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Spese di lite funzionario: la Cassazione chiarisce

Un contribuente, dopo aver impugnato un avviso di liquidazione e aver successivamente pagato l’imposta e rinunciato al ricorso, è stato condannato a pagare le spese legali all’Amministrazione finanziaria. Il contribuente ha fatto ricorso in Cassazione sostenendo di non dover pagare le spese poiché l’ente si era difeso con un proprio funzionario e non con un avvocato esterno. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, dichiarandolo in parte inammissibile per genericità e in parte infondato. La Corte ha confermato il principio secondo cui l’obbligo di rifondere le spese di lite al funzionario della parte pubblica vittoriosa è pienamente legittimo, come previsto dalla normativa sul processo tributario.

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Pubblicato il 25 agosto 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Spese di lite al funzionario: la Cassazione conferma l’obbligo

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un tema ricorrente nel contenzioso tributario: la condanna al pagamento delle spese di lite al funzionario dell’Amministrazione finanziaria. Anche quando l’ente pubblico si difende in giudizio tramite un proprio dipendente e non un avvocato del libero foro, la parte soccombente è tenuta a rimborsare le spese legali? La risposta della Suprema Corte è chiara e affermativa, consolidando un principio di diritto fondamentale.

Il caso: dal ricorso alla condanna alle spese

La vicenda ha origine dall’impugnazione di un avviso di liquidazione dell’imposta di registro da parte di un contribuente. Nelle more del giudizio, il contribuente decideva di pagare l’imposta dovuta e, di conseguenza, di rinunciare agli atti del processo, chiedendone l’estinzione. L’Amministrazione finanziaria, pur aderendo alla richiesta di estinzione, insisteva per la condanna del contribuente alla refusione delle spese di lite.

La Commissione tributaria di primo grado dichiarava estinto il giudizio per cessata materia del contendere, ma condannava il ricorrente al pagamento delle spese. Contro questa decisione, il contribuente proponeva appello, che veniva parzialmente accolto dalla Commissione Regionale. Non soddisfatto, il contribuente si rivolgeva alla Corte di Cassazione.

Le doglianze del contribuente e le spese di lite al funzionario

Il motivo principale del ricorso per cassazione si basava sull’errata, a dire del ricorrente, applicazione delle norme sulle spese processuali. Il contribuente sosteneva che non si dovesse essere condannati al pagamento delle spese, o che queste dovessero essere compensate, in quanto l’Amministrazione finanziaria si era costituita in giudizio tramite un proprio funzionario delegato e non con il “ministero difensivo” di un avvocato. Secondo questa tesi, la difesa interna all’ente non giustificherebbe una condanna al pagamento di diritti e onorari.

Le motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione ha esaminato il ricorso, ritenendolo in parte inammissibile e in parte infondato, rigettandolo nel merito.

Inammissibilità del ricorso per genericità

In primo luogo, la Corte ha rilevato che il ricorso era stato formulato in modo manifestamente inammissibile. Le argomentazioni del contribuente sono state giudicate generiche, vaghe e del tutto slegate dal contesto specifico della causa. Il ricorrente si era limitato a riproporre formule normative astratte (come i “gravi motivi” per la compensazione delle spese) senza specificare in che modo si applicassero al caso concreto. Questa mancanza di chiarezza e specificità, secondo la costante giurisprudenza della Corte, viola i requisiti dell’art. 366 del codice di procedura civile e porta a una declaratoria di inammissibilità.

Il principio di diritto sulle spese al funzionario

Nonostante l’inammissibilità, la Corte è entrata nel merito dell’unica questione chiaramente individuabile: la legittimità della condanna alle spese di lite al funzionario. Su questo punto, la Cassazione ha ribadito con forza un principio consolidato. La normativa sul processo tributario (in particolare l’art. 15, comma 2-bis, del D.Lgs. 546/1992) prevede espressamente che alla parte pubblica, anche se assistita da propri funzionari, spetti in caso di vittoria la liquidazione delle spese. Queste spese vengono calcolate applicando i parametri forensi, con una riduzione del venti per cento.

La Corte ha chiarito che questa norma conferma il diritto dell’ente alla rifusione dei costi e dei compensi per l’attività difensiva svolta dai propri dipendenti, i quali sono pienamente legittimati a svolgere tale attività nel processo. Pertanto, la tesi del contribuente, secondo cui la difesa tramite funzionario non darebbe diritto al rimborso, è stata giudicata palesemente infondata.

Conclusioni: cosa ci insegna questa ordinanza

L’ordinanza in esame offre due importanti spunti di riflessione. Il primo, di carattere processuale, sottolinea l’importanza di redigere i ricorsi per cassazione con chiarezza, specificità e pertinenza, pena l’inammissibilità. Non è sufficiente citare norme o principi generali, ma è necessario dimostrare la loro concreta applicazione alla vicenda giudiziaria. Il secondo, di carattere sostanziale, chiude definitivamente la porta a ogni dubbio sulla debenza delle spese legali quando l’Amministrazione finanziaria vince una causa difendendosi con il proprio personale interno. Il principio di soccombenza si applica pienamente, e il contribuente che perde la causa è tenuto a rimborsare le spese all’ente, a prescindere dal fatto che questo si sia avvalso di un avvocato esterno o di un proprio funzionario.

L’Amministrazione finanziaria ha diritto al rimborso delle spese di lite anche se si difende in giudizio con un proprio funzionario e non con un avvocato?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che, secondo la giurisprudenza e la normativa specifica del processo tributario (art. 15, comma 2 bis, D.Lgs. 546/1992), l’ente pubblico ha diritto alla rifusione dei costi e dei compensi per l’assistenza tecnica fornita dai propri dipendenti, legittimati a svolgere attività difensiva nel processo.

Perché il ricorso del contribuente è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché le argomentazioni erano generiche, vaghe e non rispondevano ai requisiti di specificità e autosufficienza richiesti dall’art. 366 del codice di procedura civile. Le contestazioni erano mere trascrizioni di formule normative senza un collegamento concreto con la vicenda processuale.

Cosa succede alle spese legali se un contribuente, dopo aver fatto ricorso, paga l’imposta e rinuncia al giudizio?
Anche se il giudizio si estingue per cessata materia del contendere a seguito del pagamento e della rinuncia, il giudice deve comunque provvedere alla liquidazione delle spese processuali secondo il principio della soccombenza virtuale. In questo caso, essendo la rinuncia del contribuente a seguito del pagamento un’implicita ammissione della pretesa dell’ente, il contribuente è stato considerato la parte soccombente e quindi condannato al pagamento delle spese.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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