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Spese di giudizio Agenzia Entrate: la Cassazione decide

Un contribuente ha impugnato un’intimazione di pagamento, lamentando in Cassazione un’omessa pronuncia sui motivi d’appello. La Corte Suprema ha rigettato il ricorso, chiarendo due punti fondamentali: un’intimazione basata su una sentenza non richiede motivazione autonoma e le spese di giudizio Agenzia Entrate sono dovute dal soccombente anche quando l’ente si difende con propri funzionari, sebbene con una riduzione del 20%.

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Pubblicato il 14 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Spese di giudizio Agenzia Entrate: Quando sono dovute?

La questione delle spese di giudizio Agenzia Entrate rappresenta un tema di grande interesse per contribuenti e professionisti. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto importanti chiarimenti, in particolare sulla condanna alle spese quando l’amministrazione finanziaria si difende in giudizio tramite i propri funzionari interni anziché avvalendosi dell’Avvocatura dello Stato. Analizziamo questa decisione per comprendere le sue implicazioni pratiche.

I Fatti di Causa

Un contribuente si è visto notificare un’intimazione di pagamento a seguito di un avviso di accertamento relativo all’anno d’imposta 2010, per il quale era stata effettuata un’iscrizione a ruolo provvisoria. Il contribuente ha impugnato l’intimazione, ma il suo ricorso è stato respinto sia dalla Commissione Tributaria Provinciale (C.T.P.) sia dalla Commissione Tributaria Regionale (C.T.R.).

Giunto dinanzi alla Corte di Cassazione, il contribuente ha lamentato un vizio di “omessa pronuncia” da parte del giudice d’appello, sostenendo che quest’ultimo non si fosse espresso su due specifici motivi:
1. La presunta carenza di motivazione dell’intimazione di pagamento.
2. L’errata condanna al pagamento delle spese processuali, sostenendo che queste non sarebbero dovute quando l’Agenzia delle Entrate si difende in giudizio con i propri funzionari.

L’analisi dei motivi di ricorso e la questione delle spese di giudizio Agenzia Entrate

Il ricorso in Cassazione si è concentrato su due profili distinti. Il primo, di natura procedurale, riguardava l’obbligo di motivazione degli atti della riscossione. Il secondo, di grande rilevanza pratica, toccava il tema delle spese di giudizio Agenzia Entrate.

Il ricorrente, richiamando una precedente pronuncia della Suprema Corte, sosteneva che il contribuente soccombente non potesse essere condannato al pagamento delle spese se l’Agenzia si era difesa tramite il proprio ufficio legale interno. La Corte di Cassazione ha dovuto quindi valutare se il giudice d’appello avesse effettivamente omesso di pronunciarsi su questo punto e, in caso affermativo, decidere la questione nel merito, trattandosi di una pura questione di diritto.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha esaminato separatamente i due profili del ricorso, giungendo a conclusioni diverse.

Sul primo punto, relativo alla motivazione dell’atto, i giudici hanno ritenuto il motivo infondato. Hanno chiarito che l’intimazione di pagamento, essendo un atto conseguente a un’iscrizione a ruolo provvisoria basata su una decisione giurisdizionale, non necessita di una motivazione autonoma e complessa. È infatti sufficiente che essa contenga il richiamo alla sentenza su cui si fonda, come correttamente rilevato dal giudice di secondo grado.

Sul secondo e più cruciale punto, quello relativo alle spese di giudizio, la Corte ha prima constatato che effettivamente la sentenza d’appello non aveva affrontato lo specifico motivo. Tuttavia, anziché rinviare la causa, ha deciso direttamente la questione. La Corte ha stabilito che, in base alla normativa vigente (art. 15, comma 2-sexies, del D.Lgs. 546/92), la tesi del contribuente era infondata. La legge prevede esplicitamente che, anche quando l’Agenzia delle Entrate si difende con i propri funzionari, il contribuente soccombente è tenuto a rimborsare le spese. La norma stabilisce però una particolarità: il compenso viene liquidato con una riduzione del 20% rispetto a quello che spetterebbe a un avvocato. Di conseguenza, la pretesa del ricorrente di non dover pagare alcuna spesa è stata respinta.

Conclusioni

L’ordinanza della Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso del contribuente, condannandolo al pagamento di ulteriori spese per il giudizio di legittimità. La decisione ribadisce due principi importanti. In primo luogo, gli atti della riscossione che si basano su sentenze non richiedono una motivazione complessa, essendo sufficiente il riferimento al provvedimento giudiziario. In secondo luogo, e di maggiore impatto, viene confermato che la difesa in giudizio dell’Agenzia delle Entrate tramite propri funzionari non esonera il contribuente soccombente dal pagamento delle spese di giudizio Agenzia Entrate. La legge prevede solo una riduzione forfettaria del 20% sull’onorario, consolidando un orientamento che mira a non penalizzare l’ente pubblico per la scelta di utilizzare risorse interne.

Un’intimazione di pagamento basata su una sentenza provvisoria necessita di una motivazione autonoma?
No, secondo la Corte è sufficiente il richiamo alla pronuncia giurisdizionale su cui si fonda, in quanto l’atto è conseguente a un’iscrizione a ruolo provvisoria ai sensi dell’art. 68, d.P.R. n. 602/1973.

Un contribuente deve pagare le spese di giudizio se l’Agenzia delle Entrate si difende con i propri funzionari interni?
Sì, il contribuente che risulta soccombente è tenuto al pagamento delle spese processuali anche in questo caso.

È prevista una riduzione delle spese legali se l’Agenzia delle Entrate non si avvale dell’Avvocatura dello Stato?
Sì, l’articolo 15, comma 2-sexies, del D. Lgs. 546/92 prevede che nella liquidazione delle spese a favore dell’ente impositore assistito da propri funzionari si applichi una riduzione del venti per cento dell’importo complessivo previsto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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