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Spese di sponsorizzazione: deducibilità e limiti

La Corte di Cassazione ha stabilito che le spese di sponsorizzazione a favore di associazioni sportive dilettantistiche (ASD), se inferiori a 200.000 euro, godono di una presunzione legale assoluta di inerenza e congruità. L’Agenzia delle Entrate non può contestarne la deducibilità basandosi su criteri di antieconomicità. Nel caso specifico, una società si era vista negare la deduzione di 135.000 euro, ma la Suprema Corte ha accolto il ricorso del contribuente, annullando la sentenza precedente e rinviando il caso per un nuovo esame.

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Pubblicato il 1 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Spese di sponsorizzazione per ASD: la Cassazione fissa i paletti per il Fisco

Le spese di sponsorizzazione a favore di associazioni sportive dilettantistiche rappresentano un importante strumento per le imprese che desiderano promuovere la propria immagine. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: per tali spese, entro determinati limiti, vige una presunzione assoluta di deducibilità che l’Amministrazione Finanziaria non può sindacare sulla base di un giudizio di antieconomicità. Analizziamo questa importante decisione.

I Fatti di Causa

Una società e i suoi soci impugnavano alcuni avvisi di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate aveva recuperato a tassazione costi per 135.000 euro, sostenuti nell’anno d’imposta 2015 a titolo di sponsorizzazione verso un’associazione sportiva dilettantistica (ASD). Secondo il Fisco, tali costi erano ‘antieconomici’ e ‘ingiustificabili’ rispetto agli introiti della società e all’improbabile ritorno di immagine, dato che l’ASD disputava gare solo a livello locale.

La Commissione Tributaria di primo grado e, successivamente, la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado confermavano la tesi dell’Agenzia, rigettando i ricorsi dei contribuenti. Questi ultimi, non soddisfatti, si rivolgevano alla Corte di Cassazione, lamentando principalmente due vizi: la violazione del principio del contraddittorio preventivo e l’errata applicazione della normativa sulla deducibilità delle spese di sponsorizzazione sportiva.

Il Principio di Deducibilità delle Spese di Sponsorizzazione

Il cuore della controversia risiede nel secondo motivo di ricorso, che la Suprema Corte ha ritenuto fondato. I giudici hanno richiamato l’articolo 90, comma 8, della legge n. 289/2002. Questa norma stabilisce che i corrispettivi in denaro o in natura erogati a favore di società e associazioni sportive dilettantistiche, fino a un importo massimo di 200.000 euro annui, costituiscono per l’impresa erogante ‘spesa di pubblicità’.

La Corte ha chiarito che questa disposizione introduce una presunzione legale assoluta (che non ammette prova contraria) sulla natura di tali spese. Ciò significa che, al verificarsi di determinate condizioni, il costo è automaticamente qualificato come spesa di pubblicità e, di conseguenza, è integralmente deducibile.

Le condizioni da rispettare sono:
1. Il soggetto beneficiario deve essere una compagine sportiva dilettantistica.
2. L’importo complessivo annuo non deve superare i 200.000 euro.
3. La sponsorizzazione deve mirare a promuovere l’immagine o i prodotti dello sponsor.
4. L’associazione sponsorizzata deve aver effettivamente svolto una specifica attività promozionale.

Il Limite all’Azione del Fisco

In presenza di questi requisiti, l’Amministrazione Finanziaria non può negare la deducibilità del costo basandosi su una valutazione di ‘congruità’ o ‘antieconomicità’. La scelta imprenditoriale di investire in una sponsorizzazione, anche se apparentemente sproporzionata, non è sindacabile dal Fisco. La legge, infatti, ha già operato a monte una valutazione, presumendo in via assoluta l’inerenza e la congruità della spesa, purché rientri nei limiti quantitativi e qualitativi previsti.

Il Rigetto del Motivo sul Contraddittorio Preventivo

Per quanto riguarda il primo motivo di ricorso, relativo all’omessa instaurazione del contraddittorio preventivo, la Corte lo ha respinto. I giudici hanno ricordato che, per i tributi ‘armonizzati’ (come l’IVA), la violazione di tale obbligo comporta l’invalidità dell’atto solo se il contribuente assolve alla cosiddetta ‘prova di resistenza’. Il contribuente deve, cioè, dimostrare in concreto quali argomenti avrebbe potuto far valere e come questi avrebbero potuto portare a un esito diverso del procedimento. Nel caso di specie, i ricorrenti si erano limitati a definire ‘superfluo’ tale onere probatorio, senza fornire elementi specifici. Pertanto, su questo punto, il ricorso è stato rigettato.

Le Motivazioni

Nelle motivazioni, la Corte di Cassazione ha spiegato in modo chiaro la distinzione tra i due motivi di ricorso. Sul primo, ha ribadito che l’onere della ‘prova di resistenza’ è un requisito imprescindibile per far valere l’invalidità di un atto per violazione del contraddittorio. La mancata specificazione da parte del contribuente delle ragioni che avrebbero potuto modificare la decisione dell’Amministrazione rende la censura infondata.

Sul secondo e decisivo punto, la Corte ha motivato l’accoglimento del ricorso sulla base della speciale disciplina prevista per le spese di sponsorizzazione a favore delle ASD. Ha sottolineato che la norma (art. 90, l. 289/2002) crea una ‘presunzione assoluta di inerenza’. Di conseguenza, una volta verificato il rispetto del tetto di spesa e l’effettiva natura promozionale dell’attività, l’Amministrazione finanziaria non ha il potere di entrare nel merito della convenienza economica dell’operazione per l’imprenditore. La decisione della Corte di Giustizia Tributaria, che aveva avallato il giudizio di antieconomicità del Fisco, è stata quindi giudicata errata in diritto.

Le Conclusioni

In conclusione, la Suprema Corte ha accolto il secondo motivo di ricorso, rigettando il primo. Ha cassato la sentenza impugnata e ha rinviato la causa alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado, in diversa composizione, per un nuovo esame che dovrà attenersi al principio di diritto enunciato. Questa ordinanza rafforza la certezza del diritto per le imprese che investono nello sport dilettantistico, confermando che, entro i limiti di legge, le spese di sponsorizzazione sono pienamente deducibili senza timore di contestazioni basate sulla loro presunta antieconomicità.

L’Agenzia delle Entrate può contestare la deducibilità delle spese di sponsorizzazione a un’ASD perché le ritiene ‘antieconomiche’?
No. Se il costo è inferiore a 200.000 euro annui e sono rispettate le altre condizioni di legge, l’Amministrazione Finanziaria non può sindacare la convenienza economica della spesa, poiché vige una presunzione assoluta di inerenza.

Quali sono le condizioni per la deducibilità automatica delle spese di sponsorizzazione sportiva?
Le condizioni sono quattro: 1) il beneficiario deve essere un’associazione sportiva dilettantistica; 2) l’importo annuo non deve superare i 200.000 euro; 3) lo scopo deve essere la promozione dell’immagine o dei prodotti dello sponsor; 4) l’ASD deve svolgere un’effettiva attività promozionale.

Un avviso di accertamento è sempre nullo se il Fisco non avvia il contraddittorio preventivo?
No. Secondo la Corte, per i tributi armonizzati, l’atto è nullo solo se il contribuente supera la ‘prova di resistenza’, dimostrando che, se fosse stato ascoltato, l’esito del procedimento sarebbe stato diverso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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