Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5509 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 5509 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3853/2018 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME e dall’avvocato NOME COGNOME , elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Roma INDIRIZZO
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, elettivamente domiciliato in Roma INDIRIZZO
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 3891/2017, depositata il 26 giugno 2017. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 dicembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
-In data 1 luglio 2013 l’Ufficio Grandi contribuenti della Direzione regionale del Lazio notificava alla RAGIONE_SOCIALE, ora RAGIONE_SOCIALE, l’avviso di accertamento n. TJB060300121/2013. L’atto in questione recepiva i rilievi IVA contestati, tra gli altri, in occasione di una verifica generale svolta nei confronti della società con riferimento all’anno d’imposta 2008 e conclusasi con la notifica del processo verbale di constatazione del 21 dicembre 2011.
In particolare, in sede di accertamento l’Ufficio procedeva al recupero dell’IVA connessa con le seguenti violazioni:
Indebita detrazione di IVA per euro 96.190,60 in violazione dell’art. 19-bis 1, comma 1, lett. h) d.P.R. 633/72. Veniva, in particolare, recuperata l’IVA indebitamente detratta con riferimento a diverse fatture aventi ad oggetto alcune spese a cui la società aveva riservato il trattamento fiscale delle spese di pubblicità e che l’Ufficio, invece, riteneva presentassero le caratteristiche proprie delle spese di rappresentanza. Veniva nello specifico recuperata l’IVA su fatture ricevute a fronte delle seguenti prestazioni:
noleggio di strutture ed impianti per la realizzazione del concerto della banda della Polizia e per l’inaugurazione del presepio della Stazione Termini;
noleggio, allestimento e fornitura di servizi connessi al funzionamento di una pista di pattinaggio sul ghiaccio in INDIRIZZO a Roma;
progettazione e realizzazione della decorazione luminosa natalizia per la stazione di Milano Centrale e allestimento natalizio della stazione Termini; realizzazione della mostra “L’Italia di Garibaldi” svolta all’interno della stazione Termini;
spettacolo pirotecnico presso la stazione di Milano Centrale;
realizzazione di testi e immagini ai fini della pubblicazione di una rivista su restauri della stazione di Milano Centrale;
-realizzazione e distribuzione del mensile gratuito “Altri Termini”.
Omessa fatturazione di operazioni imponibili per euro 104.941,50, a cui corrisponde IVA per euro 20.388,30, in violazione degli artt. 16 e 21 del d.P.R. 633/1972.
Indebita detrazione di IVA per euro 10.614,95 in violazione dell’art. 19, comma 1, del d.P.R. 633/1972. Il recupero riguardava l’IVA relativa alla fornitura di energia elettrica che, addebitata in una fattura emessa dalla RAGIONE_SOCIALE nel corso del 2005, era stata detratta dalla società nel 2008 e quindi oltre i termini di legge.
La contribuente proponeva ricorso innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma chiedendo l’annullamento dell’avviso.
L’Ufficio si costituiva affermando la legittimità dell’accertamento.
Con sentenza n. 655/47/2016, la Commissione tributaria provinciale adita respingeva il ricorso, con compensazione delle spese.
-Avverso la suddetta sentenza interponeva appello la società.
Resisteva con proprie controdeduzioni l’Ufficio.
Con sentenza n. 3891/2/2017, la Commissione tributaria regionale del Lazio rigettava l’appello.
-La società ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.
L’Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso.
-Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.
La società ricorrente ha depositato una memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 19-bis1, lett. h) del d.P.R. 633/72, 108,
comma 2, del Tuir, 2697 codice civile in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ. Parte ricorrente evidenzia che la pronuncia impugnata avrebbe erroneamente qualificato il rapporto giuridico sottostante al sostenimento delle spese per le manifestazioni di cui è causa come un negozio giuridico a titolo gratuito, ancorché dette spese fossero state sostenute in adempimento di un obbligo giuridico assunto nei confronti dei locatari degli spazi commerciali delle stazioni ferroviarie, rendendo così loro un servizio remunerato, seppur per un ammontare massimo pari al 5% del canone annuo che gli stessi locatari dovevano alla società, sul cui corrispettivo è stata applicata l’IVA. Conseguentemente, sarebbe stata falsamente applicata la previsione di cui all’art. 19 -bis1, comma 1, lett. h), d.P.R. 633/1972, qualificando le spese di cui è causa come spese di rappresentanza, in quanto le prestazioni di cui trattasi rientrano nell’acquisto di alcuni servizi necessari per Grandi Stazioni, onde rendere a sua volta un ulteriore servizio ai propri clienti (i locatari degli spazi commerciali delle stazioni ferroviarie). Tale servizio era in particolare rappresentato dall’organizzazione di alcuni eventi promozionali: sostanzialmente, quindi, è stata Grandi Stazioni a rendere un servizio pubblicitario ai propri clienti, ordinariamente soggetto al regime di imponibilità ordinaria dell’IVA, e solo su di essi deve essere verificato se l’imposta sia detraibile ai sensi dell’art. 19 -bis1, comma 1, lett. h), d.P.R. 633/1972. A tal fine si richiamano alcune evidenze documentali che chiarirebbero i rapporti negoziali intervenuti tra le parti, lasciando emergere che RAGIONE_SOCIALE era una mandataria remunerata dei propri clienti ai fini dell’organizzazione di campagne promozionali. Non avendo analizzato la sussistenza di un obbligo giuridico in capo a RAGIONE_SOCIALE di rendere un servizio pubblicitario nei confronti dei propri clienti, la Commissione avrebbe erroneamente ritenuto che il servizio reso dalla società fosse gratuito e quindi sussumibile sotto la fattispecie generale ed astratta di cui all’art. 19 -bis1, comma 1-bis, lett. h) del d.P.R. 633/1972. Dunque,
le spese per l’acquisto dei beni e servizi oggetto della presente controversia, erroneamente qualificati dall’Ufficio come spese di rappresentanza, sarebbero state sostenute dalla ricorrente per l’effettuazione di prestazioni di servizi consistenti nella organizzazione di eventi e/o manifestazioni promozionali, ‘verso corrispettivo’, nei confronti dei propri committenti (locatari degli spazi commerciali ubicati all’interno delle stazioni ferro viarie).
Con il secondo motivo di ricorso si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 19-bis1, lett. h) del DPR 633/72, 108, comma 2, del Tuir in relazione all’art. 360, n. 3 cod. proc. civ. Quand’anche si dovesse ritenere che Grandi Stazioni abbia prestato un servizio gratuito, la Commissione sarebbe incorsa nella violazione delle già richiamate norme poiché non ha apprezzato come le stesse spese fossero dirette ad aumentare i ricavi della società e, quindi, dovessero caratterizzarsi come spese di pubblicità.
1.1. -Entrambi i motivi, da trattarsi congiuntamente sono infondati.
Il criterio discretivo tra spese di rappresentanza e spese di pubblicità va individuato negli obiettivi perseguiti, atteso che le prime sono sostenute per accrescere il prestigio della impresa senza dar luogo ad una aspettativa di incremento delle vendite, se non in via mediata e indiretta attraverso il conseguente aumento della sua notorietà e immagine, mentre le seconde hanno una diretta finalità promozionale di prodotti e servizi commercializzati, mediante l’informazione ai consumatori circa l’esistenza di tali beni e servizi, unitamente all’evidenziazione e all’esaltazione delle loro caratteristiche e dell’idoneità a soddisfarne i bisogni, in modo da incrementare le relative vendite (Cass., Sez. V, 21 aprile 2021, n. 10440).
Ciò che rileva, quindi è la sussistenza o meno di una diretta «aspettativa di ritorno commerciale» (Cass., Sez. V, 27 maggio 2015, n. 10914; Cass., Sez. V, 23 marzo 2016, n. 5720).
Coerentemente, quanto alle spese oggetto di contratti di sponsorizzazione, il sistema tributario prevede infatti che ove non vi sia alcun nesso tra l’attività sponsorizzata e quella posta in essere dallo sponsor, le relative spese non possono essere considerate di pubblicità, e come tali integralmente deducibili, ma devono ritenersi spese di rappresentanza soggette ai limiti previsti dall’art. 108 del TUIR e dalle disposizioni secondarie attuative (Cass., Sez. V, 23 marzo 2016, n. 5720).
Tali considerazioni trovano conferma anche nella giurisprudenza della Corte di giustizia, che con la pronuncia 25 novembre 2021, causa C-334/20, ha precisato, in materia di diritto alla detrazione IVA per costi di pubblicità, che ‘l’articolo 168, lettera a), della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, deve essere interpretato nel senso che un soggetto passivo può detrarre l’imposta sul valore aggiunto (IVA) assolta a monte per servizi pubblicitari ove una siffatta prestazione di servizi costituisca un’operazione soggetta all’IVA, ai sensi dell’articolo 2 della direttiva 2006/112, e ove essa presenti un nesso diretto e immediato con una o più operazioni imponibili a valle o con il complesso delle attività economiche del soggetto passivo, a titolo di sue spese generali, senza che sia necessario prendere in considerazione la circostanza che il prezzo fatturato per i suddetti servizi sia eccessivo rispetto a un valore di riferimento definito dall’amministrazione finanziaria nazionale o che tali servizi non abbiano dato luogo a un aumento del fatturato di detto soggetto passivo’ .
In continuità con tali affermazioni si è posta questa Corte (Cass., Sez. VI-5, 24 luglio 2014, n. 16812), confermando come il criterio discretivo tra spese di rappresentanza e di pubblicità vada individuato nella diversità, anche strategica, degli obiettivi, atteso che costituiscono spese di rappresentanza i costi sostenuti per accrescere il prestigio e l’immagine della società e per potenziarne
le possibilità di sviluppo, senza dar luogo ad una aspettativa di incremento delle vendite, mentre sono spese di pubblicità o propaganda quelle erogate per la realizzazione di iniziative tendenti, prevalentemente anche se non esclusivamente, alla pubblicizzazione di prodotti, marchi e servizi, o comunque al fine diretto di incrementare le vendite, sicché è necessaria una rigorosa verifica in fatto della effettiva finalità delle spese.
Pertanto, deve conclusivamente riconoscersi che le spese di pubblicità si collocano in rapporto diretto con l’incremento delle vendite, che è risultato perseguito e atteso quale obiettivo e fine del loro sostenimento. Le spese di rappresentanza sono in rapporto diretto con l’immagine dell’impresa, il cui miglioramento presso clienti e potenziali clienti è risultato perseguito e atteso quale obiettivo da realizzarsi. Ulteriore conferma della correttezza di tale distinzione si ritrova nella ulteriore giurisprudenza di questa Corte secondo la quale ai sensi dell’art. 74 (ora 108), comma 2, del TUIR i costi sostenuti per la cessione gratuita a V.I.P. dei capi d’abbigliamento griffati di produzione del contribuente, senza alcun obbligo giuridico d’indossarli in manifestazioni pubbliche, integrano spese di rappresentanza, solo parzialmente deducibili e non di pubblicità o propaganda, interamente deducibili, proprio mancando in questo caso un collegamento obiettivo ed immediato con la promozione di un prodotto o di una produzione e con l’aspettativa diretta di un maggior ricavo (Cass., Sez. V, 4 maggio 2018, n. 10636; Cass., Sez. V, 22 aprile 2016, n. 8121).
Così ricostruito il quadro normativo, nel caso di specie, sia la Commissione tributaria provinciale sia quella regionale, sulla base delle risultanze istruttorie, hanno ritenuto che le prestazioni, caratterizzate dalla gratuità per il pubblico, fossero finalizzate alla promozione dell’immagine della società e quindi con finalità di rappresentanza e non di pubblicità. La prospettazione contenuta
nelle censure parte, peraltro, da un presupposto errato, poiché la gratuità è riferita ai rapporti verso terzi, non nei riguardi dei locatari.
Si è inoltre in presenza di una ‘ doppia conforme ‘ ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 348ter cod. proc. civ., applicabile anche al ricorso avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale (alla luce dell’art. 62 del d.lgs. n. 546 del 1992, Cass., Sez. V, 23 ottobre 2024, n. 27547), che rende incensurabile l’esame dei fatti compiuto, non essendo state indicate le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse. Sotto tale profilo risulta evidente che la società richiede una rivalutazione del merito sotto la rubrica della violazione di legge (Cass., Sez. III, 28 febbraio 2023, n. 5947).
2. -Con il terzo motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 176, par. 1, 177 e 395 della Direttiva 2006/112/CE, in relazione all’art. 360, n. 3 cod. proc. civ. e conseguente inapplicabilità dell’art. 19-bis1, comma 1, lett. h), del d.P.R. 633/72 per incompatibilità con il diritto comunitario. In subordine, si evidenzia che quand’anche si ritenesse che le spese per beni e servizi sostenute dalla ricorrente siano qualificabili come spese di rappresentanza, la disposizione nazionale che prevede l ‘ indetraibilità dell’imposta dovrebbe essere disapplicata per violazione del diritto comunitario. La disposizione di c ui all’art. 19bis1, comma 1, lett. h), del d.P.R. n. 633/1972 è stata inserita nell’ordinamento italiano, con carattere innovativo e con effetto a partire dal 1° gennaio 1998, ad opera del d.lgs. 2 settembre 1997, n. 313. Al riguardo, nella C.M. 24 dicembre 1997, n. 328/E, par. 3.4, l’amministrazione finanziaria aveva precisato che la disposizione ‘recepisce quanto previsto dall’articolo 17, paragrafo 6 della VI direttiva CEE ‘ norma successivamente trasfusa nell’attuale art. 176, par. 1 della Direttiva 2006/112/CE, secondo cui ‘i l Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione, stabilisce
le spese che non danno diritto a detrazione dell’IVA. In ogni caso, saranno escluse dal diritto alla detrazione le spese non aventi carattere strettamente professionale, quali le spese suntuarie, di divertimento o di rappresentanza”. La predetta norma comunitaria, tuttavia, non avrebbe ancora trovato attuazione, per cui riveste valenza meramente programmatica in quanto enuncia un principio quello della preclusione alla detrazione dell’imposta sulle spese suntuarie, di divertimento o rappresentanza – al quale il Consiglio dovrà attenersi allorquando adotterà il provvedimento di armonizzazione delle previsioni di indetraibilità oggettiva. Attualmente, dunque, non si rimarrebbe nella normativa comunitaria alcuna disposizione che precluda la detrazione dell’IVA sulle spese di rappresentanza. Tale evidenza troverebbe conferma anche nella giurisprudenza della Corte di giustizia (sentenza 21 aprile 2005, causa C-25/03, RAGIONE_SOCIALE Gladbach contro HE ).
2.1. -La questione, così come proposta, è infondata.
Sul punto va chiarito che, contrariamente a quanto dedotto nel controricorso, non vi è novità sul motivo di doglianza ma è richiesta la non applicazione della normativa interna per contrasto con quella dell’Unione europea.
Tanto premesso, appare inconferente il profilo d’incompatibilità comunitaria dell’art. 19-bis1, comma 1, del d.P.R. n. 633 del 1972, prospettato dalla società, in quanto la norma è stata introdotta nel 1997, successivamente alla sesta direttiva (Cass., Sez. V, 6 novembre 2013, n. 24932; Cass., Sez. V, 6 novembre 2013, n. 24933).
Il diritto di detrazione è un principio fondamentale del sistema comune dell’IVA che, in linea di principio, non è soggetto a limitazioni e che va esercitato immediatamente per tutte le imposte che hanno gravato le operazioni compiute a monte (Corte di giustizia 8 maggio 2013, RAGIONE_SOCIALE , C-271/12, punto 22; Corte giust. 6
dicembre 2012, COGNOME , C-285/11, punti 25 e 26; ma trattasi di giurisprudenza costante).
Il par. 6 dell’art. 17 della sesta direttiva prescrive che al più tardi entro un termine di quattro anni dalla data di entrata in vigore della presente direttiva, il Consiglio, con decisione adottata su proposta della Commissione, stabilisce le spese che non danno diritto a deduzione dell’imposta sul valore aggiunto. Saranno comunque escluse dal diritto a deduzione le spese non aventi un carattere strettamente professionale, quali le spese suntuarie, di divertimento o di rappresentanza.
Tale disposizione è stata trasfusa nell’attuale art. 176, par. 1 della Direttiva 2006/112/CE, prevedendo che fino all’entrata in vigore delle disposizioni di cui al primo comma, gli Stati membri possono mantenere tutte le esclusioni previste dalla loro legislazione nazionale al 1 gennaio 1979 o, per gli Stati membri che hanno aderito alla Comunità dopo tale data, alla data della loro adesione (Corte giust., sentenze 14 giugno 2001, Commissione/Francia , C -345/99, punto 19, sentenza 8 gennaio 2002, RAGIONE_SOCIALE e Stadler , C -409/99, punto 44).
Il legislatore comunitario ha quindi previsto una fondamentale distinzione tra le spese aventi un carattere strettamente professionale e quelle non collegate all’attività professionale del soggetto passivo, escludendo espressamente dal diritto alla detrazione dell’IVA le spese suntuarie, di divertimento o di rappresentanza (Corte giust. 25 novembre 2021, RAGIONE_SOCIALE contro RAGIONE_SOCIALE– és Vámhivatal Fellebbviteli Igazgatósága , C -334/20, punto 30). Solo le spese aventi un carattere strettamente professionale possono ritenersi collegate a beni o servizi « impiegati (dal soggetto passivo) ai fini di sue operazioni soggette ad imposta », ai sensi dell’art. 17, n. 2, della sesta direttiva e possono quindi fruire del diritto alla detrazione dell’IVA.
La genericità del riferimento alle spese di rappresentanza che, oltre a non ricevere una definizione nell’ordinamento italiano, non sono definite neanche dalla sesta direttiva, comporta che esse, se e in quanto non abbiano un carattere strettamente professionale, non si possono considerare impiegate ai fini di operazioni soggette ad imposta del soggetto passivo che intende esercitare il diritto di detrazione; elemento, questo dell’impiego ai fini di operazione imponibile, che costituisce il presupposto e il fondamento stesso del diritto di detrazione, a norma del par. 2 del medesimo art. 17 della direttiva.
In tal caso, allora, queste spese, insieme con le spese suntuarie, ossia voluttuarie o di lusso e con le spese di divertimento, sono escluse dal diritto di detrazione, indipendentemente dalla decisione del Consiglio. Si dovrebbe altrimenti ammettere che, nelle more di tale decisione, oltre alle spese di rappresentanza non aventi carattere strettamente professionale, anche le spese voluttuarie e di lusso, nonché le spese di divertimento, accomunate a quelle di rappresentanza nell’esemplificazione del par. 6 della dell’art. 17 della direttiva, siano soggette al diritto di deduzione dell’iva, in spregio del par. 2 della norma.
Si consideri, tra l’altro, che la Corte di giustizia ha ritenuto che l’art. 11 n. 4 della seconda direttiva e l’art. 17 n. 6 della sesta direttiva devono essere interpretati nel senso che non ostano alla normativa tributaria di uno Stato membro che esclude la detrazione dell’IVA relativa alle categorie di spese concernenti, da un lato, la fornitura di “un mezzo di trasporto individuale”, di “cibi”, di bevande, di un alloggio, nonché l’offerta di attività ricreativa a membri del personale del soggetto passivo e, dall’altro, la fornitura di “omaggi d’affari” o di “altre gratificazioni” (Corte giust. 15 aprile 2010, cause riunite C-538/08 e C- 33/09, X Holding BV , punto 57).
-Con il quarto motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 19 d.P.R. 633/72 in relazione all’art. 360,
n. 3 cod. proc. civ. Posto che il servizio non poteva mai considerarsi prestato, in quanto – per come pacifico nella fasi di merito del presente giudizio a ragione dell’avvenuta emissione di una nota di credito da parte di RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE, il termine iniziale per l’es ercizio del diritto alla detrazione non può mai ritenersi essere utilmente decorso. Si richiama, tal fine, la giurisprudenza della Corte di giustizia secondo cui il diritto alla detrazione costituisce parte integrante del meccanismo del l’ IVA e, in linea di principio, non può essere soggetto a limitazioni. Esso va esercitato immediatamente per la totalità dell’imposta gravante sulle operazioni effettuate a monte. Per quanto attiene alle condizioni sostanziali necessarie per il sorgere del diritto a detrazione, la Corte europea ha dichiarato che i beni o servizi fatti valere a fondamento di tale diritto, ai sensi dell’articolo 168, lettera a), direttiva 2006/112/CE , devono essere utilizzati a valle dal soggetto passivo ai fini delle proprie operazioni soggette a imposta e che, a monte, detti beni o servizi devono essere fomiti da un altro soggetto passivo (Ordinanza del 12 gennaio 2017, MVM (C-28/16, EU:C:2017:7, punto 28), sentenze del 15 settembre 2016, Senatex (C-518/14, EU:C:2016:691, punto 28); del 22 giugno 2016, NOME Woerden (C-267/15, EU:C:2016:466, punto 34), v. in tal senso sentenza del 22 ottobre 2015, RAGIONE_SOCIALE (C277/14, EU:C:2015:719, punto 28 e la giurisprudenza ivi citata). Poiché l’articolo 168 della direttiva IVA non impone nessun’altra condizione relativa all’utilizzo da parte della persona che riceve i beni o i servizi di cui trattasi, occorre concludere che il soggetto passivo, nei limiti in cui ricorrano le due condizioni esposte al punto precedente, ha diritto alla detrazione dell’IVA assolta a monte (Sentenza della Corte di giustizia 22 giugno 2016, Gemeente Woerden C-267/15, punto 35).
3.1. -Il motivo è infondato.
Secondo la giurisprudenza della Corte di Lussemburgo, il principio di neutralità fiscale esige che la detrazione dell’IVA a monte
sia accordata se gli obblighi sostanziali siano soddisfatti, anche se “taluni obblighi formali” siano stati omessi dai soggetti passivi ( ex plurimis , Corte. giust. 27 settembre 2007, C-146/05, Collee ; Corte. giust. 8 giugno 2008, C-95 e 96/07, Ecotrade ). Tuttavia – come la stessa giurisprudenza comunitaria, del pari, afferma – nell’ipotesi in cui le violazioni formali siano di tale entità da impedire la realizzazione degli obiettivi – del pari perseguiti dall’Unione europea -di assicurare l’esatta riscossione dell’imposta e di evitarne l’evasione, lo Stato membro – nel fare uso della discrezionalità concessagli, al riguardo, dalle disposizioni comunitarie, fermo il limite di non ostacolare i rapporti tra gli Stati membri e di non impedire immotivatamente ed aprioristicamente l’esercizio del diritto alla detrazione – ben potrà imporre al soggetto passivo di osservare la totalità delle norme contabili nazionali, conformi ai principi comunitari, ai fini del corretto e legittimo esercizio del diritto alla detrazione dell’IVA (Corte. giust. 13 febbraio 2014, Maks Pen , C18/13; Corte. giust. 29 luglio 2010, Profaktor Kulesza , C-188/09).
In conformità a tali principi, ai sensi dell’articolo 19 d.P.R. 633 del 1972, vigente ratione temporis , si prevede sul piano contabile che « per la determinazione dell’imposta dovuta a norma del primo comma dell’articolo 17 o dell’eccedenza di cui al secondo comma dell’articolo 30, detraibile dall’ammontare dell’ imposta relativa alle operazioni effettuate, quello dell’imposta assolta o dovuta dal soggetto passivo o a lui addebitata a titolo di rivalsa in relazione ai beni ed ai servizi importati o acquistati nell’esercizio dell’impresa, arte o professione. Il diritto alla detrazione dell’imposta relativa ai beni e servizi acquistati o importati sorge nel momento in cui l’imposta diviene esigibile e può essere esercitato, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto alla detrazione è sorto ed alle condizioni esistenti al momento della nascita del diritto medesim o».
Nel caso di specie, poiché la fattura oggetto del rilievo è stata emessa nel corso del 2005, in tale anno si è concretizzato il momento in cui l’IVA è divenuta esigibile.
Il diritto alla detrazione dell’IVA sorge dunque nel momento in cui l’imposta diviene esigibile e alla data in cui la fattura deve essere emessa, la quale coincide, ai sensi dell’art. 21, del d.P.R. n. 633 del 1972 nella formula vigente con il “momento di effettuazione dell’operazione”, identificantesi, quanto alla cessione di beni, con la data di stipulazione del contratto, se avente ad oggetto beni immobili, e con quella di consegna o spedizione, se avente ad oggetto beni mobili, indipendentemente dall’avvenuto pagamento del prezzo, e, quanto alle prestazioni di servizi, di regola col momento del pagamento del corrispettivo oppure con la data di emissione della fattura (anche in acconto), quando questa avvenga in via anticipata rispetto alla data prevista per il suo pagamento (Cass., Sez. V, 11 marzo 2020, n. 6793).
La società, pertanto, ai sensi dell’articolo 19 d.P.R. 633 del 1972, avrebbe potuto detrarre la fattura in questione con la dichiarazione presentata per l’anno di imposta 2007. Nel caso di specie, invece, la fattura, con la corrispondente detrazione dell ‘ IVA, è stata registrata nel 2008 e, quindi, oltre il termine prescritto. Sussiste, inoltre, un difetto di specificità riguardo alle condizioni sostanziali in relazione alla nota di credito, cui la parte ha fatto riferimento senza ricostruire i rapporti sottostanti.
4. -Il ricorso va dunque rigettato.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater d.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in favore del l’Agenzia delle Entrate in euro 5.900,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater d.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quinta Sezione