Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20043 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 20043 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6703/2022 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso da sé medesimo
-ricorrente-
contro
AGENZIA RAGIONE_SOCIALE – DIREZIONE PROVINCIALE I DI ROMA, rappresentata e difesa dall’avvocatura generale dello Stato
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. LAZIO n. 4635/2021 depositata il 19/10/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.NOME COGNOME propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, avverso la sentenza n. 4635/2022 della Commissione Tributaria Regionale del Lazio che ha dichiarato estinto il giudizio per rinuncia al ricorso ai sensi dell’art. 44, comma 1, del d. lgs. n. 546/1992 e condannato l’Appellante al pagamento delle spese di giudizio del doppio grado liquidate in complessivi € 400,00.
Replica con controricorso l’Agenzia delle Entrate Riscossione.
Il ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis1 c.p.c., in prossimità dell’udienza.
MOTIVI DI DIRITTO
La prima censura, proposta ai sensi dei nn. 3 e 5 dell’art. 360, primo comma, c.p.c., reca la deduzione della ; si assume che la condanna al pagamento delle spese di lite da parte del giudice di secondo grado è errata, poiché l’Agenzia delle Entrate si è costituita in giudizio non con un avvocato, ma tramite un funzionario delegato, il che -secondo la giurisprudenza consolidata della Cassazione (es. Cass. n. 8413/2016 e n. 31860/2018) -escluderebbe il diritto al rimborso di onorari e diritti professionali. In tali casi, l’Amministrazione può ottenere solo il rimborso di spese documentate e diverse da onorari legali.
Inoltre, si evidenzia che vi erano giustificati motivi per disporre la compensazione delle spese, in virtù della complessità e novità delle questioni giuridiche, nonché della responsabilità anche della controparte nell’instaurazione della lite.
Si chiede, inoltre, la condanna ex art. 96, terzo comma, c.p.c. per condotta ingannevole della Riscossione, la quale avrebbe tenuto una condotta pretestuosa e consapevolmente infondata chiedendo la condanna dell’appellante – rinunciante alle spese, pur sapendo di non averne diritto, sostenendosi la responsabilità aggravata della
società, avendo posto in essere una condotta lesiva dei principi di correttezza, buona fede e lealtà processuale. Il ricorrente richiede che venga irrogata una sanzione pecuniaria equitativamente determinata, quale misura di danno punitivo volta a scoraggiare l’abuso del processo.
3.La prima articolata censura non ha pregio, assorbita la seconda.
4.Il decreto-legge 8 agosto 1996, n. 437, coordinato con la legge di conversione 24 ottobre 1996, n. 556, prevedeva all’art. art. 12. (Modifiche alla disciplina sul processo tributario) comma 1 lett. b) quanto segue: >; con successiva modifica, a far data dal 1.1.2013, in forza della legge 24 dicembre 2012, n. 228, all’arti comma 32, la disposizione veniva così precisata: ( Cass. n. 2053072021; Cass. n. 4180/2024; Cass. n. 4222/2024).
4.1.Infine con la previsione attualmente vigente di cui al d.lgs. 24 settembre 2015, n. 156, Misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario, con decorrenza 01/01/2016, all’art. 9 comma 1 lett. f) n. 2-sexies, attualmente in
vigore, si prevede che .
4.2.Pur con alcune varianti, attinenti, tuttavia (nelle varie novelle succedutesi), alle modalità di determinazione dei compensi, il principio della ripetibilità delle spese, in caso di contenzioso con enti, assistiti da propri funzionari, è stato sempre confermato, e per completezza, non va omesso che del tema è stata investita anche la Corte Costituzionale (ord. 8/10/2010, n. 292), che, tuttavia, non ha esaminato la questione nel merito, avendo ritenuto il quesito proposto manifestamente inammissibile per carenza di chiarezza motivazionale nell’ordinanza di rimessione.
4.3.Considerato che in tutte le disposizioni che si sono succedute, pur mantenendo costante il parametro del compenso spettante agli avvocati, si è stabilito che il compenso debba essere riconosciuto, è evidente che, in materia tributaria, il processo ha una sua autonomia, non solo per specifiche disposizioni normative, ma anche, evidentemente, per la gestione del processo stesso, che, al di là di quello che avviene nel contesto di altri procedimenti, richiede una particolare competenza nella trattazione, sia che ci si trovi in presenza di difesa tecnica, sia che questa difesa, sulla base delle stesse norme procedurali, sia svolta da un funzionario o dipendente all’uopo delegato.
4.4.Sotto altro profilo, va evidenziato come la Corte Costituzionale, con ordinanza n. 117 del 1999, investita, tra l’altro, del tema della disparità di trattamento tra la normativa di cui all’art. 23 legge n.
689/81 (modifiche al sistema penale) e dell’art. 91 c.p.c., in ragione dell’inoperatività dell’onere delle spese processuali a carico del soccombente, abbia ritenuto la manifesta infondatezza della questione, in ragione del riconoscimento al legislatore della più ampia discrezionalità nel dettare le norme processuali, con il solo limite della non irrazionale predisposizione degli strumenti di tutela, ed in particolare, la Corte ha affermato che: a) l’istituto della condanna del soccombente al pagamento delle spese di giudizio, pur avendo carattere generale, non ha portata assoluta ed inderogabile; che b) il regolamento delle spese processuali non incide sulla tutela giurisdizionale del diritto di chi agisce o si difende in giudizio; che, infine, c) un modello processuale non necessariamente deve costituire un parametro per un rito diverso, essendo giustificata la non simmetrica costruzione delle norme processuali in tema di spese di lite, allorquando esse si sostanzino in strumenti processuali ricollegati a differenti sistemi, in sé compiuti ed affatto autonomi, diretti a regolare materie non omogenee. In tal senso, la Corte ha fatto esplicito riferimento al processo tributario (art. 15 d.lgs n. 546/1992), indicandolo come riferimento inidoneo per ritenere sussistente la violazione del principio di uguaglianza tra le norme citate.
4.5.Da quanto argomentato, si ritiene possa ritenersi la particolarità normativa prevista in materia di spese e compensi processuali nell’ambito del processo tributario, che, come visto, è stata mantenuta costante nel tempo e che impedisce di decidere in senso difforme dal Collegio d’appello, in violazione di una volontà chiaramente espressa dal legislatore, e si deve, quindi, anche in questa sede, in aderenza al dettato normativo, riconoscere come corretta la condanna alle spese in favore dell’amministrazione.
5. Sotto il diverso profilo della censurata statuizione di condanna alle spese di lite, si osserva che la rinuncia al ricorso per cassazione produce l’estinzione del processo anche in assenza di accettazione,
non avendo tale atto carattere “accettizio” per essere produttivo di effetti processuali e, determinando il passaggio in giudicato della sentenza impugnata, comporta il venir meno dell’interesse a contrastare l’impugnazione, fatta salva, comunque, la condanna del rinunciante alle spese del giudizio (Cass. n. 10140/2020; n. 3971/2015).
5.1. In considerazione degli effetti della rinuncia, ritiene il Collegio che le spese del giudizio di merito sono state poste correttamente a carico della ricorrente, poiché l’applicazione del principio di causalità evidenzia che il giudizio è stato determinato dall’iniziativa del contribuente e rinunciata solo nel corso del giudizio di merito, in coerenza con quanto stabilito dall’art . 44 d.lgs. n. 546/1992.
5.2.In ogni caso, il motivo non supera il vaglio di ammissibilità.
5.3.E’ pacifico in giurisprudenza che la facoltà di disporre la compensazione delle spese processuali tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione (ex multis, Cass. Sez. Unite, 15 luglio 2005, n. 14989). Non è sindacabile, dunque, in sede di legittimità come violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. la decisione del giudice di merito di non procedere alla compensazione tra le parte delle spese di lite in caso di rinuncia al ricorso (Cass. n. 33751/2022).
Sulla scorta di quanto precede, il primo motivo di ricorso va pertanto respinto, assorbito il secondo.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo; condanna il contribuente al pagamento delle spese di questo
giudizio in favore della controricorrente che liquida in Euro 500,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma del comma 1-bis dello stesso art.13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di