Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 23298 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 23298 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4506/2017 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. DELLA TOSCANA n. 1273/2016 depositata il 08/07/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/06/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle Entrate provvedeva a notificare tre avvisi di accertamento alla NOME RAGIONE_SOCIALE, in relazione agli anni d’imposta 2006, 2007, 2008, recuperando i costi sostenuti dalla medesima – esercente attività di installazione di impianti elettrici per l’attività di sponsorizzazione in favore di associazioni sportive dilettantistiche. In particolare, la ripresa avveniva, da un lato, con riguardo alle operazioni di sponsorizzazione eseguite in favore della RAGIONE_SOCIALE, ritenute parzialmente inesistenti nella misura del 70% e, pertanto, fatte oggetto di recupero nei limiti di detta percentuale; dall’altro lato, con riguardo alle operazioni di sponsorizzazione eseguite nei confronti della RAGIONE_SOCIALE e del RAGIONE_SOCIALE, reputate parzialmente non inerenti, sempre nella misura del 70%, con conseguente recupero a tassazione degli esborsi entro detto perimetro percentualistico.
La CTP di Siena accoglieva parzialmente il ricorso ridimensionando il quantum della ripresa fiscale, in particolare stimando nel 30% l’inesistenza delle operazioni rese in favore di RAGIONE_SOCIALE e computando nel 50% la non inerenza degli esborsi sostenuti in favore della RAGIONE_SOCIALE e del RAGIONE_SOCIALE.
La CTR della Toscana accoglieva il successivo appello dell’Ufficio, confermando i recuperi fiscali nella loro interezza.
La NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE affida il proprio ricorso per cassazione a nove motivi. Resiste l’Agenzia con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si assume la nullità della sentenza per inammissibilità dell’appello erariale, avuto riguardo alla violazione del combinato disposto degli artt. 22 e 53 D.Lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c.
Con il secondo motivo si adduce ‘ la nullità della sentenza per omessa pronuncia sul primo motivo di impugnazione: nullità della sentenza della C.T.P. di Siena, in violazione degli art. 36, comma 2 e 1 D.Lgs. 546/1992, in violazione degli artt. 112 e 132, comma 2, c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. (in relazione agli accertamenti emessi nei confronti dei soci, dal 2006 al 2010)’.
Con il terzo motivo si stigmatizza la violazione dell’art. 43 d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 57 d.P.R. n. 633 del 1972, nella formulazione anteriore alla modifica introdotta con la L. n. 208 del 2015, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., per avere il giudice ritenuto erroneamente la sussistenza del presupposto dell’obbligo di denuncia idoneo a postulare il ‘raddoppio dei termini’ per l’accertamento.
Con il quarto motivo si deduce la nullità della sentenza per omessa pronuncia sul secondo motivo di impugnazione, relativo all’inapplicabilità della disciplina del c.d. ‘raddoppio dei termini’ in materia di IRAP, in violazione degli artt. 1 e 36, co. 2, D.Lgs. n. 546 del 1992, in violazione altresì degli artt. 112 e 132, co. 2, c.p.c., avuto riguardo all’art. 360, n. 4, c.p.c.
Con il quinto motivo di ricorso si assume la nullità della sentenza per omessa pronuncia sul secondo motivo di impugnazione, in particolare menzionando la ‘ inapplicabilità della disciplina del c.d. raddoppio dei termini a rilievi (indeducibilità di un costo non inerente/antieconomico) che non hanno rilevanza penal -tributaria, in violazione degli artt. 1 e 36, co. 2, D.Lgs. n. 546 del 1992, in
violazione altresì degli artt. 112 e 132, co. 2, c.p.c., avuto riguardo all’art. 360, n. 4, c.p.c. ‘.
Con il sesto motivo si denuncia la nullità della sentenza per omessa pronuncia del secondo motivo di impugnazione, segnalando l’inapplicabilità del c.d. ‘raddoppio dei termini’, in ipotesi di reato riferibile ad una società, al socio che non ne è né amministratore, né legale rappresentante, ‘ in violazione degli artt. 1 e 36, co. 2, D.Lgs. n. 546 del 1992, in violazione altresì degli artt. 112 e 132, co. 2, c.p.c., avuto riguardo all’art. 360, n. 4, c.p.c.’
Con il settimo motivo di ricorso si assume la violazione dell’art. 90, co. 8, L. n. 289 del 2012 nonché degli artt. 108, co. 2, e 109, co. 5, TUIR, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., per avere la CTR erroneamente ritenuto che l’operatività dell’agevolazione invocata dalla contribuente fosse subordinata ‘ alla verifica della natura e dell’inerenza della spesa ‘.
Con l’ottavo motivo di ricorso si assume la nullità della sentenza per carenza di motivazione in violazione dell’art. 111 Cost. e degli artt. 1 e 36, co. 2, D.Lgs. n. 546 del 1992, avuto riguardo all’art. 360, n. 4, c.p.c.
Con il nono motivo si denuncia la nullità della sentenza per omessa pronuncia sul terzo motivo di impugnazione, ossia sull’insufficienza degli elementi probatori citati dall’Ufficio a supporto del recupero a tassazione e sull’inesistenza di presunzioni gravi, precise e concordanti, in violazione degli artt. 39, co. 1, lett. d), e 41 -bis d.P.R. n. 600 del 1973, nonché 24 e 25 D.Lgs. n. 446 del 1997 e 54 d.P.R: n. 633 del 1972, in violazione degli artt. 1 e 36, co. 2, D.Lgs. n. 546 del 1992, in violazione degli artt. 112 e 132, co. 2, c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c.
Il primo motivo non coglie nel segno e va disatteso.
La questione agitata è vistosamente inedita, non essendo evocata nella sentenza aggredita.
Il motivo è inammissibile per la novità della questione dedotta, che non risulta dal provvedimento impugnato, rilevandosi, sul punto, il ricorso privo di autosufficienza perché non rispettoso del noto principio secondo cui « Qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorso deve, a pena di inammissibilità, non solo allegare l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto in virtù del principio di autosufficienza del ricorso. I motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito né rilevabili d’ufficio » (Cass., 9 luglio 2013, n. 17041; Cass., 9 agosto 2018, n. 20694; Cass., 13 giugno 2018, n. 15430; Cass., 13 agosto 2018, n. 20712).
È noto, d’altronde, che i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello e non si possono prospettare nuove questioni di diritto ovvero nuovi temi di contestazione che implichino indagini e accertamenti di fatto non effettuati dal giudice di merito, nemmeno se si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (Cass., 13 giugno 2018, n. 15430) e, in quest’ottica, il ricorrente ha l’onere di riportare, a pena d’inammissibilità, dettagliatamente in ricorso gli esatti termini della questione posta al giudice di merito (Cass., 9 luglio 2013, n. 17041).
Il motivo è, in ogni caso, pure infondato.
Ancora di recente questa Corte ha condivisibilmente affermato che ‘ In tema di impugnazioni nel processo tributario, la spedizione a mezzo posta dell’atto d’appello in busta chiusa, anziché in plico
senza busta ex art. 20 del d.lgs. n. 546 del 1992, determina una mera irregolarità in assenza di contestazioni sul contenuto della busta e sulla sua riferibilità alla parte; ne consegue che la regola del citato art. 20 -secondo la quale la notificazione del ricorso alla Commissione Tributaria eseguita a mezzo del servizio postale si perfeziona, per il notificante, alla data di spedizione dell’atto, anziché a quella della sua ricezione da parte del destinatario -è applicabile anche alla spedizione effettuata in plico raccomandata in busta chiusa, poiché, essendo la prescrizione dell’invio volta esclusivamente a conferire certezza in ordine all’individuazione dell’atto notificato, non v’è ragione di discostarsi da detta regola, quale espressione di un principio generale applicabile anche al processo tributario, in assenza di contestazioni del destinatario sulla effettiva corrispondenza fra l’atto contenuto nella busta e l’originale depositato ‘ (v. ex multis Cass. 31196 del 2024).
Il secondo motivo è inammissibile e comunque infondato.
Il profilo il cui esame si assume trascurato si risolve in una semplice imperfezione formale, irrilevante ai fini della validità della sentenza. L’omissione segnalata è intrinsecamente insuscettibile di tradursi in un vizio tale da determinare un effetto invalidante della sentenza, non avendo inciso sull’attività del giudice e non investendo un punto decisivo sol che si consideri che riguardava le posizioni dei soci e le sentenze emesse in distinti giudizi. Le decisioni evocate nella censura sono quelle recanti i nn. 1277/5/16 e 1275/5/2016 e non vengono in alcun modo precisati i profili di interferenza rispetto all’odierno giudizio.
Il terzo motivo è suscettibile d’essere trattato unitamente al quinto motivo, investendo ambedue le censure il medesimo aspetto.
I motivi sono infondati e vanno respinti.
Secondo la disciplina applicabile ratione temporis alla presente fattispecie (trattandosi di avvisi di accertamento notificati nell’anno 2013), il raddoppio dei termini deriva dal mero riscontro di fatti
comportanti ‘ l’obbligo di denuncia penale ai sensi dell’art. 331 c.p.p. ‘, indipendentemente dall’effettiva presentazione della denuncia, dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento penale del reato, restando irrilevante, in particolare, che l’azione penale non sia perseguita o sia intervenuta una decisione penale di proscioglimento, di assoluzione o di condanna (Cass. n. 11171 del 2016; Cass. n. 24576 del 2022).
La Corte costituzionale (sent. n. 247 del 2011) ha, infatti, affermato che l’unica condizione per il raddoppio dei termini è costituita dalla sussistenza dell’obbligo di denuncia penale, indipendentemente dal momento in cui tale obbligo sorga ed indipendentemente dal suo adempimento, sicché « il giudice tributario dovrà controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, compiendo, al riguardo, una valutazione ora per allora (cosiddetta «prognosi postuma») circa la loro ricorrenza ed accertando, quindi, se l’Amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità o abbia, invece, fatto uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni denunciate al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento ».
Nella specie, la CTR si è attenuta ai principi riassunti, per un verso richiamandoli, per altro verso accertando che ‘ nel nostro caso si ritiene di poter confermare la gravità dei riscontri dell’Ufficio in ordine all’ipotizzata dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fattura per operazioni inesistenti, come si evince dalla richiesta di rinvio a giudizio nei confronti dei soci fondatori ed amministratori delle associazioni emittenti le stesse fatture ‘.
Il quarto motivo è fondato.
In ossequio al principio di autosufficienza e specificità la ricorrente ha dimostrato d’aver reiteratamente dedotto la questione dell’inapplicabilità del meccanismo del raddoppio all’Irap. Su detta questione la sentenza d’appello ha sorvolato. La statuizione che
ritiene operativa la disciplina del raddoppio s’infrange, proprio in relazione all’Irap, sui principi nomofilattici, alla cui stregua ‘ In tema di accertamento, il cd. raddoppio dei termini, previsto dall’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, non si applica all’IRAP, poiché le violazioni delle relative disposizioni non sono presidiate da sanzioni penali’ (Cass. n. 600 del 2025; Cass. n. 10483 del 2018) .
Il sesto motivo è inammissibile e comunque infondato.
Premesso che (come si è già evidenziato con riferimento al secondo motivo) non vengono in alcun modo precisati i profili di interferenza delle decisioni evocate nella censura rispetto all’odierno giudizio, occorre rilevare che il ‘raddoppio dei termini’ è applicabile indipendentemente dalla qualifica soggettiva della persona che ha commesso il reato tributario purché il reato stesso sia riconducibile all’attività della società contribuente e consti come obbligatoria la denuncia penale. Invero, ai fini del raddoppio dei termini per l’accertamento, ai sensi dell’art. 43, co. 3, d.P.R. n. 600 del 1973, applicabile ratione temporis , quel che conta è la riferibilità del fatto -reato, sotto il profilo oggettivo, alla società contribuente. In linea di principio, pertanto il raddoppio in parola è legittimamente operato anche in ipotesi in cui l’autore materiale del reato non sia un soggetto dotato di una qualifica formale all’interno dell’ente, sempreché – come nella specie – il reato risulti strettamente connesso all’attività dell’ente e ad essa riferibile, ovvero sussista una condotta penalmente rilevante inserita nell’alveo dell’attività societaria.
Il settimo motivo è fondato nei termini di seguito indicati.
Non è infatti dubbio che l’art. 90, co. 8, L. n. 289 del 2012 abbia sancito una presunzione legale di inerenza/deducibilità delle spese de quibus sino alla concorrenza di euro 200.000, qualora erogate a associazioni sportive dilettantistiche, se (a) il soggetto sponsorizzato sia una compagine sportiva dilettantistica, (b) sia rispettato il limite quantitativo di spesa, (c) la sponsorizzazione miri
a promuovere l’immagine ed i prodotti dello sponsor, (d) il soggetto sponsorizzato abbia effettivamente posto in essere una specifica attività promozionale (es. apposizione del marchio sulle divise, esibizione di striscioni e/o tabelloni sul campo da gioco, etc.) (così Cass. n. 5720 del 2016).
La CTR, in contrasto con questo assodato principio, sostiene invece tout court anche la necessità di verifica dell’inerenza; in tal senso essa si scontra, fino alla segnalata soglia di euro 200.000, con il principio alla cui stregua ‘ In tema di spese di sponsorizzazione, il regime di cui all’art. 90, comma 8, della l. n. 289 del 2002, nel testo vigente “ratione temporis”, fissa una presunzione assoluta di inerenza e congruità delle sponsorizzazioni rese a favore di imprese sportive dilettantistiche laddove i corrispettivi erogati siano destinati alla promozione dell’immagine o dei prodotti del soggetto erogante e sia riscontrata, a fronte dell’erogazione, una specifica attività del beneficiario della medesima, consentendo, di conseguenza, di ritenere integralmente deducibili tali spese dal reddito del soggetto sponsor ‘ (Cass. n. 4612 del 2023; Cass. n. 14232 del 2017).
L’ottavo motivo e il nono motivo restano assorbiti.
In ultima analisi, il ricorso va accolto per quanto di ragione in riferimento ai motivi quarto e settimo, respinti i motivi primo, secondo, terzo, quinto e sesto e assorbiti l’ottavo e il nono motivo. La sentenza d’appello va cassata, in relazione ai motivi acolti, e la causa rinviata, per un nuovo esame e per la regolazione delle spese del giudizio, alla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado della Toscana in diversa composizione.
P.Q.M.
Accoglie il quarto e il settimo motivo di ricorso, respinti i motivi primo, secondo, terzo, quinto e sesto, e assorbiti l’ottavo e il nono motivo. Cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti,
e rinvia la causa, per un nuovo esame e per la regolazione delle spese del giudizio, alla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado della Toscana in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 26/06/2025.