Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 25143 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 25143 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 13/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1501/2024 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE domiciliata ‘ex lege’ in Roma INDIRIZZO presso la Cancelleria della Corte di cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
unitamente all’avvocato (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. del VENETO n. 969/2022 depositata il 18/08/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con gli avvisi di accertamento n. T6Z03GE01862/2018 e n. T6Z03GE02716/2018 l’Agenzia delle Entrate -DP di Verona -Ufficio Controlli ha proceduto nei confronti di RAGIONE_SOCIALE alla rettifica del reddito d’impresa dichiarato negli anni 2013 e 2014.
In esito a controllo mirato di cui a PVC del 28.06.2018 redatto da funzionari dello stesso Ufficio, venivano formalizzati rilievi in materia di IRES ed IVA, essendo, in particolare, contestata la qualificazione giuridica delle spese collegate all’organizzazione del ‘Premio Masi 2013 e 2014’, dalla contribuente ritenute aventi natura pubblicitaria, mentre dall’Ufficio ritenute spese di rappresentanza e come tali indetraibili ai sensi dell’art. 19 -bis.1, comma 1, lett. h), DPR n. 633 del 1972.
Gli avvisi venivano impugnati dalla contribuente innanzi alla CTP di Verona, che li annullava parzialmente.
Proponevano appello sia l’Agenzia, in via principale, che la contribuente, in via incidentale.
La CTR del Veneto, con la sentenza epigrafata, respingeva entrambi i gravami, ritenendo, in estrema sintesi, che le spese per il
‘Premio COGNOME‘ possedessero ‘una forte caratterizzazione commerciale che consente di assimilarle alle spese pubblicitarie’.
Propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate con un motivo, cui resiste la contribuente con controricorso, ulteriormente insistito con memoria in data 14 -16 maggio 2025.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso si denuncia: ‘Violazione e/o falsa applicazione delle norme di diritto ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., in particolare dell’art. 19 bis 1, lettera h), del d.p.r. 633 del 1972, dell’art. 108 del DPR n. 917/1986 e al D.M. 19 novembre 2008’. Ad avviso dell’Agenzia ricorrente, tre sono i criteri essenziali per la qualificazione delle spese di rappresentanza: gratuità, finalità promozionali o di pubbliche relazioni e ragionevolezza e coerenza. Tra tali criteri, per scelta legislativa, a partire dal periodo d’imposta 2008, giusta una specifica nozione normativa di spese di rappresentanza, spicca il primo. Inoltre, dalla giurisprudenza ‘emerge il superamento del tradizionale criterio fondato sull’oggetto del messaggio divulgativo (prodotto = pubblicità; immagine = rappresentanza) ‘.
Il motivo è fondato, sia pure con le precisazioni che seguono, e merita accoglimento.
Ai sensi dell’art. 19 -bis.1, comma 1, lett. h), DPR n. 633 del 1972, non è ammessa in detrazione l’imposta relativa alle spese di rappresentanza, come definite ai fini delle imposte sul reddito, tranne quelle sostenute per l’acquisto di beni di costo unitario non superiore ad euro cinquanta.
Ai sensi dell’art. 108, comma 2, tuir,
le spese di rappresentanza sono deducibili nel periodo di imposta di sostenimento se rispondenti ai requisiti di inerenza stabiliti con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, anche in funzione della natura e della destinazione delle stesse.
Ai sensi dell’art. 1, comma 1, decr. Min. Ec. Fin. 19 novembre 2008, agli effetti dell’applicazione dell’art. 108, comma 2, secondo periodo, del testo unico delle imposte sui redditi , si considerano inerenti, sempreché effettivamente sostenute e documentate, le spese per erogazioni a titolo gratuito di beni e servizi, effettuate con finalità promozionali o di pubbliche relazioni e il cui sostenimento risponda a criteri di ragionevolezza in funzione dell’obiettivo di generare anche potenzialmente benefici economici per l’impresa ovvero sia coerente con pratiche commerciali di settore.
Corrisponde alla costante esegesi della giurisprudenza di legittimità quella a termini del quale, ‘in tema di IVA, ai fini della deduzione dei costi, il criterio discretivo tra spese di rappresentanza e spese di pubblicità va individuato negli obiettivi perseguiti, atteso che le prime sono sostenute per accrescere il prestigio della impresa senza dar luogo ad una aspettativa di incremento delle vendite, se non in via mediata e indiretta attraverso il conseguente aumento della sua notorietà e immagine, mentre le seconde hanno una diretta finalità promozionale di prodotti e servizi commercializzati, mediante l’informazione ai consumatori circa l’esistenza di tali beni e servizi, unitamente all’evidenziazione e all’esaltazione delle loro caratteristiche e dell’idoneità a soddisfarne i bisogni, in modo da incrementare le relative vendite’ (Cass. n. 10440 del 2021).
Detto insegnamento è stato ancora recentemente ribadito, essendosi affermato che, ‘in tema di redditi d’impresa, anche quando la società contribuente, nel commercio di prodotti di lusso o di nicchia, dispone di un’utenza di riferimento tendenzialmente ristretta,
il criterio discretivo tra spese di pubblicità e spese di rappresentanza è rappresentato dagli obiettivi immediatamente perseguiti mediante gli esborsi sostenuti, i quali, per iscriversi alla prima categoria, devono necessariamente rispondere ad una finalità promozionale specificamente incentrata sui prodotti e compiuta attraverso un’attività reclamistica e organizzativa direttamente calibrata sulla loro vendita, mentre rientrano tra le seconde i costi di iniziative imperniate sull’ente e orientate a potenziarne, quale patrocinatore o sovvenzionatore di eventi culturali, il grado di conoscenza, l’immagine e il prestigio fra potenziali e selezionati clienti, ancorché da esse possa derivare, collateralmente e di riflesso, un incremento delle vendite dei prodotti’ (Cass. n. 10781 del 2023).
Ancor più particolarmente s’è precisato che ‘costituiscono spese di rappresentanza i costi sostenuti per accrescere il prestigio e l’immagine della società e per potenziarne le possibilità di sviluppo, senza dar luogo ad una aspettativa di incremento delle vendite, mentre sono spese di pubblicità o propaganda quelle erogate per la realizzazione di iniziative tendenti, prevalentemente anche se non esclusivamente, alla pubblicizzazione di prodotti, marchi e servizi, o comunque al fine diretto di incrementare le vendite, sicché è necessaria una rigorosa verifica in fatto della effettiva finalità delle spese’ (Cass. n. 14049 del 2023).
Siffatto criterio di distinzione tra spese di rappresentanza e spese di pubblicità tiene conto della nozione di spese di pubblicità emergente dalla giurisprudenza unionale, ove, da epoca ormai non più recente, affermasi che ‘la nozione di pubblicità implica necessariamente la diffusione di un messaggio destinato ad informare il consumatore dell’esistenza e delle qualità di un prodotto o di un servizio allo scopo di incrementare le vendite; benché la diffusione di
un messaggio del genere avvenga di solito mediante parole, scritti o immagini via stampa, radio o televisione, essa può anche essere effettuata ricorrendo parzialmente o in via esclusiva ad altri strumenti’ (CGUE, 17 novembre 1993, in causa C -68/92, Commissione CE contro Repubblica Francese: cfr. da ult. anche ID, 25 novembre 2021, in causa C -334/20, A. M. Kft.).
Al superiore insegnamento, imperniato, in perfetta aderenza alla norma primaria , a sua volta rispondente alla cornice unionale di riferimento, sul criterio degli ‘obiettivi perseguiti’ quale ‘discrimen’ tra spese di rappresentanza e spese di pubblicità, il Collegio intende dare, espressamente, continuità, con la precisazione, invero, che le indicazioni del d.m. cit. ben possono assolvere una funzione di specificazione ed ausilio dei connotati tipici delle spese di rappresentanza, tra cui, comunemente, la gratuità.
Invero, il citato decreto ministeriale, nella scia della norma primaria cui è inteso dare mera attuazione in punto di inerenza delle spese di rappresentanza, chiarisce che queste rispondono alla logica di ‘generare anche potenzialmente benefici economici per l’impresa’, ponendo così l’accento (in armonia con la ‘natura’ e la ‘destinazione’ delle spese di cui ragiona l’art. 108, comma 2, tuir) sulla promozione dell’impresa, ‘rectius’, dell’immagine dell’impresa, piuttosto che sui suoi prodotti; talché, nel discernimento tra spese di rappresentanza e spese di pubblicità, il giudice di merito ben può motivatamente valutare anche il profilo della gratuità, quale connotato normalmente , anche se non necessariamente né univocamente , attagliantesi alle prime.
In altri termini, l’elemento dirimente per qualificare la spesa di rappresentanza è la natura e la funzione della spesa, mentre la
gratuità integra un indice valutabile ai fini di una ricostruzione fattuale obiettiva e completa.
Così ricostruito il quadro normativo e giurisprudenziale applicabile, e ribadito il criterio degli ‘obiettivi perseguiti’ quale ‘discrimen’ tra spese di rappresentanza e spese di pubblicità, è priva di rilievo la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia formulata in controricorso e reiterata in memoria.
È il punto di partenza del quesito – ossia la supposta esistenza di ‘una prassi nazionale che assuma a ‘discrimen’ tra spese di rappresentanza e spese di pubblicità, non già la trasmissione di un messaggio sull’immagine della società oppure sul prodotto aziendale, ma il carattere gratuito della prestazione di servizi’ -a non corrispondere alla realtà né normativa né giurisprudenziale italiana, perfettamente rispondente alla giurisprudenza unionale anche in forza del formante esegetico che in via consolidata promana da questa S.C.
Ciò rilevato, la CTR non ha fatto corretta applicazione dei sopra esposti principi.
Nell”incipit’ della motivazione, infatti, è essa medesima a rilevare che ‘la manifestazione ‘Premio RAGIONE_SOCIALE per la civiltà del vino’ è un evento che si svolge annualmente nel cuore della Valpolicella organizzato dalla RAGIONE_SOCIALE‘, sottolineandone una certa ritualità, del resto evidente nella periodicità, dell’evento, dacché si tratta di una vera e propria ‘cerimonia alla presenza di stampa, televisioni e mezzi di comunicazione’, cui prendono parte ‘varie personalità che si sono particolarmente distinte nel corso dell’anno precedente’, aperta a ‘centinaia di invitati rappresentanti di fornitori, clienti, autorità pubbliche’.
A fronte di ciò, l’affermazione della medesima CTR, nella parte conclusiva della motivazione, secondo cui ‘le spese sostenute per la manifestazione devono ritenersi connotate da una forte caratterizzazione commerciale che consente di assimilarle alle’ – e dunque neppure propriamente sussumerle nelle -‘spese pubblicitarie’ è priva di un’effettiva, e complessiva, analisi della situazione di fatto.
Ed invero, considerato che la ‘manifestazione’ è un ‘premio’, il quale, finanche nella denominazione, porta l’intitolazione alla società, quale casa vinicola, ed estrinseca una correlazione finalistica con la promozione della ‘civiltà del vino’, la CTR si trincera dietro la formula, di per sé equivoca e comunque non univoca, della ‘forte caratterizzazione commerciale’ delle ‘spese’: formula che – proprio perché si parla di un ‘Premio Masi per la civiltà del vino’ – si attaglia principalmente alla promozione dell’identità ‘commerciale’ dell’impresa ‘COGNOME‘, ma non per ciò solo – come ritenuto dalla CTR e preteso dalla contribuente in controricorso e memoria – a quella che specie in passato soleva definirsi ‘reclamizzazione’, ossia presentazione ‘commerciale’, dei prodotti dell’impresa COGNOME: a mancare è uno specifico collegamento (dalla CTR non minimamente evocato) dell’evento, neppure, semplicemente, con i prodotti, ma, specificamente, con la finalità di vendita dei prodotti (a dire il vero dalla CTR neppure individuati).
Né appare sufficiente che, nel corso della ‘cerimonia’, sia consegnata una ‘botte’ di ‘amarone’, poiché siffatta botte, costituendo il ‘premio’ a ‘persone di chiara fama che si sono distinte in diversi settori sociali’, sottolinea la provenienza dalla casa vinicola, ma di per sé non identifica prodotti da reclamizzare, che peraltro non consistono – a dire della stessa CTR – solo nell’amarone, poiché la
sentenza impugnata parla di ‘ prodotti pronti alla commercializzazione e in particolare dell”amarone”.
La sentenza impugnata va pertanto cassata con rinvio, per nuovo esame e per le spese, comprese quelle del grado.
P.Q.M.
In accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di giustizia di secondo grado del Veneto, in diversa composizione, per nuovo esame e per le spese.
Così deciso a Roma, lì 28 maggio 2025.