Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6867 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 6867 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/03/2025
CARTELLA DI PAGAMENTO -IRPEF 2008.
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 20342/2016 R.G. proposto da: COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale a margine del ricorso, -ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore protempore, domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ex lege ,
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia n. 1203/29/2016, depositata il 4 marzo 2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27 novembre 2024 dal consigliere relatore dott. NOME COGNOME
dato atto che il Pubblico Ministero, in persona del sost. proc. gen. dott. NOME COGNOME ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle Entrate Direzione provinciale I di Milano procedeva alla rettifica della dichiarazione dei redditi Mod. Unico 2009, per redditi 2008, presentata da COGNOME NOME, contestando 5 diverse irregolarità ai sensi dell’art. 36 -ter d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.
Il contribuente, con lettera del 31 maggio 2012, dichiarava all’Ufficio di concordare su una delle cinque rettifiche operate, e provvedeva al relativo pagamento tramite mod. F24; nella stessa lettera chiedeva l’annullamento delle restanti quattro rettifiche effettuate.
Con successivo provvedimento del 19 giugno 2012, ricevuto il 2 luglio 2012, l’Ufficio rigettava parzialmente l’istanza di autotutela, accogliendo solo uno dei quattro rilievi proposti dal contribuente, contestando la detrazione relativa alla figlia del ricorrente – indicata come a carico – e quella relativa al mutuo di ristrutturazione della prima casa. L’atto impugnato liquidava pertanto una maggiore IRPEF per € 605,49,00 oltre interessi e sanzioni per € 189,00. Successivamente, veniva notificata a COGNOME NOME cartella di pagamento n. NUMERO_DOCUMENTO con la quale l’Agenzia delle Entrate procedeva al recupero della maggiore IRPEF accertata.
Il contribuente quindi proponeva separati ricorsi avverso l’atto di diniego parziale di autotutela, e la successiva cartella di pagamento, dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Milano la quale, con sentenza n. 5292/01/2014, depositata il 3 giugno 2014, previa riunione dei predetti ricorsi, li rigettava, condannando il ricorrente alla rifusione delle spese di lite.
Interposto gravame da COGNOME NOME, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, con sentenza n. 1203/29/2016, pronunciata il 27 gennaio 2016 e depositata in segreteria il 4 marzo 2016, dichiarava inammissibile l’appello, condannando l’appellante al pagamento delle spese di giudizio.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione COGNOME NOME sulla base di sei motivi (ricorso notificato il 12 settembre 2016).
L
‘Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
Il ricorrente ha depositato memoria.
Con decreto del 15 luglio 2014 è stata quindi fissata la discussione del ricorso dinanzi a questa sezione per l’udienza pubblica del 27 novembre 2024.
A detta udienza è comparso il procuratore della controricorrente, che ha concluso come da verbale in atti.
E’ intervenuto il Pubblico Ministero, in persona del sost. proc. gen. dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso in esame, come si è detto, è affidato a sette motivi.
1.1. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente eccepisce violazione dell’art. 132, num. 4), c.p.c. , nonché degli artt. 53, 56 e 59 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e dell’art. 342, num. 1) e 2), c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), dello stesso codice; omesso esame di un fatto decisivo ai fini del giudizio, in relazione all’art. 360 , comma 1, num. 5), c.p.c.
Deduce, in particolare, il ricorrente, che erroneamente la C.T.R. aveva dichiarato inammissibile l’appello, in quanto, contrariamente a quanto affermato dalla Corte territoriale, il relativo ricorso conteneva le necessarie critiche alla sentenza di primo grado, il cui esame era stato quindi completamente omesso dai giudici di secondo grado.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso si censura violazione e falsa applicazione dell’art. 35 del d.lgs. n. 546/1992 e degli artt. 112, 276, comma 2, e 277 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), dello stesso codice; omessa esame di un fatto decisivo ai fini del giudizio, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 5), c.p.c.
Deduce, in particolare, il ricorrente che la C.T.R. aveva del tutto omesso l’esame delle eccezioni preliminari formulate dal contribuente nell’atto introduttivo del giudizio, espressamente richiamate nell’atto di appello alle pagine da 6 a 9, ed in particolare: a ) violazione dell’art. 42 del d.P.R. n. 600/1973, in quanto l’atto impositivo era stato notificato mancante della prima pagina, e privo di firma autografa del responsabile dell’Ufficio; b ) violazione dell’art. 7, comma 2, lett. c), della legge 27 luglio 2000, n. 212, non riportando alcuna indicazione su come impugnare l’atto impositivo; c ) violazione
dell’art. 36 -ter del d.P.R. n. 600/1973, in quanto il provvedimento dell’Ufficio era stato notificato oltre il termine di decadenza ivi previsto; d ) mancata esplicitazione del calcolo degli interessi.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente eccepisce violazione dell’art. 19, comma 1, del d.lgs. n. 546/1992, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c., nonché omesso esame di un fatto decisivo ai fini del giudizio, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 5), dello stesso codice.
Deduce, in particolare, che la sentenza impugnata aveva erroneamente omesso di correggere la sentenza di primo grado, nella parte in cui dichiarava non impugnabile l’atto impositivo dell’Ufficio, riguardante la comunicazione di rettifica ed il rigetto de ll’istanza di autotutela, trattandosi invece di atto impugnabile ex art. 19, comma 1, lett. b ), c ) ed h ), del d.lgs. n. 546/1992.
1.4. Con il quarto motivo di ricorso si eccepisce violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 12 e 13 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, nonché degli artt. 3, comma 1, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e 31, comma 1, della legge 5 agosto 1978, n. 457, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c.; omesso esame di un fatto decisivo ai fini del giudizio, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 5), c.p.c.
Deduce, in particolare, il contribuente che la C.T.R. aveva omesso qualunque valutazione in merito alla questione riguardante le detrazioni per la figlia a carico COGNOME NOME, e la deducibilità delle spese per mutuo per ristrutturazione della prima casa.
1.5. Con il quinto motivo di ricorso il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 277 c.p.c., nonché dell’art. 118 disp. att. c.p.c., dell’art. 35 e dell’art. 36 del d.lgs. n. 546/1992, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c.
Rileva, in particolare, che la sentenza impugnata presentava una motivazione inesistente e puramente apparente, in quanto si era limitata a riportare l’eccezione preliminare sollevata dall’Ufficio circa l’inammissibilità dell’appello per presunta inesistenza dei motivi dello stesso.
1.6. Con il sesto motivo di ricorso si eccepisce violazione e falsa applicazione dell’art. 34 del d.lgs. n. 546/1992, in relazione all’art . 360, comma 1, num. 3), c.p.c.
Deduce, in particolare, il ricorrente che nella sentenza impugnata la C.T.R. dava atto di avere udito i rappresentanti delle parti, ma che non era stata celebrata alcuna pubblica udienza nel giudizio di appello, per cui se ne doveva dedurre che fosse state sentito soltanto il rappresentante de ll’Ufficio, con lesione del diritto di difesa del contribuente.
Così delineati i motivi di ricorso, la Corte osserva quanto segue.
2.1. Il primo motivo è fondato.
La C.T.R. ha dichiarato inammissibile l’appello del contribuente, in quanto il relativo atto si sarebbe limitato a riprodurre le difese svolte in primo grado «senza indicare le argomentazioni che sorreggevano la decisione impugnata e senza attaccarle con appropriate controdeduzioni».
Deve tuttavia rilevarsi che «in tema di contenzioso tributario, la mancanza o l’assoluta incertezza dei motivi
specifici dell’impugnazione, le quali, ai sensi dell’art. 53, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, determinano l’inammissibilità dell’appello, non sono ravvisabili qualora il gravame, benché formulato in modo sintetico, contenga una motivazione interpretabile in modo inequivoco, potendo gli elementi di specificità dei motivi ricavarsi, anche per implicito, dall’intero atto di impugnazione considerato nel suo complesso, comprese le premesse in fatto, la parte espositiva e le conclusioni; ciò in quanto l’articolo cit. deve essere interpretato restrittivamente, in conformità all’art. 14 disp. prel. c.c., trattandosi di disposizione eccezionale che limita l’accesso alla giustizia, dovendosi pertanto consentire, ogni qual volta nell’atto sia comunque espressa la volontà di contestare la decisione di primo grado, l’effettività del sindacato sul merito dell’impugnazione» (Cass. 21 luglio 2020, n. 15519; v. anche Cass. 24 agosto 2017, n. 20379).
In sostanza, quindi, nel processo tributario l’onere d’impugnazione specifica richiesto dall’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992, norma speciale rispetto all’art. 342 c.p.c., è assolto anche ove l’Amministrazione finanziaria si limiti a ribadire ed a riproporre in appello le stesse ragioni ed argomentazioni poste a sostegno della legittimità del proprio operato già dedotte in primo grado (Cass. 19 settembre 2024, n. 25191; Cass. 10 gennaio 2024, n. 1030).
Orbene, alla luce di tali principi, e sulla base dell’e same dell’atto di appello del contribuente (del quale, del resto, risultano trascritti numerosi passi anche nel ricorso per cassazione), la statuizione adottata dalla sentenza impugnata non può essere condivisa.
Premesso che -come detto – anche quando la parte si limiti a ribadire ed a riproporre in appello le stesse ragioni ed argomentazioni già dedotte in primo grado, deve ritenersi assolto l’onere d’impugnazione specifica richiesto dall’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992, nel caso in esame il contribuente aveva comunque proposto specifici motivi di censura alla sentenza di primo grado, sicché priva di fondamento appare la statuizione adottata dal giudice di seconde cure, che ha lasciato del tutto senza risposta la domanda di giustizia del contribuente.
Del resto, nemmeno può prendersi in considerazione quanto osservato dalla Corte territoriale in relazione al merito della controversia (nelle due righe dedicate alla questione sostanziale: «la Commissione non può non condividere le eccezioni e le argomentazioni dell’Ufficio»), trattandosi non solo e non tanto di una motivazione assolutamente carente ma, soprattutto, di una statuizione adottata quando ormai il giudice, dichiarando l’inammissibilità dell’appello, si era spogliato della potestas iudicandi .
Stante l’accoglimento del primo motivo, per il suo carattere assorbente gli altri motivi -attenendo al merito della controversia -devono essere considerati inammissibili, non attenendo specificamente al contenuto della sentenza impugnata.
La sentenza impugnata deve quindi essere cassata con rinvio, per nuovo giudizio, alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, la quale provvederà anche alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
P. Q. M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, e dichiara inammissibili gli altri motivi.
Cassa la sentenza impugnata e rinvia, per nuovo giudizio, alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 27 novembre 2024.