Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 7668 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 7668 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7914/2018 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE LAZIO, AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE REGIONALE LAZIO
-intimati- sul controricorso incidentale proposto da RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende
-controricorrente e ricorrente incidentale- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. ROMA n. 4723/2017 depositata il 26/07/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
A seguito di PVC redatto il 16.11.2012, a conclusione di verifiche svolte dalla GdF, l’Agenzia notificava il successivo 01.07.2013 un avviso di accertamento per il recupero a tassazione di maggiore IRES derivante da spese ritenute non deducibili per l’anno d’imposta 2009.
La contribuente proponeva ricorso ritenendo violato l’art. 108 co.
2 TUIR, posto che -in tesi -i costi dovevano ritenersi integralmente deducibili (si trattava infatti di buoni carburante consegnati in omaggio a clienti per l’importo complessivo di oltre 134.000 euro oltre ad omaggi di altri beni per 3.978 euro). L’ufficio contestava tale conclusione, vuoi rispetto all’assenza delle condizioni di deducibilità previste dall’art. 108 cit., vuoi ritenendo indimostrato l’utilizzo dei buoni nella quantità contabilizzata e per l’effettivo svolgimento di spese e attività di rappresentanza.
Il ricorso della contribuente era respinto dalla CTP di Roma, con la sentenza n. 7220/2016.
Il successivo appello del contribuente è stato parzialmente accolto dalla CTR del Lazio, con la sentenza n. 4723/2017, oggetto del presente ricorso, la quale ribadiva l’infondatezza dei motivi di contestazione mossi dalla contribuente quanto alla deducibilità dei costi relativi ai buoni benzina, accogliendo invece il motivo relativo ai c.d. ‘omaggi’ di beni diversi, per la sola parte in cui avevano
superat o l’importo complessivo di euro 2.000 e, quindi, limitatamente al l’importo di 1.978 euro, riportato a tassazione in eccesso rispetto allo stesso contenuto motivazionale dell’avviso.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per Cassazione la contribuente sulla scorta di tre distinti motivi.
Resiste l’ufficio con controricorso , con il quale ha eccepito l’inammissibilità del ricorso avversario e svolto altresì un ricorso incidentale fondato su un unico motivo.
E’stata, quindi, fissata udienza camerale per il 21.01.2025 .
CONSIDERATO CHE
Il ricorso proposto dalla RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza della C.T.R. del Lazio -Roma, n. 4723/2017 si fonda sui seguenti motivi, così sintetizzati:
violazione o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. per non aver tenuto conto di circostanze pacifiche e, in particolare, che le spese di rappresentanza rispettano il plafond previsto ex lege in relazione al volume d’affari della ricorrente;
violazione o falsa applicazione dell’art. 108 co. 2 TUIR mod. art. 1 co. 33 lett. p) l. 24/12/2007, n. 244 in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., avendo errato il giudice del merito nell’applicare i requisiti di inerenza e congruità dei costi di rappresentanza deducibili;
omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 n. 5 c.p.c., con riguardo al volume d’affari della società e d al valore unitario di ciascun buono carburante.
Il motivo di ricorso incidentale proposto dall’ufficio concerne, invece, un passaggio motivazionale della sentenza ed è relativo alla possibilità che, nello stesso, possa ritenersi affermata positivamente la sussistenza dell’inerenza delle spese così da fondare il rigetto dell’appello sul solo presupposto della
indimostrata congruità rispetto al volume d’affari, mentre l’ufficio aveva contestato anche la prova dei costi e la loro inerenza.
Iniziando l’esame dal ricorso principale, occorre rilevare che il primo mezzo di impugnazione è infondato.
Secondo la ricorrente, infatti, il dato del proprio fatturato, superiore a 100.000.000 euro annui, dovrebbe ritenersi pacifico in quanto ammesso dalla stessa controparte.
Va tuttavia considerato che, nelle controdeduzioni dell’ufficio relative al primo grado di giudizio, l’Agenzia si era limitata a contestare l’esistenza del periculum necessario a fondare l’istanza di sospensione ex art. 47 del d.lgs. n. 546/1992, proposta dalla ricorrente, rilevando che era proprio quest’ultima a qualificarsi come grande contribuente con un giro d’affari di oltre 100 milioni di euro l’anno.
In tale affermazione non può ravvisarsi un’ammissione, neppure implicita e, a ben vedere, neppure un contegno di non contestazione.
Non vi è ammissione in quanto l’affermazione vuole semplicemente contestare il presupposto cautelare per procedere alla sospensione dell’efficacia dell’avviso di accertamento impugnato, rilevando che l’importo di quest’ultimo non era in grado di procurare alcuna difficoltà insormontabile o grave pregiudizio nelle more della definizione del giudizio, visto che la ricorrente si qualificava come grande contribuente ed asseriva semplicemente, senza fornirne alcuna prova, di trovarsi in una situazione economico/finanziaria compromessa nel corso degli esercizi 2013 e 2014. Da qui l’inesistenza -secondo l’amministrazione deducente -del periculum affermato ma non dimostrato -in tesi -dalla contribuente.
Una tale affermazione, vista nel suo complesso, oltre a non costituire una ammissione in senso tecnico, comunque si riconduce alla situazione economico-finanziaria della contribuente al
momento della impugnazione e della deduzione del periculum (e quindi agli anni 2013 e 2014) e non certo al momento in cui, nell’anno di imposta 2009, le spese che si vorrebbero dedurre furono in ipotesi sostenute, come invece richiesto dall’art. 108 comma 2 TUIR e, più in particolare, dal d.m. attuativo 19.11.2008.
Ancora, come anticipato, in tale affermazione neppure può cogliersi un contegno di non contestazione, tale da rendere pacifico il dato del volume d’affari della contribuente.
Va premesso, in primo luogo, che per Sez. 1, ord. n. 10629 del 19/04/2024, in tema di principio di non contestazione, il relativo onere, in ordine ai fatti costitutivi del diritto, si coordina con l’allegazione dei medesimi e, considerato che l’identificazione del tema della decisione dipende in pari misura dall’allegazione e dall’estensione delle relative contestazioni o non contestazioni, ne consegue che l’onere di contribuire alla fissazione del thema decidendum opera identicamente rispetto all’una o all’altra delle parti in causa, sicché, a fronte di una generica deduzione da parte del ricorrente, la difesa della parte resistente non può che essere altrettanto generica e, dunque, idonea a far permanere gli oneri probatori gravanti sulla controparte.
La stessa ricorrente nell’illustrare il primo motivo di ricorso indica uno stralcio minimale e non completo (come invece contenuto nel controricorso) delle deduzioni dell’ufficio ma, soprattutto, non allega né indica alcun proprio atto nel quale essa stessa indicasse in modo specifico quale era, nell’anno di imposta in contestazione, il proprio volume d’affari. Così come, giova aggiungere, non indica neppure da quale documento si trarrebbe il valore unitario dei buoni carburanti, né di essi ne offre una trascrizione nel ricorso. Trattasi, all’evidenza, di formulazione del motivo di impugnazione irrispettoso della specificità richiesta dall’art. 366, comma 1, n. 6 c.p.c., così come rilevato, ex multiis, da Sez. 3, ord. n. 21346 del 30/07/2024.
Si tocca con quest’ultima osservazione un secondo, concorrente, rilievo. Costituisce principio pacifico, discendente dal testo dell’art. 115 c.p.c., che la non contestazione (così come per il vero la stessa ammissione lato sensu confessoria) può riguardare soltanto fatti e non giudizi o valutazioni. Orbene la qualità di ‘grande contribuente’ è appunto l’esito di una valutazione giuridico -economica svolta su una serie di fatti primari (le singole operazioni economico commerciali attuate dal contribuente in ciascun esercizio commerciale) rispetto alla quale un contegno di ‘non contestazione’ non può neppure ipotizzarsi.
E tanto a prescindere dall’ulteriore rilievo per il cui il principio di non contestazione nel giudizio tributario, rispetto ai fatti oggetto di rilievo da parte dell’ufficio e contenuti nell’avviso di accertamento, opera in modo molto limitato, come condivisibilmente osservato da Sez. 5, ord. n. 19806 del 23/07/2019, secondo cui nel processo tributario, nell’ipotesi di ricorso contro l’avviso di accertamento, il principio di non contestazione non implica a carico dell’Amministrazione finanziaria, a fronte dei motivi di impugnazione proposti dal contribuente, un onere di allegazione ulteriore rispetto a quanto contestato mediante l’atto impositivo, in quanto detto atto costituisce nel suo complesso, nei limiti delle censure del ricorrente, l’oggetto del giudizio.
3. Il secondo mezzo di impugnazione, pur essendo formulato in termini di violazione di legge, tende, per la verità, a rimettere in discussione la valutazione dei documenti e il giudizio di fatto che il giudice di merito ha condotto per arrivare alla decisione impugnata. A tal riguardo è sufficiente ricordare, sulla scia di un costante indirizzo, la più recente Sez. 2, ord. n. 10927 del 23/04/2024 (Rv. 670888 -01), per la quale ‘deve ritenersi inammissibile il motivo di impugnazione con cui la parte ricorrente sostenga un’alternativa ricostruzione della vicenda fattuale, pur ove risultino allegati al ricorso gli atti processuali sui quali fonda la propria diversa
interpretazione, essendo precluso nel giudizio di legittimità un vaglio che riporti a un nuovo apprezzamento del complesso istruttorio nel suo insieme’; in precedenza anche Sez. U, sent. n. 34476 del 27/12/2019 (Rv. 656492 -03) ha affermato esplicitamente che ‘È inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito’. Del resto, con più specifico riferimento alla valutazione probatoria dei documenti operata dal giudice del merito, Sez. 2, ord. n. 20553 del 19/07/2021 (Rv. 661734 01), secondo cui ‘La valutazione delle prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione, sicché rimane estranea al vizio previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. qualsiasi censura volta a criticare il “convincimento” che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116, commi 1 e 2, c.p.c., in esito all’esame del materiale istruttorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, atteso che la deduzione del vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. non consente di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali, contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito’.
Giova altresì considerare che l’art. 1 del d.m. 19.11.2008, attuativo dell’art. 108, comma 2, TUIR, stabilisce che ‘agli effetti dell’applicazione dell’art. 108, comma 2, secondo periodo, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica, 22 dicembre 1986, n. 917 (Tuir),
come modificato dall’art. 1, comma 33, lettera p), della legge 24 dicembre 2007, n. 244, si considerano inerenti, sempreché effettivamente sostenute e documentate, le spese per erogazioni a titolo gratuito di beni e servizi, effettuate con finalità promozionali o di pubbliche relazioni e il cui sostenimento risponda a criteri di ragionevolezza in funzione dell’obiettivo di generare anche potenzialmente benefici economici per l’impresa ovvero sia coerente con pratiche commerciali di settore. Costituiscono, in particolare, spese di rappresentanza: e) ogni altra spesa per beni e servizi distribuiti o erogati gratuitamente, ivi inclusi i contributi erogati gratuitamente per convegni, seminari e manifestazioni simili il cui sostenimento risponda ai criteri di inerenza indicati nel presente comma’.
La norma non consente la deduzione indiscriminata di qualunque spesa che venga contabilizzata e dichiarata come di rappresentanza, neppure se rientrante nei limiti di proporzione percentuale del fatturato complessivo, ma richiede l’inerenza e, anche per i c.d. ‘omaggi a clienti’ di importo inferiore a 50 euro, richiede pur sempre la prova a) che sono stati effettivamente sostenuti e documentati; b) che sono stati concretamente impiegati in attività con finalità promozionale o di pubbliche relazioni’.
Il giudizio in fatto operato dal giudice del merito, che ritiene insufficiente la dimostrazione di tali presupposti da parte della contribuente, rientra nell’ambito della menzionata previsione normativa ed appare argomentato con motivazione che supera certamente la soglia minima di costituzionalità. Infatti, la sentenza impugnata, dopo aver ricordato quali sono i presupposti normativi richiesti per la deducibilità delle spese di rappresentanza, ha rilevato che ‘nella specie la società appellante non ha indicato alcuno di questi dati, per cui, anche a considerarla inerente, non è dato sapere se la somma che si intende dedurre, ossia euro 134.000 per buoni carburante, rientri o meno entro i limiti sopra
indicati’. Per poi concludere che ‘non vi è poi dubbio che sia il contribuente ad essere onerato della prova sulla deducibilità dei costi e che detta prova non è stata fornita. Questo motivo di appello va quindi rigettato’. La decisione non contiene, quindi, alcun accertamento positivo circa la sussistenza dei requisiti di inerenza delle spese che si intende dedurre ma rileva che, sul piano ipotetico, anche ove fosse stato dimostrato tale requisito, comunque mancherebbe la prova circa la capienza del plafond di deducibilità invocato. Pertanto, la stessa affermazione circa l’automatica deducibilità dei buoni carburante visto il loro asserito taglio unitario di Euro 10 -non può trovare accoglimento, posto che il concetto di inerenza, come sopra richiamato, cioè l’effettivo sostenimento della spesa, la sua documentazione ed il suo utilizzo in attività promozionali o di rappresentanza relative all’attività di impresa, non è stato provato, come affermato in sentenza, né su tale profilo vi è stato alcun accertamento positivo da parte del giudice del merito.
In definitiva, come si desume anche dall’art. 1, comma 4 del d.m. 19/11/2008 cit., la deduzione delle spese relative a beni distribuiti gratuitamente del valore unitario non superiore a 50 euro non concorre alla determinazione del plafond di spese deducibili commisurate al fatturato, di cui al precedente comma 2 della stessa disposizione, ma deve pur sempre rispondere ai requisiti di effettività, documentazione e inerenza imposti dal precedente comma 1 e dalla disposizione primaria di cui il decreto presta attuazione, il cui onere della prova incombe sul contribuente in caso di contestazione da parte dell’Agenzia.
Ragionare diversamente, infatti, consentirebbe a ciascun imprenditore di frazionare, magari artificiosamente, i propri omaggi in tagli inferiori ai 50 euro, così da fruire di una deducibilità di costi sostanzialmente autodichiarati e privi di qualunque limite di congruità rispetto al volume d’affari, con un risultato interpretativo
non solo antiletterale rispetto al dettato normativo (che come detto richiede innanzitutto che tutte le spese inerenti debbano essere ‘effettivamente sostenute e documentate’), ma addirittura privo di razionalità e coerenza sistematica.
Occorre a questo punto prendere in considerazione il terzo motivo di impugnazione, svolto in via subordinata rispetto ai precedenti mezzi.
Con questo motivo, infatti, la ricorrente censura sotto il profilo motivazionale ex art. 360 n. 5 c.p.c., l’omessa considerazione di un fatto decisivo per il giudizio che sarebbe stato oggetto di discussione fra le parti e che riguarderebbe, appunto, il carattere ‘pacifico’ del volume d’affari della RAGIONE_SOCIALE, come pure il valore unitario dei buoni carburante.
Anche questo motivo di ricorso è tuttavia infondato. La CTR non ha infatti omesso di considerare tali profili, ma ha espresso una valutazione circa l’insufficienza della prova al riguardo fornita dalla contribuente e circa l’inidoneità della documentazione prodotta a sostegno dei motivi di appello che, come si è rilevato al par. precedente, non è possibile in questa sede rinnovare o sovvertire, trasformando indebitamente il giudizio di legittimità in un terzo grado di merito. Concorrentemente, il motivo appare comunque svolto in violazione dell’art. 366 n. 6 c.p.c. in quanto espresso con modalità talmente sintetiche da non individuare i singoli atti e documenti, né estrapolare i singoli passaggi motivazionali censurati da cui risulterebbero i fatti ‘decisivi’ e la loro omessa valutazione, limitandosi ad un rinvio generico a quanto già espresso nel motivo precedente (nel quale peraltro tale individuazione è tutt’altro che specifica).
Privo di fondamento è, altresì, il motivo di impugnazione incidentale avanzato dall’Agenzia delle Entrate.
Come si è già visto al par. 3, infatti, la sentenza impugnata non contiene alcun accertamento positivo relativo all’inerenza delle
spese che si vorrebbero dedurre, limitandosi a rilevare che -anche ove si fosse raggiunta la prova di tale presupposto preliminare -comunque mancherebbe la dimostrazione dei ricavi conseguiti al fine di determinare il plafond relativo alla deducibilità complessiva delle spese di rappresentanza.
Appare conseguentemente infondato dolersi di un accertamento che la sentenza non contiene, non senza rilevare che, per il vero, il carattere condizionato del motivo, rispetto ad un significato che in via principale si esclude, limitandosi a profilare in modo ipotetico, manifesta altresì profili di inammissibilità.
6. In definitiva, pertanto, il ricorso principale deve essere respinto, come pure quello incidentale, sussistendo pertanto giusti motivi, stante la soccombenza reciproca, per disporre la compensazione delle spese.
Occorre, infine, dare atto dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato, se ed in quanto dovuto per legge, quanto alla ricorrente principale.
Non sussistono invece i presupposti per applicare analogo raddoppio a carico della ricorrente incidentale, trattandosi di parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, cui non si applica l’art. 13, comma 1 – quater del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte,
rigetta il ricorso principale e quello incidentale.
Compensa fra le parti le spese del presente giudizio.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.p.r. 115/2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228/2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della sola parte ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, nella misura prevista per il ricorso, se ed in quanto dovuto per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quinta Sezione