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Spese di rappresentanza e IVA: quando sono indeducibili?

La Corte di Cassazione ha chiarito i principi sull’onere della prova in materia di indeducibilità dei costi. Il caso riguarda un’azienda del settore tecnologico a cui l’Agenzia Fiscale ha contestato la detrazione dell’IVA per operazioni soggettivamente inesistenti e la deducibilità di spese di rappresentanza per un viaggio. La Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia, stabilendo che il contribuente ha l’onere di dimostrare la propria buona fede e la massima diligenza per la detrazione IVA in contesti fraudolenti. Per le spese di rappresentanza, ha ribadito che il contribuente deve provare l’inerenza del costo all’attività d’impresa, dimostrando l’effettiva natura promozionale dell’evento.

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Pubblicato il 4 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Spese di Rappresentanza e IVA: la Cassazione fissa i paletti

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione interviene su due temi cruciali per le imprese: la detraibilità dell’IVA in presenza di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti e la deducibilità delle spese di rappresentanza. Questa decisione chiarisce in modo netto la ripartizione dell’onere della prova tra Fisco e contribuente, sottolineando la necessità di un approccio diligente e documentato da parte delle aziende per evitare contestazioni. L’analisi della Corte fornisce indicazioni operative fondamentali per la gestione fiscale.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine da un avviso di accertamento notificato dall’Agenzia Fiscale a una società operante nel commercio di computer e software. L’accertamento, relativo all’anno d’imposta 2013, contestava principalmente due violazioni:

1. Indebita detrazione IVA: L’Ufficio riteneva che alcune fatture di acquisto si riferissero a operazioni soggettivamente inesistenti, ovvero transazioni reali ma effettuate con un fornitore diverso da quello indicato in fattura, spesso nell’ambito di frodi fiscali.
2. Indeducibilità di costi: Venivano contestate le spese di rappresentanza sostenute per l’organizzazione di un viaggio in Repubblica Dominicana, a cui avevano partecipato rappresentanti della società, loro familiari e alcuni clienti.

La società aveva impugnato l’atto, ottenendo ragione sia in primo che in secondo grado. I giudici di merito avevano ritenuto che non si potesse pretendere dal contribuente un’attività di indagine sulla situazione fiscale dei propri fornitori. L’Agenzia Fiscale, insoddisfatta, ha quindi presentato ricorso in Cassazione.

Onere della Prova e Detrazione IVA

Il primo motivo di ricorso, accolto dalla Suprema Corte, riguarda la detrazione IVA in contesti di frode. La Corte ha ribadito i principi consolidati, anche a livello europeo, in materia di operazioni soggettivamente inesistenti.

L’onere della prova è ripartito:
– L’Amministrazione Finanziaria deve dimostrare, anche tramite presunzioni, non solo la fittizietà del fornitore, ma anche che il destinatario della fattura sapeva o avrebbe dovuto sapere, usando l’ordinaria diligenza, che l’operazione si inseriva in un’evasione dell’imposta.
– Una volta che l’Ufficio ha fornito elementi oggettivi e specifici (indizi) in tal senso, l’onere passa al contribuente, il quale deve provare la sua buona fede.

La Corte ha specificato che la buona fede non si dimostra con la mera esibizione della fattura o la regolarità dei pagamenti. È necessario provare di aver agito con la massima diligenza esigibile da un operatore accorto, adottando le cautele necessarie per non essere coinvolto in una frode. La sentenza di merito è stata cassata perché si era limitata ad affermare, erroneamente, che al contribuente non spetta alcuna attività di indagine sui propri partner commerciali, violando così i principi sul riparto dell’onere probatorio.

Le Spese di Rappresentanza e il Requisito di Inerenza

Anche il secondo motivo di ricorso, relativo alle spese di rappresentanza, è stato giudicato fondato. La Corte ha chiarito che, per essere deducibili, tali costi devono soddisfare il requisito di inerenza, ovvero devono essere funzionali all’attività d’impresa.

Nel caso specifico del viaggio turistico, non basta affermare che vi abbiano partecipato dei clienti. Il contribuente ha l’onere di provare che durante l’evento siano state svolte concrete e significative attività promozionali dei beni o servizi dell’impresa. Come previsto da un decreto ministeriale del 2008, i viaggi turistici sono deducibili solo se programmati per svolgere attività promozionali effettive.

La società non ha fornito alcuna prova documentale (scritture contabili, programmi dell’evento, report) che attestasse la natura promozionale del viaggio. In assenza di tale prova, il costo viene considerato estraneo all’attività d’impresa e, di conseguenza, indeducibile. La Corte ha sottolineato che l’onere di provare i presupposti dei costi deducibili, inclusa la loro inerenza, grava sempre sul contribuente.

Le Motivazioni

La Suprema Corte ha censurato la decisione dei giudici d’appello per aver applicato in modo errato i principi consolidati sull’onere della prova. Per quanto riguarda l’IVA, il giudice di merito ha ignorato il dovere del contribuente di agire con diligenza per non partecipare a schemi fraudolenti. Per le spese di rappresentanza, ha omesso di considerare che la deducibilità è subordinata a una prova rigorosa dell’inerenza del costo, prova che il contribuente non aveva fornito. La sentenza impugnata è stata quindi cassata con rinvio, affinché un nuovo giudice applichi correttamente questi principi fondamentali.

Le Conclusioni

Questa ordinanza offre due importanti lezioni per le imprese. In primo luogo, evidenzia l’importanza di implementare procedure di controllo e due diligence sui propri fornitori per mitigare il rischio di essere coinvolti in frodi IVA. Non basta una verifica formale: di fronte a indizi di anomalia, è richiesta una cautela maggiore. In secondo luogo, ribadisce che la deducibilità delle spese di rappresentanza non è automatica. Ogni costo di questo tipo deve essere supportato da documentazione adeguata che ne dimostri in modo inequivocabile la finalità promozionale e il legame con l’attività aziendale, al fine di superare il vaglio del Fisco.

Quando l’IVA su una fattura non è detraibile anche se la merce è stata ricevuta?
L’IVA non è detraibile quando l’operazione è ‘soggettivamente inesistente’, cioè quando la fattura è emessa da un soggetto diverso da quello che ha effettivamente fornito il bene o servizio. La detrazione è negata se l’Amministrazione Finanziaria prova che l’acquirente sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza, di partecipare a un’operazione fraudolenta.

Quali prove deve fornire un’azienda per dedurre le spese di rappresentanza come un viaggio promozionale?
L’azienda deve fornire prove concrete e documentali che dimostrino l’inerenza del costo all’attività d’impresa. Per un viaggio, deve provare che durante l’evento sono state svolte ‘significative attività promozionali dei beni o dei servizi’ aziendali. La semplice partecipazione di clienti non è sufficiente; occorrono prove come programmi dettagliati, materiale promozionale distribuito o resoconti delle attività svolte.

A chi spetta l’onere della prova in caso di operazioni soggettivamente inesistenti?
L’onere della prova è condiviso. Inizialmente, spetta all’Amministrazione Finanziaria provare, anche con indizi, che l’operazione si inserisce in una frode e che il contribuente ne era o avrebbe dovuto esserne consapevole. Una volta fornita questa prova, l’onere si sposta sul contribuente, che deve dimostrare di aver agito in buona fede e con la massima diligenza per evitare di essere coinvolto nella frode.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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