Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16855 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 16855 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9061/2019 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli avv.ti COGNOME e COGNOME
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. EMILIA ROMAGNA n. 2245/2018 depositata il 24/09/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con l’impugnata sentenza, la Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, nel riformare la decisione di primo grado, accoglieva il gravame affermando la legittimità dell’avviso di accertamento relativo all’imposta di pubblicità per l’anno 2012, ritenendo che l’atto impositivo opposto, contenente l’indicazione del soggetto passivo dell’imposta, le caratteristiche e l’ubicazione dei mezzi pubblicitari, l’importo dell’imposta accertata, delle sopratasse e degli interessi dovuti, era conforme al dettato dell’art. 10 d.lgs. n. 507/1993.
La società RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, avverso la sentenza n. 2245/2018.
Replica con controricorso la società concessionaria RAGIONE_SOCIALEimposte comunali affini’ s.p.a.
Entrambe le parti hanno depositato memorie difensive.
MOTIVI DI DIRITTO
1.In via preliminare va disattesa l’eccezione di inammissibilità del controricorso per violazione del disposto dell’art. 366 c.p.c.
Ai fini dell’ammissibilità del controricorso il requisito di specifica indicazione degli atti processuali e dei documenti, di cui all’art. 366, primo comma, n. 6, c.p.c., richiamato dall’art. 370, secondo comma, c.p.c., è valutato in maniera meno rigorosa rispetto a quanto prescritto per il ricorso, avendo l’atto, non dotato di autonomia processuale, la funzione di sostenere la decisione impugnata e di replicare all’avversa impugnazione, senza proposizione di altri e diversi motivi( S.U. n. 17048/2022).
In ogni caso, l’eccezione genericamente sollevata nelle memorie dalla società ricorrente non individua i documenti che l’I.c.a.
avrebbe dovuto depositare a sostegno delle proprie allegazioni difensive.
2.Il primo strumento di impugnazione, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. denuncia violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, in tema di ammissibilità dell’appello ex art. 53 d.lgs. n. 546/1992; per avere il decidente ritenuto l’ammissibilità dell’appello proposto dalla concessionaria del Comune di Imola, ancorché non avesse proposto motivi specifici di gravame, limitandosi a richiamare la motivazione del giudice di prime cure e a ribadire quanto già illustrato con le memorie di primo grado, ritenendo l’avviso compiutamente motivato esponendo tutti gli elementi richiesti dalla normativa di settore.
Si soggiunge che tuttavia il ricorso in appello deduceva le medesime argomentazioni disattesa dalla C.T.P., senza addurre specifici motivi di impugnazione avverso la sentenza di prime cure che pure aveva affermato la carenza motivazionale dell’avviso tanto da non consentire alla contribuente di esporre le proprie difese con il ricorso, ma solo con le successive memorie difensive. 3.Il motivo non ha pregio.
Mutuando i risultati ermeneutici maturati nel settore del processo civile, in tema di specificità dei motivi di appello la giurisprudenza è ripetutamente intervenuta, e, con riguardo alla formulazione dell’art. 342 c.p.c., novellata dalla riforma del 2012, ne ha perimetrato il significato, chiarendo innanzitutto come la modifica introdotta non abbia sconvolto i tradizionali connotati dell’atto d’appello, recependo invece l’interpretazione che della norma (vigente anteriormente al D.L. 83 del 2012) aveva già elaborato la giurisprudenza della Corte, condivisa dalla dottrina maggioritaria (sulla portata della novella del 2012 cfr. innanzitutto Sez. U, 16 novembre 2017, n. 27199).
Si è a tal fine chiarito che il nuovo testo dell’art. 342 cit., come già affermato nei precedenti arresti che avevano enucleato il significato
del vecchio testo della norma (introdotti con la riforma del 1990), esige che le questioni e i punti contestati della sentenza impugnata siano chiaramente enucleati e con essi le relative doglianze; per cui, se il nodo critico è nella ricostruzione del fatto, esso deve essere indicato con la necessaria chiarezza, così come l’eventuale violazione di legge. Ove le argomentazioni della sentenza impugnata dimostrino che le tesi della parte non sono state in effetti vagliate, l’atto di appello potrà anche consistere, con i dovuti adattamenti, in una ripresa delle linee difensive del primo grado; mentre è logico che la puntualità del giudice di primo grado nel confutare determinate argomentazioni richiederà una più specifica e rigorosa formulazione dell’atto di appello, che dimostri insomma di aver compreso quanto esposto dal giudice di primo grado offrendo spunti per una decisione diversa.’ (cfr. anche Sez. U, 13 dicembre 2022, n. 36481, nonché, quanto alle sezioni semplici, ex multis Cass., 24 aprile 2019, n. 11197; da ultimo, 15 gennaio 2024, n. 1415).
Il principio enucleato è quello secondo cui la parte appellante deve porre il giudice superiore nella condizione di comprendere con chiarezza qual è il contenuto della censura proposta, dimostrando di aver inteso le ragioni del primo giudice e indicando le ragioni queste siano censurabili.
Tali conclusioni erano quelle cui la giurisprudenza era pervenuta già nella vigenza della precedente formulazione della norma, che faceva un espresso richiamo ai ‘motivi specifici’, al pari di quanto richiede, nella materia tributaria, l’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992 (sin da Cass., 30 gennaio 1987, n. 887; e poi 21 aprile 1994, n. 3809; Sez. U, 29 gennaio 2000, n. 16; 23 ottobre 2014, n. 22502/2014, secondo cui il requisito della specificità dei motivi, di cui all’art. 342 c.p.c. deve ritenersi sussistente, con verifica da effettuarsi in concreto, quando l’atto di impugnazione consenta di individuare con certezza le ragioni del gravame e le statuizioni
impugnate, così da consentire al giudice di comprendere con certezza il contenuto delle censure ed alle controparti di svolgere senza alcun pregiudizio la propria attività difensiva, mentre non è richiesta né l’indicazione delle norme di diritto che si assumono violate, né una rigorosa e formalistica enunciazione delle ragioni invocate a sostegno dell’impugnazione).
Il giudizio, dunque, nel rispetto del principio del tantum devolutum quantum appellatum , resta inequivocabilmente nell’alveo di una revisio prioris instantiae , senza trasformare l’appello in una sorta di anticipato ricorso per cassazione, che è a critica vincolata (cfr. Cass., 30 maggio 2018, n. 13535).
D’altronde è principio reiterato quello secondo cui le norme processuali devono essere interpretate in modo da favorire, per quanto possibile, la decisione di merito, ‘mentre gli esiti abortivi del processo costituiscono un’ipotesi residuale.
Né deve dimenticarsi, come le Sezioni Unite di questa Corte hanno già ribadito nella sentenza n. 10878 del 2015, che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha chiarito in più occasioni che le limitazioni all’accesso ad un giudice sono consentite solo in quanto espressamente previste dalla legge ed in presenza di un rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito (v., tra le altre, la sentenza CEDU 24 febbraio 2009, in causa C.G.I.L. e RAGIONE_SOCIALE contro RAGIONE_SOCIALE).’ (Sez. U, 27199/2017 cit.; con specifico riguardo al processo tributario cfr. Cass., 24 agosto 2017, n. 20379; 15 gennaio 2019, n. 707; 21 luglio 2020, n. 15519).
I principi enucleati sono peraltro coerenti con quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità in relazione al contenzioso tributario, laddove si sostiene che la mancanza o l’assoluta incertezza dei motivi specifici di impugnazione, che ai sensi dell’art. 53, co. 1, del d.lgs. n. 546 del 1992 determinano l’inammissibilità del ricorso in appello, non sono ravvisabili qualora il gravame, benché formulato sinteticamente, contenga una motivazione
interpretabile in modo inequivoco. Si sostiene a tal fine che gli elementi di specificità dei motivi possono essere ricavati anche per implicito dall’intero atto di impugnazione considerato nel suo complesso, comprese le premesse in fatto, la parte espositiva e le conclusioni (Cass., n. 20379/2017 cit.).
Ancora più nettamente si sostiene che nel processo tributario il requisito della specificità dei motivi di appello è soddisfatto ove le argomentazioni svolte, correlate con la motivazione della sentenza impugnata, contestino il fondamento logico-giuridico di quest’ultima, mentre non è richiesta una rigorosa enunciazione delle ragioni invocate, quando siano evincibili, anche implicitamente, dall’atto di impugnazione considerato nel suo complesso (Cass. n. 32954/2018; Cass. n. 9083/2017), con l’unico concreto limite dell’atto di appello che riproduca le argomentazioni a sostegno della domanda disattesa dal giudice di primo grado, senza neppure il minimo riferimento alle statuizioni di cui è chiesta la riforma e senza alcuna parte argomentativa che miri a contestare il percorso logico-giuridico della sentenza impugnata (Cass., 20 gennaio 2017, n. 1461; 19 dicembre 2018, n. 32838; n. 21489/2022).
In conclusione, la riproposizione, a supporto dell’appello proposto dal contribuente, delle ragioni di impugnazione del provvedimento impositivo in contrapposizione alle argomentazioni adottate dal giudice di primo grado assolve l’onere di impugnazione specifica imposto dall’art. 53, d.lgs. n. 546/1992, atteso il carattere devolutivo pieno, in tale giudizio, dell’appello, quale mezzo di gravame non limitato al controllo di vizi specifici, ma volto ad ottenere il riesame della causa nel merito (Cass. n. 28346/2024; Cass. n. 30525/2018; Cass. n. 1200/2016; Cass. n. 2012/2012).
Alla luce di quanto evidenziato, nel caso de quo la lettura dell’atto d’appello dell’ufficio, riportato per ampi stralci nel ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza, consente di superare
pienamente la declarata sua inammissibilità per difetto di specificità dei motivi di impugnazione.
La società RAGIONE_SOCIALE difatti, con l’atto d’appello aveva ribadito le ragioni poste a fondamento del controricorso (e dell’avviso d’accertamento), ma con costante riferimento alle argomentazioni -ritenute errate dall’ufficio appellante utilizzate dal giudice provinciale.
4.Il secondo motivo di ricorso, introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma n.3), c.p.c., deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 16 d.lgs. n. 472/1997, 10 d.lgs. n. 507/1993, 21septies, legge n. 214 del 7 agosto 1990, nonché degli artt. 1 e 7 della legge n. 212/2000, in tema di motivazione dell’atto impositivo. La ricorrente obietta che la statuizione della Corte distrettuale, là dove afferma l’adeguatezza motivazionale dell’atto impugnato in quanto conforme alle prescrizioni dell’art. 10 d.lgs. n. 507/1993, è illegittima. In particolare, la statuizione viola l’art. 16 cit., in quanto l’avviso di accertamento difetta dell’indicazione dei fatti attribuiti alla società e degli elementi probatori posti a fondamento del verbale di accertamento che non è richiamato dall’avviso medesimo; ad avviso della contribuente, l’atto opposto, contrariamente a quanto affermato dai giudici regionali, non conterrebbe né la data dell’accertamento, né i mezzi pubblicitari accertati, tanto da non consentire al destinatario dello stesso di poter predisporre adeguate difese illustrate solo con le successive memorie come affermato dalla C.T.P. di Imola; viola altresì l’art. 10 rubricato in quanto l’avviso non rispetta il contenuto minimo che l’avviso deve avere ai sensi della disposizione menzionata, ciò in quanto il ruolo della motivazione va letto in funzione dell’esercizio del diritto di difesa e pertanto è illegittima la motivazione ex post, viola l’art. 21 della legge 241/1990 e gli artt. 1 e 7 della legge n. 212/2000, in quanto l’atto impositivo difetta degli elementi essenziali, mancando l’indicazione dei presupposti di fatto e delle
ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione.
5.La seconda censura è infondata.
La sentenza impugnata ha positivamente escluso la lamentata insufficienza delle informazioni fornite con l’avviso di accertamento, in quanto quest’ultimo reca tutte le informazioni normative riguardanti la natura e le ragioni dell’atto impositivo, ponendo così il contribuente in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi aspetti essenziali e, quindi, di contestare l ‘an ed il quantum dell’imposta richiesta, profili, peraltro, dibattuti nella successiva fase contenziosa, per cui l’obbligo previsto dall’art. 7, legge n. 212 del 2000, volto ad assicurare al contribuente il pieno esercizio del diritto di difesa nel giudizio di impugnazione, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa della ricorrente, non può essere dilatato sino a ricomprendere la descrizione dei mezzi pubblicitari che si presumono conosciuti, ovvero l’allegazione di delibere e regolamenti che sebbene non di rango primario, sono comunque conoscibili dal contribuente.
In particolare, il requisito motivazionale esige, oltre alla puntualizzazione degli estremi soggettivi e oggettivi della posizione creditoria dedotta, soltanto l’indicazione dei fatti astrattamente giustificativi di essa, che consentano di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’ente impositore nell’eventuale successiva fase contenziosa, restando, poi, affidate al giudizio di impugnazione dell’atto le questioni riguardanti l’effettivo verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostegno alla pretesa impositiva (ex multis, Cass. n. 26431/2017). E dallo stralcio dell’avviso riportato alla pagina 11 del ricorso (e dall’avviso medesimo allegato ad esso) appunto emerge che erano indicati le fonti normative in forza delle quali è stato eseguito l’accertamento, il periodo di esposizione dei mezzi pubblicitari (annuale), il “dettaglio del numero dei mezzi pubblicitari accertati”, l’ubicazione dei mezzi (centro commerciale
Leonardo di Imola con l’esatto indirizzo), la tipologia dei mezzi pubblicitari esposti, i metri quadrati di esposizione, la tariffa unitaria per metro quadrato, le tariffe applicate.
Non coglie, dunque, nel segno, la censura di cui all’ultimo motivo di ricorso, atteso che il principio espresso da questa Corte in tema di motivazione degli avvisi di accertamento, quanto al fine di porre l’interessato in condizione di conoscere i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche alla base della pretesa impositiva con quel grado di determinatezza e di intellegibilità tale da consentirgli un esercizio non difficoltoso del proprio diritto di difesa (cfr., tra le molte, Cass. n. 16836/2014), va rapportato alla diversa natura e funzione proprie di ciascun atto (cfr., tra le molte, Cass., n. 13395/2009; Cass. n. 25329/2014; Cass. n. 30047/2018). A ciò consegue che, essendo il calcolo dell’imposta nella fattispecie in esame predeterminato per legge e non essendo possibile equivocare, alla stregua della diligenza media dell’operatore del settore, sul numero dei mezzi pubblicitari e sulla loro ubicazione, sull’epoca delle installazioni e sulla misura della tariffa, la sentenza impugnata ha correttamente ritenuto l’atto impositivo legittimi sotto il profilo del rispetto dell’obbligo motivazionale (Cass. n. 9935/2018)
La censura va quindi respinta.
6.Segue il rigetto del ricorso.
La ricorrente va condannata al pagamento delle spese di lite, in favore dell’intimata società RAGIONE_SOCIALE, determinate come in dispositivo. Ricorrono i presupposti di cui all’art. 13, comma 1-quater d.P.R. n. 115/02, applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), per il raddoppio del versamento del contributo unificato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore del resistente, delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi euro 1.875,00, oltre 200, 00 euro per esborsi, oltre spese forfettarie ed accessori di legge.
Dichiara la parte ricorrente tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, a norma dell’art. 13, comma 1quater d.P.R. n. 115/02.
Così deciso nella camera di consiglio della sezione tributaria della