Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 1019 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 1019 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/01/2024
OGGETTO: Vendita di immobile – Plusvalenza non dichiarata -Avviso di accertamento -Tardività appello -Vizio di sottoscrizione dell’atto – Spese di lite – Agenzia delle Entrate difesa da propri funzionari -Spettanza -* Principio di diritto.
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME COGNOME rappresentato e difeso, giusta procura speciale stesa a margine del ricorso, dall’Avv.to NOME COGNOME del Foro di Santa Maria Capua Vetere (CE), che ha indicato recapito PEC, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME, alla INDIRIZZO in Roma ;
-ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate , in persona del Direttore, legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, ex lege , dall’Avvocatura Generale dello Stato, e domiciliata presso i suoi uffici, alla INDIRIZZO in Roma;
-controricorrente –
avverso
la sentenza n. 10892, pronunciata dalla Commissione Tributaria Regionale della Campania il 13.11.2015, e pubblicata il 3.12.2015; ascoltata, in camera di consiglio, la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
la Corte osserva:
Fatti di causa
L’Agenzia delle Entrate notificava a COGNOME Massimo, il 25.7.2012, l’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO avente ad oggetto maggiore Irpef con riferimento all’anno 2007, nella misura di Euro 31.503,00 oltre sanzioni ed accessori, in conseguenza della rivendita infraquinquennale non dichiarata di un immobile.
Il contribuente impugnava l’atto impositivo innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Napoli, proponendo plurime censure, in particolare contestando il difetto di sottoscrizione e la carenza di motivazione dell’atto impositivo (ric., p. 1). La CTP accoglieva il ricorso ed annullava l’avviso di accertamento, ritenendo ricorrere il vizio di sottoscrizione del documento.
L’Amministrazione finanziaria spiegava appello avverso la decisione sfavorevole assunta dai giudici di primo grado, innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Campania che, valutata tempestiva l’impugnazione e ritenute fondate le difese proposte dall’Ente impositore, riformava la decisione adottata dalla CTP e riaffermava la piena validità ed efficacia dell’avviso di accertamento.
Ha proposto ricorso per cassazione, avverso la decisione sfavorevole assunta dal giudice del gravame, il contribuente, affidandosi a quattro strumenti di impugnazione. L’Agenzia delle Entrate resiste mediante controricorso.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., il contribuente contesta la violazione dell’art. 327, primo comma, cod. proc. civ., e dell’art. 57 del D.Lgs. n. 546 del 1992, in cui è incorso il giudice del gravame nella sua pronuncia, non rilevando la tardività dell’appello introdotto dall’Amministrazione finanziaria.
Mediante il secondo strumento di impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., il ricorrente censura la violazione dell’art. 42, comma terzo, del Dpr n. 600 del 1973, per non avere la CTR rilevato l’insanabile vizio di sottoscrizione dell’atto impositivo.
Con il terzo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., il contribuente critica la violazione degli artt. 67 e 68 del Dpr n. 917 del 1986 (Tuir), in cui è incorso il giudice dell’appello, per non aver rilevato il difetto assoluto di motivazione dell’avviso di accertamento, in ordine ai valori da considerare al fine di stimare la ricorrenza della pretesa plusvalenza imponibile.
Mediante il quarto mezzo di impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 91 cod. proc. civ., per avere la CTR liquidato le spese di lite, poste a suo carico, in favore dell’Amministrazione finanziaria, che però si è costituita con propri funzionari e non mediante un professionista abilitato al patrocinio innanzi alle Commissioni tributarie.
Con il primo motivo di ricorso il contribuente contesta, invocando il profilo della violazione di legge, l’errore in cui sarebbe incorso l’impugnato giudice del gravame non rilevando la tardività dell’appello introdotto dall’Amministrazione finanziaria.
Evidenzia il ricorrente che la sentenza della CTP è stata pubblicata il 1°.8.2014, e la notifica dell’atto di appello, inviato dall’Amministrazione finanziaria, perveniva il 18.3.2015. Dall’avviso di ricevimento non si deduce quando fosse stato spedito. L’Agenzia delle Entrate non produceva la ricevuta di spedizione della raccomandata, ‘bensì esclusivamente un elenco cumulativo redatto dalla stessa Agenzia delle Entrate degli atti consegnati all’Ufficio Postale … l’apposizione del timbro postale sull’elenco cumulativo prodotto dall’Agenzia delle Entrate non equivale a certificazione’
(ric., p. 3). Quindi, nella prospettazione del ricorrente, non essendo stata provata la data di spedizione dell’atto di appello, risultando a tal fine insufficiente l’apposizione del timbro postale di accettazione sull’elenco delle raccomandate in spedizione redatto dalla stessa Agenzia delle Entrate, unica data utile di riferimento risultava essere quella di consegna del plico, intervenuta in data 18.3.2015, mentre il termine utile era scaduto il 16.3.2015.
5.1. La CTR osserva sinteticamente sul punto che ‘la notifica dell’appello è tempestiva, tale essendo la spedizione dell’atto di gravame, la quale deve farsi risalire al 13.03.15 … non ha invero pregio l’opinione di esso contribuente per cui occorra far riferimento all’epoca dell’accettazione del plico … la notifica a mezzo posta … si perfeziona per il notificante all’atto della spedizione del plico’ (sent. CTR, p. II).
5.2. L’Amministrazione finanziaria, a sua volta, replica che ‘l’elenco cumulativo dei pieghi raccomandati e assicurati consegnati all’Agenzia Postale su cui è apposta la data di consegna non può non avere valenza probatoria ai fini in discussione’ (controric., p. 6).
5.3. Questa Corte regolatrice, invero, ha già avuto occasione di pronunciarsi più volte sulla questione ora sottoposta al suo esame dal contribuente, ed ha recentemente ribadito che ‘nel processo tributario, in caso di notificazione a mezzo posta dell’appello secondo le modalità fissate dall’art. 20, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, richiamato dal successivo art. 53, comma 2, i dati alfanumerici sulla data e l’ufficio postale di accettazione, ove mancanti sull’avviso di ricevimento, in tutto o in parte, ovvero d’incerta paternità, sono surrogati, con efficacia di atto pubblico anche in difetto di sottoscrizione, dal timbro datario dell’ufficio postale di partenza, che attesti l’avvenuta consegna per l’inoltro in forme e modi equipollenti a quelli della ricevuta di spedizione, secondo una prassi adottata dagli uffici postali, di notoria
conoscenza, e riconducibile ad una nozione costituzionalmente adeguata delle dette disposizioni, anche in rispondenza della nozione ristretta delle inammissibilità processuali, posta a cardine interpretativo del processo tributario dalla Corte costituzionale (sentenze n. 189 del 2000 e n. 520 del 2002)’, Cass. sez. V, 6.7.2022, n. 21483; e si era già in precedenza statuito che ‘nel processo tributario, la prova del perfezionamento della notifica a mezzo posta dell’atto di appello è validamente fornita dal notificante mediante la produzione dell’elenco delle raccomandate recante il timbro delle poste, poiché la veridicità dell’apposizione della data mediante lo stesso è presidiata dal reato di falso ideologico in atto pubblico, riferendosi all’attestazione di attività compiute da un pubblico agente nell’esercizio delle sue funzioni di ricezione, senza che assuma rilevanza la mancanza di sottoscrizione, che non fa venir meno la qualificazione di atto pubblico del detto timbro, stante la possibilità d’identificarne la provenienza e non essendo la stessa richiesta dalla legge ‘ad substantiam’. (In applicazione del principio, la S.C. ha annullato la decisione impugnata che aveva dichiarato inammissibile l’appello in quanto non era stata depositata la ricevuta di spedizione del ricorso ma soltanto la copia conforme dell’elenco dei pieghi raccomandati recante la data ed il timbro dell’ufficio postale)’, Cass. sez. V, 19.7.2019, n. 19547.
La prova della data di spedizione dell’atto di appello, pertanto, è stata assicurata dall’Ente impositore, e la notificazione risulta tempestiva. Il primo motivo di ricorso è pertanto infondato e deve essere respinto.
Mediante il secondo strumento di impugnazione il ricorrente censura la violazione di legge in cui ritiene essere incorso il giudice dell’appello per non aver rilevato l’insanabile vizio di sottoscrizione dell’atto impositivo, che lo rende invalido.
Ricorda il contribuente che la CTP aveva ritenuto l’invalidità dell’avviso di accertamento perché non sottoscritto dal Direttore dell’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate, senza allegazione di delega in favore dei sottoscrittori dell’atto impositivo, che risultano essere il ‘capo team 12 NOME COGNOME ed il Capo Area Accertamento, dott. NOME COGNOME. La pretesa delega, disposizione di servizio n. 65/2011 redatta sul fondamento dell’ordine di servizio emesso in data 30.6.2011, veniva prodotto solo in grado di appello, e nello stesso ‘non vengono indicate le ragioni della delega … il termine di validità, i nominativi dei soggetti delegati’ (ric., p. 6), per cui l’atto, nella valutazione dei giudici di primo grado, deve comunque ritenersi inidoneo a legittimare i funzionari a sottoscrivere gli avvisi di accertamento.
6.1. La CTR premette considerazioni sulla ritenuta non essenzialità della sottoscrizione dell’atto impositivo, e sulla validità della sua sostituzione con l’indicazione a stampa del nominativo del sottoscrittore, quindi osserva che ‘nel caso di specie l’avviso in oggetto risulta firmato dal capo team accertamento e dal capo area accertamento, a loro volta delegati giusta prodotto ordine di servizio del 30.06.22, il che ampliamente basta a rendere quell’atto riferibile all’Agenzia appellante’ (sent. CTR, p. II).
6.2. Anche sulla questione sollevata dal ricorrente con il suo secondo motivo di ricorso questa Corte di legittimità si è pronunciata ripetutamente, raggiungendo un orientamento interpretativo ormai consolidato e condivisibile, che si intende pertanto confermare.
Si è infatti chiarito che ‘la delega per la sottoscrizione dell’avviso di accertamento conferita dal dirigente ex art. 42, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973, è una delega di firma e non di funzioni: ne deriva che il relativo provvedimento non richiede l’indicazione né del nominativo del soggetto delegato, né della durata della delega, che pertanto può avvenire mediante ordini di
servizio che individuino l’impiegato legittimato alla firma mediante l’indicazione della qualifica rivestita, idonea a consentire, ‘ex post’, la verifica del potere in capo al soggetto che ha materialmente sottoscritto l’atto’, Cass. sez. V, 29.3.2019, n. 8814; e non si è mancato pure di specificare che ‘la delega alla sottoscrizione dell’avviso di accertamento ad un funzionario diverso da quello istituzionalmente competente ex art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 ha natura di delega di firma – e non di funzioni – poiché realizza un mero decentramento burocratico senza rilevanza esterna, restando l’atto firmato dal delegato imputabile all’organo delegante, con la conseguenza che, nell’ambito dell’organizzazione interna dell’ufficio, l’attuazione di detta delega di firma può avvenire anche mediante ordini di servizio, senza necessità di indicazione nominativa, essendo sufficiente l’individuazione della qualifica rivestita dall’impiegato delegato, la quale consente la successiva verifica della corrispondenza tra sottoscrittore e destinatario della delega stessa’, Cass. sez. V, 19.4.2019, n. 11013.
Anche il secondo mezzo di impugnazione introdotto dal contribuente risulta pertanto infondato, e deve perciò essere respinto.
Con il terzo motivo di ricorso il contribuente critica la violazione di legge, in cui ritiene essere incorso il giudice dell’appello per non aver rilevato il difetto assoluto di motivazione dell’avviso di accertamento in ordine ai valori da considerare al fine di stimare la pretesa plusvalenza.
7.1. La CTR impugnata osserva sul punto che ‘nel merito si riscontra ampiamente dimostrato -e del resto neppure specificamente contestato – il presupposto fattuale e giuridico dell’imposizione di che trattasi, costituito dalla plusvalenza tassabile per la rivendita immobiliare ai valori indicati in narrativa, il che rende applicabile il disposto dell’art. 67, comma 1, lett. b),
del dpr n. 917/86 richiamato dall’Agenzia delle Entrate’ (sent. CTR, p II s.).
7.2. Invero nel presente giudizio non risulta contestato che la plusvalenza ritenuta tassabile dall’Agenza dipende dalla differenza tra il costo di acquisto del bene immobile come dichiarato, ed il prezzo di rivendita infraquiquennale dello stesso, anch’esso come dichiarato dal contribuente, valori ritenuti idonei dall’Amministrazione finanziaria a giustificare l’accertamento della realizzazione di una plusvalenza imponibile, in assenza di prova contraria che grava sul contribuente. Quest’ultimo, pur in presenza dell’esplicita valutazione della CTR secondo cui ‘nel merito si riscontra ampiamente dimostrato -e del resto neppure specificamente contestato -il presupposto fattuale e giuridico dell’imposizione di che trattasi, costituito dalla plusvalenza tassabile per la rivendita immobiliare ai valori indicati in narrativa’ (sent. CTR, p. III), non ha provveduto ad indicare, nel suo ricorso per cassazione, come avrebbe dimostrato i diversi valori da tenere presenti, ed il suo strumento di impugnazione, pertanto, difetta di specificità, perché non contrasta le valutazioni espresse dal giudice dell’appello, non ne confuta il fondamento, risultando lo strumento di impugnazione, in conseguenza, inammissibile.
Per completezza, pertanto, sembra ancora opportuno segnalare che le generiche considerazioni proposte dal contribuente, ad esempio segnalando ragioni che potrebbero averlo indotto a dichiarare un costo di acquisto del bene diverso rispetto a quello effettivo, non sono comunque in grado di integrare la prova contraria che su di lui gravava.
Il terzo motivo di ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile.
Mediante il quarto mezzo di impugnazione NOME COGNOME lamenta la violazione dell’art. 91 cod. proc. civ., per avere la CTR liquidato le spese di lite, poste a suo carico, in favore
dell’Amministrazione finanziaria, che però si è costituita con propri funzionari e non con un professionista abilitato al patrocinio innanzi alle Commissioni tributarie, e pertanto la liquidazione delle spese processuali non le competeva.
8.1. Anche sulla questione proposta dal ricorrente con il quarto mezzo d’impugnazione, se debbano essere corrisposte le spese di lite in favore di Pubblica Amministrazione che si sia difesa mediante propri funzionari, questa Corte ha già avuto ripetutamente occasione di pronunciarsi, pervenendo ad un orientamento consolidato e condivisibile, al quale si intende pertanto assicurare continuità.
Si è infatti recentemente ribadito che ‘nel processo tributario, alla parte pubblica (nella specie, un Comune) assistita in giudizio da propri funzionari o da propri dipendenti, in caso di vittoria della lite spetta la liquidazione delle spese, la quale deve essere effettuata mediante applicazione della tariffa ovvero dei parametri vigenti per gli avvocati, con la riduzione del venti per cento dei compensi ad essi spettanti, atteso che l’espresso riferimento ai compensi per l’attività difensiva svolta, contenuto nell’art. 15, comma 2 bis, del d.lgs. n. 546 del 1992, conferma il diritto dell’ente alla rifusione dei costi sostenuti e dei compensi per l’assistenza tecnica fornita dai propri dipendenti, che sono legittimati a svolgere attività difensiva nel processo’, Cass. sez. V, 11.10.2021, n. 27634 (conf., Cass. sez. V, 17.9.2019, n. 23055); e non si è mancato di evidenziare che la normativa tributaria si fonda su una specifica disciplina, ‘in quanto l’art. 15 d.lgs. 546/92, ha, sempre, normativamente previsto la ripetibilità di dette spese, nell’ipotesi in cui l’attività difensiva sia stata svolta da funzionari dell’amministrazione finanziaria o da dipendenti di enti locali’, Cass. sez. V, 11.10.2021, n. 27634.
8.2. Non rinvenendosi pronunce massimate in materia di tutela in giudizio dell’Amministrazione finanziaria, il ricordato principio di
diritto può essere confermato e specificato nel senso che ‘nel processo tributario, all’Amministrazione finanziaria che sia stata assistita in giudizio da propri funzionari o da propri dipendenti, in caso di vittoria della lite spetta la liquidazione delle spese, la quale deve essere effettuata mediante applicazione della tariffa ovvero dei parametri vigenti per gli avvocati, con la riduzione del venti per cento dei compensi ad essi spettanti, atteso che l’espresso riferimento ai compensi per l’attività difensiva svolta, ora contenuto nell’art. 15, comma 2 bis , del d.lgs. n. 546 del 1992 ma comunque da sempre previsto da detto articolo, conferma il diritto dell’ente alla rifusione dei costi sostenuti e dei compensi per l’assistenza tecnica fornita dai propri dipendenti che siano legittimati a svolgere attività difensiva nel processo’.
Il quarto motivo di ricorso risulta pertanto infondato e deve essere respinto.
In definitiva, il ricorso introdotto da NOME COGNOME deve essere rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza, e sono liquidate nel dispositivo in considerazione della natura delle questioni esaminate e del valore della causa.
9.1. Risultano integrati i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, del c.d. doppio contributo.
La Corte di Cassazione,
P.Q.M.
rigetta il ricorso proposto da COGNOME NOME COGNOME che condanna al pagamento delle spese di lite in favore della costituita Agenzia delle Entrate, e le liquida in complessivi Euro 4.100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater , dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo
di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 bis , se dovuto.
Così deciso in Roma, il 29.11.2023.