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Spese di rappresentanza: la prova spetta al professionista

L’appello di un libero professionista contro la non deducibilità di ingenti spese di rappresentanza è stato respinto. La Corte di Cassazione ha confermato che spetta al contribuente l’onere di dimostrare il collegamento effettivo (inerenza) tra la spesa e l’attività professionale. Non è sufficiente una mera possibilità astratta, ma è necessaria una prova concreta della destinazione promozionale dei beni acquistati.

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Pubblicato il 12 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Spese di Rappresentanza: Quando il Fisco Chiede la Prova dell’Inerenza

La deducibilità delle spese di rappresentanza è un tema cruciale per liberi professionisti e imprese. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale: per detrarre tali costi non basta la loro natura astratta, ma è indispensabile fornire la prova concreta della loro inerenza all’attività. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti del Caso: Deducibilità Negata per Mancanza di Prova

Un libero professionista, commercialista di professione, si è visto notificare un avviso di accertamento dall’Agenzia delle Entrate. L’Amministrazione Finanziaria contestava la deducibilità di oltre 24.000 euro di costi contabilizzati come spese di rappresentanza per l’anno d’imposta 2013, a causa del difetto di prova della loro inerenza.

Le spese in questione includevano l’acquisto di beni di pregio come gioielli, un vaso d’arte d’epoca e il finanziamento di un premio per gli studenti della scuola nel comune natale della madre del professionista. Sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale avevano respinto i ricorsi del contribuente, confermando la posizione del Fisco. Il professionista ha quindi deciso di portare il caso davanti alla Corte di Cassazione.

Gli Argomenti del Ricorso in Cassazione

Il contribuente ha basato il suo ricorso su tre motivi principali:
1. Violazione di legge: Sosteneva che i giudici di merito avessero errato nel richiedere l’indicazione analitica dei clienti destinatari degli omaggi, anziché valutare la ragionevolezza e la conformità delle spese agli usi del settore.
2. Omesso esame di fatti decisivi: Lamentava che la corte d’appello non avesse considerato le specifiche circostanze che, a suo dire, dimostravano la finalità promozionale degli acquisti.
3. Illegittimità della sanzione: Contestava la norma applicata per l’irrogazione della sanzione, ritenendola non pertinente alle violazioni contestate.

Le motivazioni della decisione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso in ogni sua parte, fornendo chiarimenti essenziali sul tema delle spese di rappresentanza e sull’onere della prova.

Il Principio di Diritto sull’Inerenza

Il fulcro della decisione risiede nel principio di diritto enunciato dai giudici supremi. Per rendere deducibile un costo, non è sufficiente dimostrare la possibilità astratta che un bene (come un gioiello o un’opera d’arte) possa rientrare tra le spese di rappresentanza. È invece necessario fornire la prova rigorosa che quell’acquisto sia stato effettivamente destinato a finalità promozionali legate all’attività professionale e non a scopi personali.

La Corte ha sottolineato che il contribuente non aveva fornito alcuna prova della reale destinazione dei beni. Non era stato indicato a quali clienti fossero stati consegnati, né come il premio scolastico potesse avere una ricaduta promozionale sull’attività di commercialista. L’onere della prova, secondo l’art. 2697 del codice civile, grava su chi intende far valere un diritto, e in questo caso il contribuente non lo ha assolto.

La Valutazione delle Sanzioni

Anche il motivo relativo alle sanzioni è stato respinto. La Corte ha chiarito che la condotta del contribuente, indicando in dichiarazione costi non inerenti, integra una violazione che giustifica l’applicazione delle sanzioni previste dalla normativa. La distinzione tra violazioni formali e sostanziali non escludeva, nel caso di specie, la correttezza dell’operato dell’Amministrazione Finanziaria.

Conclusioni

Questa ordinanza rappresenta un monito importante per tutti i professionisti e le imprese. La gestione delle spese di rappresentanza richiede non solo attenzione ai limiti quantitativi di deducibilità imposti dalla legge, ma soprattutto una documentazione precisa e puntuale che possa dimostrare, in caso di controllo, il requisito imprescindibile dell’inerenza. Affermare genericamente una finalità promozionale non è sufficiente; occorre essere in grado di provare concretamente il collegamento tra la spesa e il beneficio, anche potenziale, per la propria attività. In assenza di tale prova, il rischio di un accertamento fiscale e delle relative sanzioni è molto elevato.

Per dedurre le spese di rappresentanza è sufficiente che i beni acquistati siano astrattamente idonei a tale scopo?
No, non è sufficiente. La Corte di Cassazione ha stabilito che il professionista deve fornire la prova concreta che i beni siano stati effettivamente destinati a finalità promozionali dell’attività professionale e non personali.

Su chi ricade l’onere di provare l’inerenza delle spese di rappresentanza?
L’onere della prova ricade interamente sul contribuente. È il professionista che deve dimostrare in modo specifico il collegamento tra la spesa sostenuta e l’attività svolta, ad esempio indicando i destinatari degli omaggi.

Qual è il principio di diritto stabilito dalla Corte in questa ordinanza?
Il principio è che in tema di deducibilità delle spese promozionali da parte del professionista, non è sufficiente la dimostrazione dell’astratta possibilità di ricomprendere un bene acquistato tra le spese di rappresentanza, ma occorre assicurare la prova che l’acquisto sia stato effettivamente destinato a finalità promozionali dell’attività professionale e non personali, rispettando il requisito dell’inerenza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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