari per l’anno 2008.
Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione la società contribuente deducendo quattro motivi, poi illustrati con una memoria.
Resiste con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE che peraltro propone ricorso incidentale affidato ad un motivo unico.
Considerato che:
Con il primo motivo -ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.- la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 2697, 2700, cod. civ. e dei principi sulla valenza probatoria RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni di terzi, poiché la CTR ha valorizzato gli elenchi INTRASTAT, ad essi attribuendo valore di prova legale (fede privilegiata).
La censura è inammissibile e comunque infondata.
Va infatti ribadito che:
-«Con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la
valutazione RAGIONE_SOCIALE risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito poiché la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità» (Cass., n. 29404 del 07/12/2017, Rv. 646976 – 01); «Con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e RAGIONE_SOCIALE prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione» (Cass., n. 9097 del 07/04/2017, Rv. 643792 – 01);
-«La violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. si configura nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione RAGIONE_SOCIALE acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poichè in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c.» (Cass., n. 17313 del 19/08/2020, Rv. 658541 – 01).
Appare evidente che con il mezzo in esame si richieda alla Corte di sindacare la valutazione RAGIONE_SOCIALE prove data dal giudice tributario di appello, che peraltro ha correttamente attribuito gli oneri probatori rispettivamente all’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ed alla società contribuente.
Peraltro l’affermazione che le risultanze dell’Anagrafe tributaria (elenchi INTRASTAT) abbiano “fede privilegiata” deve considerarsi una mera imprecisione lessicale, posto che la CTR campana in realtà ha “bilanciato” la valutazione di tale elemento di prova con le contro prove offerte dalla contribuente, esprimendo quindi un giudizio di mancato assolvimento del relativo onere processuale da parte di quest’ultima.
Tale argomentazione è univocamente incompatibile con l’attribuzione della natura di prova legale alla documentazione utilizzata primariamente dall’RAGIONE_SOCIALE.
Con il secondo motivo -ex art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.- la ricorrente si duole dell’erroneità del giudizio comparativo tra le prove dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e le sue.
La censura è inammissibile.
Sono orientamenti fermi di questa Corte che:
-«In tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, RAGIONE_SOCIALE prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione» (Cass., n. 27000 del 27/12/2016, Rv. 642299 – 01);
-«In tema di valutazione RAGIONE_SOCIALE prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione RAGIONE_SOCIALE predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme
processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012» (Sez. 3 – , Sentenza n. 23940 del 12/10/2017, Rv. 645828 – 02);
-«Il giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prova che ritenga più attendibili e idonee alla formazione dello stesso, né gli è richiesto di dar conto, nella motivazione, dell’esame di tutte le allegazioni e prospettazioni RAGIONE_SOCIALE parti e di tutte le prove acquisite al processo, essendo sufficiente che egli esponga – in maniera concisa ma logicamente adeguata – gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione e le prove ritenute idonee a confortarla, dovendo reputarsi implicitamente disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo svolto» (Cass., n. 29730 del 29/12/2020, Rv. 660157 – 01).
Risulta chiaro che il mezzo in esame è articolato al di fuori del perimetro del giudizio di legittimità, secondo il parametro prescelto, e che quindi inammissibilmente intenda provocare una revisione del giudizio -di merito- sul materiale probatorio pacificamente inibito a questa Corte.
Con il terzo motivo -ex art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.- la ricorrente denuncia l’omessa pronuncia sulla sua eccezione di invalidità dell’atto impositivo impugnato per vizio motivazionale.
Con il quarto motivo -ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.la ricorrente gradatamente deduce la violazione dell’art. 7, legge 212/2000, se ed in quanto la CTR abbia ritenuto infondata l’eccezione di cui al mezzo che precede.
Le censure, da esaminarsi congiuntamente per connessione, sono infondate.
Anzitutto deve ribadirsi che «Non ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo» (Cass. n. 29191 del 06/12/2017, Rv. 646290 – 01), il che è appunto avvenuto nel caso di specie, posto che il giudice tributario di appello ha deciso il meritum causae (sul punto specifico), implicitamente rigettando l’eccezione formale in questione.
Peraltro deve in ogni caso darsi seguito all’ulteriore consolidato principio di diritto che «Alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111, comma secondo, Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 cod. proc. civ. ispirata a tali principi, una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di appello, la Corte di cassazione può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto posta con il suddetto motivo risulti infondata, di modo che la pronuncia da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello (determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito), sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto» (Cass. n. 2313 del 01/02/2010; ex pluribus conf. Cass. n. 16171 del 28/06/2017; Cass. n. 9693 del 19/04/2018).
E non è dubbio che l’eccezione in questione sia infondata, posto dallo stesso ricorso (pag. 4) emerge inequivocabilmente che la motivazione dell’avviso di accertamento in parte qua era del tutto esaustivamente motivato, essendo onere della società contribuente controprovare in ordine alla mancata contabilizzazione degli
acquisti infracomunitari, sulla base RAGIONE_SOCIALE proprie scritture, così come rilevato dal giudice tributario di appello.
Con l’unico motivo dedotto ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.l’RAGIONE_SOCIALE ricorrente incidentale lamenta la violazione/falsa applicazione degli artt. 109, commi 1-5, dPR 917/1986, 2697, cod. civ., poiché la CTR ha statuito l’infondatezza RAGIONE_SOCIALE sue pretese creditorie in ordine ai costi di sponsorizzazione di RAGIONE_SOCIALE.
La censura è infondata.
Accertato in fatto e peraltro pacifico che le beneficiarie di tali spese sono state RAGIONE_SOCIALE, bisogna ricordare che il testo normativo de quo (art. 90, legge 289/2002 dispone che « Il corrispettivo in denaro o in natura in favore di società, associazioni RAGIONE_SOCIALE e fondazioni costituite da istituzioni scolastiche, nonché di associazioni RAGIONE_SOCIALE scolastiche che svolgono attività nei settori giovanili riconosciuta dalle Federazioni RAGIONE_SOCIALE nazionali o da enti di promozione sportiva costituisce, per il soggetto erogante, fino ad un importo annuo complessivamente non superiore a 200.000 euro, spesa di pubblicità, volta alla promozione dell’immagine o dei prodotti del soggetto erogante mediante una specifica attività del beneficiario, ai sensi dell’articolo 74, comma 2, del testo unico RAGIONE_SOCIALE imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 ».
Come già precisato da questa Corte (Sez. 5. n. 5720/2016; Sez. 65 nn. 8981-14232-14235/2017), tale norma agevolativa ha introdotto una ‘presunzione legale assoluta’ circa la natura pubblicitaria e non di rappresentanza di dette spese di sponsorizzazione, peraltro ponendo precise condizioni per la sua applicabilità e precisamente che: a) il soggetto sponsorizzato sia una compagine sportiva RAGIONE_SOCIALE; b) sia rispettato il limite quantitativo di spesa; c) la sponsorizzazione miri a promuovere l’immagine ed i prodotti dello sponsor; d) il soggetto sponsorizzato
abbia effettivamente posto in essere una specifica attività promozionale (es. apposizione del marchio sulle divise, esibizione di striscioni e/o tabelloni sul campo da gioco, etc.).
Data l’assolutezza della presunzione deve considerarsi irrilevante la considerazione della ‘antieconomicità’ della spesa de qua , in ragione della affermata irragionevole sproporzione tra l’entità della stessa rispetto al fatturato/utile di esercizio della società contribuente. Infatti tale presunzione legale riguarda sia la ‘natura’ della spesa, quale spesa pubblicitaria, sia l’inerenza della spesa stessa sino alla soglia, normativamente fissata, dell’importo di euro 200.000.
Ciò posto, la sentenza impugnata, è pienamente conforme alla consolidata giurisprudenza di questa Corte e dunque non merita cassazione in parte qua .
In conclusione, vanno rigettati sia il ricorso principale che il ricorso incidentale.
Stante la reciproca soccombenza le spese del giudizio possono essere compensate.