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Spese di sponsorizzazione: la prova è essenziale

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 19075/2025, ha annullato una sentenza che aveva riconosciuto la deducibilità di spese di sponsorizzazione senza verificare la prova dell’effettiva attività promozionale. La presunzione legale di inerenza prevista per tali costi non esime il contribuente dal dimostrare l’avvenuta controprestazione.

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Pubblicato il 21 agosto 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Spese di Sponsorizzazione: La Prova dell’Attività è Fondamentale

Le spese di sponsorizzazione a favore di associazioni sportive dilettantistiche godono di un regime fiscale agevolato, ma questo non esonera le aziende dal loro onere probatorio. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio cruciale: la presunzione legale di deducibilità non sostituisce la necessità di dimostrare che la sponsorizzazione sia effettivamente avvenuta attraverso specifiche attività promozionali. Analizziamo insieme questa importante decisione.

Il Contesto del Caso: Dalla Contestazione al Ricorso in Cassazione

Una società si era vista contestare dall’Agenzia delle Entrate l’indebita deduzione di costi per sponsorizzazioni relative all’anno 2014. Secondo l’Amministrazione Finanziaria, tali costi non erano adeguatamente documentati. Dopo un primo giudizio sfavorevole, la Commissione Tributaria di secondo grado accoglieva l’appello della società, riconoscendo la piena deducibilità delle spese.

Contro questa decisione, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando due vizi principali: la nullità della sentenza per “motivazione apparente” e la violazione di legge per non aver verificato l’assolvimento dell’onere della prova da parte del contribuente.

Le ragioni delle spese di sponsorizzazione contestate

Il cuore della controversia non risiedeva tanto sulla qualificazione delle spese, quanto sulla loro effettività. L’Ufficio fiscale sosteneva che la società non avesse fornito prove sufficienti a dimostrare che, a fronte dei pagamenti effettuati, le associazioni sportive beneficiarie avessero svolto una concreta attività promozionale per l’immagine o i prodotti dell’azienda sponsor.

La Corte di Giustizia di secondo grado, secondo la tesi dell’Agenzia, si era limitata a richiamare la giurisprudenza sulla presunzione di deducibilità, senza entrare nel merito della contestazione specifica sulla mancanza di prove.

L’Analisi della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, ritenendo fondato il motivo relativo alla motivazione apparente. I giudici di legittimità hanno colto l’occasione per fare chiarezza sulla portata dell’art. 90, comma 8, della legge n. 289/2002, che disciplina le agevolazioni per le spese di sponsorizzazione.

La norma, infatti, introduce una “presunzione legale assoluta” sulla natura pubblicitaria (e non di rappresentanza) di tali spese, a condizione che:
1. Il soggetto sponsorizzato sia una compagine sportiva dilettantistica.
2. Sia rispettato un limite quantitativo di spesa.
3. La sponsorizzazione miri a promuovere l’immagine o i prodotti dello sponsor.
4. Il soggetto sponsorizzato ponga effettivamente in essere una specifica attività promozionale.

Questa presunzione solleva l’azienda dal dover dimostrare l’inerenza e la congruità del costo, ovvero la sua utilità economica. Tuttavia, non la esonera dal provare il presupposto fondamentale: l’esistenza stessa della controprestazione pubblicitaria.

Motivazione Apparente: il vizio che invalida la sentenza

La Corte ha stabilito che si è in presenza di una “motivazione apparente” quando il giudice si limita a enunciare principi di diritto astratti senza applicarli al caso concreto. Nel caso di specie, i giudici di secondo grado avevano semplicemente affermato l’esistenza della presunzione legale di deducibilità, omettendo completamente di valutare se la società avesse provato, come contestato dall’Ufficio, l’effettivo svolgimento delle attività promozionali da parte delle associazioni sportive.

Questo modo di procedere rende impossibile controllare la logicità e la correttezza del ragionamento del giudice, e per questo motivo la sentenza è stata annullata.

Le Motivazioni della Decisione

La motivazione della Cassazione è chiara: la presunzione legale non è un “assegno in bianco”. Essa opera per qualificare la spesa come pubblicitaria e per presumerne l’inerenza e la congruità, ma non può coprire la mancanza di prova sulla stessa esistenza del servizio per cui si è pagato. In altre parole, l’azienda deve essere in grado di dimostrare, con documenti e altri elementi, che la sponsorizzazione non è stata solo un versamento di denaro, ma ha avuto un corrispettivo in termini di attività promozionali (es. esposizione di marchi, pubblicità durante eventi, ecc.).

La sentenza impugnata è stata cassata perché ha ignorato questo passaggio logico fondamentale. Non ha verificato se il contribuente avesse superato la contestazione dell’Ufficio circa la “mancata documentazione e certezza delle dedotte spese”, limitandosi a un richiamo generico alla normativa di favore, che però non può essere applicata nel vuoto probatorio.

Le Conclusioni

Questa ordinanza rappresenta un monito importante per tutte le aziende che investono in sponsorizzazioni sportive. Sebbene il legislatore abbia previsto un forte incentivo fiscale, è indispensabile curare con la massima attenzione la documentazione contrattuale e la raccolta delle prove che attestino l’effettiva esecuzione delle prestazioni pubblicitarie da parte del soggetto sponsorizzato. L’onere della prova sull’esistenza della controprestazione rimane saldamente in capo al contribuente. Una sentenza che ignori la verifica di tale prova è viziata da motivazione apparente e, come in questo caso, destinata ad essere annullata.

Le spese di sponsorizzazione a favore di associazioni sportive dilettantistiche sono sempre deducibili?
No. Sono assistite da una presunzione legale assoluta di inerenza e congruità, ma solo a condizione che, tra l’altro, il contribuente dimostri che il soggetto sponsorizzato abbia effettivamente svolto una specifica attività promozionale a fronte del corrispettivo ricevuto.

Cosa si intende per “motivazione apparente” in una sentenza?
Si ha una motivazione apparente quando il giudice omette di indicare gli elementi su cui ha basato la sua decisione, oppure li indica senza un’analisi logica e giuridica approfondita, rendendo impossibile verificare la correttezza del suo ragionamento. In questo caso, il giudice si era limitato a citare la legge senza applicarla ai fatti specifici.

Chi deve provare l’effettiva attività promozionale in un contratto di sponsorizzazione?
L’onere della prova spetta al contribuente (l’azienda sponsor). Anche in presenza della presunzione legale di deducibilità, è l’azienda che deve dimostrare, a fronte di una contestazione dell’Ufficio, che la sponsorizzazione ha avuto un corrispettivo reale in termini di promozione dell’immagine o dei prodotti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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