Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 23248 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 23248 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4823/2016 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
NOME
-intimata- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. DELLA CAMPANIA n. 8526/2015 depositata il 01/10/2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/06/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con cinque avvisi di accertamento rispettivamente relativi alle annualità d’imposta 2005, 2006, 2007, 2008 e 2009, l’Agenzia delle Entrate, sulla base di un pvc redatto dalla Guardia di Finanza il 12 dicembre 2011, appurava l’esistenza di rapporti commerciali fra la RAGIONE_SOCIALE di COGNOME Giuseppe e numerose ditte e società risultate inesistenti. Pertanto, l’Amministrazione finanziaria procedeva ad accertare ai sensi degli artt. 39, co. 1, lett. d), 41 -bis d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 d.P.R. n. 633 del 1972, un maggiore reddito in capo alla contribuente, recuperando, per l’effetto, i più elevati importi dovuti a titolo di Irpef, Irap e – correlativamente – di Iva. In particolare, l’Ufficio, riscontrata l’inesistenza delle operazioni alla base delle fatture passive emesse nei confronti della RAGIONE_SOCIALE dai fornitori, recuperava a tassazione i costi in quanto indeducibili ai sensi dell’art. 109 TUIR.
La CTP di Benevento, adita dalla contribuente, rigettava i ricorsi avverso gli atti impositivi, previamente riunendoli.
La CTR della Campania ha accolto solo parzialmente l’appello della All Service di COGNOME Giuseppe.
L’Agenzia affida ora il proprio ricorso per cassazione ad un unico motivo. La parte contribuente è rimasta intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso si assume la violazione e falsa applicazione dell’art. 109 d.P.R. n. 917 del 1986 nonché degli artt. 21, co. 7, 54, co. 5, e 57, co. 3, d.P.R. n. 633 del 1972, nonché degli artt. 41 -bis e 43, co. 3, d.P.R. n. 600 del 1973. Segnatamente, l’Agenzia contesta che i giudici d’appello, con riferimento all’anno 2006, abbiano escluso potesse procedersi al recupero fiscale, avendo l’Ufficio già provveduto alla ripresa a tassazione con un precedente avviso notificato in data 13 dicembre
2011, recante il n. TFM010102607/2011. Nel contempo, l’Agenzia censura la statuizione della sentenza d’appello alla cui stregua, per gli anni d’imposta 2007 e 2008, l’Ufficio non avrebbe recuperato ‘ alcun costo ‘, in quanto, viceversa, ‘ risulta in modo chiaro dal prospetto di liquidazione quali siano i costi recuperati ‘, venendo in rilievo, inoltre, che ‘ l’Ufficio nel calcolo delle maggiori imposte ha tenuto conto di quanto rilevato con i precedenti avvisi di accertamento ‘. Secondo l’Agenzia, infine, ‘ le affermazioni dei giudici di secondo grado con riferimento alle annualità 2005 e 2006 sono errate perché non tengono conto del fatto che l’ufficio ha recuperato in via induttiva ai sensi dell’art. 39 comma 1 lett. d) solo il 30% del fatturato delle suddette operazioni quindi non l’importo complessivo delle fatture ‘. In definitiva, secondo l’Agenzia ‘ il collegio di secondo grado ha palesemente errato nell’individuazione della normativa applicabile al caso di specie ed ha emesso una pronuncia assolutamente inidonea a dare conto del parziale annullamento degli accertamenti, di contro l’Ufficio ha legittimamente e correttamente recuperato a tassazione costi per operazioni inesistenti (riconosciute tali anche dai giudici d’appello) per gli anni 2005/2006/2007/2008/2009, tenendo conto dei recuperi effettuati con i precedenti avvisi ‘.
Il motivo è inammissibile per un difetto eclatante di specificità e autosufficienza.
L’avviso recante il n. TFM010102607/2011, che la CTR evoca come ostativo alla ripresa a tassazione in riferimento all’annualità 2006, non è in alcun modo riportato, ergo non è possibile appurare quanto, cosa e come l’Amministrazione avesse a fiscalmente recuperato.
Inoltre, la CTR, con riferimento al profilo del recupero osserva che di ‘ solo il 30% del fatturato ‘, ha, al contrario, accertato che ‘ l’addebito di una somma percentuale (30%) dell’importo fatturato per le operazioni attive inesistenti assume nella fattispecie di causa
una connotazione meramente sanzionatoria, avendo il contribuente già dichiarato come ricavo l’intero importo riportato in fattura (e non il solo 30%) ‘. Sotto questo profilo l’asserzione veicolata con la censura s’infrange in un accertamento di fatto, senza peraltro riportare in parte qua l’atto impositivo in guisa da consentire di apprezzare funditus la censura.
Più in generale un deficit di specificità affligge la censura nella parte in cui sostiene che l’Ufficio avrebbe legittimamente e correttamente recuperato a tassazione costi per operazioni inesistenti per gli anni 2005/2006/2007/2008/2009, ‘ tenendo conto dei recuperi effettuati con i precedenti avvisi ‘, senza riportare l’identità e la porzione di tali avvisi in modo da consentire di soppesare l’incidenza della prospettazione perorata.
Invero, in tema di ricorso per cassazione, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare -con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni -la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass., Sez. U., 28 ottobre 2020, n. 23745).
Del resto, vi è un preciso onere giuridico di indicare, in modo puntuale, gli atti processuali ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, nonché le circostanze di fatto che potevano condurre, se adeguatamente considerate, ad una diversa decisione e dovendo il ricorso medesimo contenere, in sé, tutti gli elementi che diano al giudice di legittimità la possibilità di provvedere al diretto controllo
della decisività dei punti controversi e della correttezza e sufficienza della motivazione della decisione impugnata (Cass., 13 gennaio 2021, n. 342).
È evidente, infatti, che il ricorrente che intende censurare la violazione o falsa applicazione di norme di diritto deve indicare e trascrivere nel ricorso, a pena di inammissibilità, anche i riferimenti di carattere fattuale in concreto condizionanti gli ambiti di operatività della violazione denunciata (Cass. 13 maggio 2016, n. 9888; Cass., 24 luglio 2014, n. 16872; Cass., 4 aprile 2006, n. 7846), nel caso di specie del tutto mancanti.
Il ricorso viene meno, a cagione dell’oggettiva genericità delle contestazioni proposte, al comando in ragione del quale, costituendo il giudizio di cassazione un giudizio a critica vincolata da veicolarsi tassativamente attraverso uno dei motivi previsti dall’art. 360 c.p.c., l’illustrazione del motivo impone che in esso trovino espressione le ragioni del dissenso che la parte intende marcare nei riguardi della decisione impugnata, formulate in termini tali da soddisfare esigenze di specificità, di completezza e di riferibilità a quanto pronunciato proprie del mezzo azionato e, insieme, da costituire una critica precisa e puntuale e, dunque, pertinente delle ragioni che ne hanno indotto l’adozione (Cass., Sez. U., 28 ottobre 2020, n. 23745 cit.; Cass., 24 febbraio 2020, n. 4905)
Il ricorso va, in ultima analisi, dichiarato inammissibile. Nulla va disposto sulle spese, essendo la contribuente rimasta intimata.
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile. Nulla sulle spese. Così deciso in Roma, il 26/06/2025.