Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 13314 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 13314 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: CANDIA COGNOME
Data pubblicazione: 14/05/2024
TARSU
sul ricorso iscritto al n. 4464/2021 del ruolo generale, proposto
DA
RAGIONE_SOCIALE (codice fiscale CODICE_FISCALE) sede secondaria in Italia, in Milano, alla INDIRIZZO, in persona del direttore generale e legale rappresentante pro tempore , NOME COGNOME, rappresentata e difesa, in forza di procura speciale e nomina poste in calce al ricorso, dall’AVV_NOTAIO (codice fiscale CODICE_FISCALE), con studio in Roma, alla INDIRIZZO.
– RICORRENTE –
CONTRO
il COMUNE DI PIZZO (codice fiscale CODICE_FISCALE), in persona del commissario straordinario, legale rappresentante pro tempore , AVV_NOTAIO, rappresentato e difeso, in ragione di procura speciale e nomina poste in calce al controricorso e di deliberazione della Giunta municipale n. 28 del 15 febbraio 2021, dall’AVV_NOTAIO (codice
fiscale CODICE_FISCALE), elettivamente domiciliato in Roma, alla INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO.
– CONTRORICORRENTE – per la cassazione della sentenza n. 1336/2/2020 della Commissione tributaria regionale della Calabria, depositata il 1° luglio 2020, non notificata.
UDITA la relazione svolta all’udienza camerale del 14 marzo 2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
RILEVATO CHE:
oggetto di controversia è la Tarsu relativa all’anno 2012 di cui all’avviso indicato in atti, con cui il RAGIONE_SOCIALE, in relazione agli immobili detenuti dalla società, liquidava la somma complessiva di 336.977,50 €;
con la sentenza impugnata la Commissione tributaria regionale della Calabria rigettava l’appello, ritenendo che l’atto impugnato non fosse la duplicazione dell’avviso di accertamento già oggetto di impugnazione, ma l’intimazione di pagamento delle somme già richieste con detto precedente avviso, dopo che la relativa impugnazione era stata respinta dal giudice tributario, considerando quindi preclusa la possibilità per la contribuente di reiterare le stesse questioni già sollevate con la prima impugnazione, non potendo il giudice pronunciarsi due volte sulla stessa domanda;
la suindicata ricorrente proponeva ricorso per cassazione avverso detta sentenza, con atto notificato il 27 gennaio 2021, articolando sette motivi di impugnazione, depositando memoria in data 4 marzo 2024 ai sensi dell’art. 380 -bis . 1. cod. proc. civ.;
il RAGIONE_SOCIALE resisteva con controricorso notificato l’8 marzo 2021, chiedendo che il ricorso venisse rigettato, depositando memoria in data 4 marzo 2024 ai sensi dell’art. 380 -bis . 1. cod. proc. civ.;
CONSIDERATO CHE:
-l’istante ha premesso, «per il corretto inquadramento della fattispecie» (v. pagina n. 2 del ricorso) che l’avviso oggetto di contestazione costituisce duplicazione di un precedente avviso, avente lo stesso numero e contenuto, notificato il 28 novembre 2014, oggetto di impugnazione e per il quale era pendente il giudizio di appello dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Calabria, nelle more definito con sentenza n. 1156/2020, che, in accoglimento del gravame e previa disapplicazione della delibera comunale numero 99 del 30/12/2012, annullava l’atto impugnato, precisando nella memoria ex art. 380bis. 1. cod. proc. civ. che il relativo giudizio pende innanzi a questa Corte con il n. 3329/2021 di ruolo generale;
con il primo motivo di impugnazione la società ha contestato, in relazione all’art. 360 primo comma, num. 4 cod. proc. civ., la nullità del procedimento e della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. in relazione all’omessa pronuncia sull’istanza di sospensione del giudizio, proposta ai sensi dell’art. 295 cod. proc. civ., tenuto conto della pendenza del suindicato giudizio di appello avverso il precedente avviso di accertamento, nonché del giudizio dinanzi alla Corte di Cassazione, contraddistinto con il n. NUMERO_DOCUMENTO di ruolo generale, avente ad oggetto l’avviso bonario n. 1000030130010890 dell’8 aprile 2013, costituente atto presupposto a quello impugnato;
con la seconda censura la contribuente ha eccepito, in relazione al paradigma censorio di cui all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 295 cod. proc. civ., per la mancata sospensione del giudizio in ragione delle circostanze sopra delineate;
con la terza doglianza l’istante ha dedotto, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1, comma 161, della legge 27 dicembre 2006, 296 e 72, comma 1, d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, in ragione dell’illegittimità dell’atto impugnato in relazione alla maggiore superficie tassabile di cui il RAGIONE_SOCIALE aveva richiesto il pagamento della Tarsu, discostandosi dalla denuncia ex 70 d.lgs. citato e dagli atti impositivi precedenti, senza alcun atto di accertamento in rettifica;
con il quarto motivo di ricorso, la ricorrente ha denunciato, nella prospettiva di cui all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., la violazione o falsa applicazione dell’art. 66, comma 2, d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, avuto riguardo all’erronea applicazione della tassa sulle superfici occupate da giardini e camminamenti che, per loro natura, non sono produttivi di rifiuti e non sono quindi tassabili ai sensi della predetta disposizione;
5.con la quinta ragione di contestazione la società ha denunciato, sotto il paradigma censorio di cui all’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., stante l’omessa pronuncia sulla domanda volta alla riduzione della tariffa in ragione della stagionalità dell’attività svolta;
con la sesta censura l’istante ha lamentato, sotto il paradigma censorio di cui all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., la violazione o falsa applicazione dell’art. 66 d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507 e 38 del regolamento TARSU, assumendo che detta disposizione regolamentare prevedeva la riduzione di 1/3 per le aree scoperte adibite ad uso stagionale;
con il settimo motivo di impugnazione la contribuente ha eccepito, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., la violazione o falsa applicazione dell’art. 5 della legge 20 marzo 1865 n. 2248 all. E e 7 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, rappresentando che il Consiglio di Stato, con sentenza n. 3108 pubblicata il 26 giugno 2017, aveva annullato la delibera della Giunta del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE che aveva determinato le tariffe applicabili agli alberghi ed ai villaggi turistici per gli anni 2008 e 2009, ponendo in rilievo che il RAGIONE_SOCIALE, con delibera n. 99 del 30 ottobre 2012 si era limitato a confermare per l’anno 2012 le tariffe stabilite per l’anno precedente, che a loro volta confermavano quelle del 2010, che pure avevano reiterato quelle del 2009, come detto annullate dal giudice amministrativo per un indiscriminato ed illegittimo aumento, assumendo quindi che anche le tariffe applicate nella fattispecie in rassegna (anno 2012) dovevano essere disapplicate in quanto illegittime.
il ricorso va dichiarato inammissibile;
come sopra esposto, il Giudice regionale ha deciso l’appello proposto dalla contribuente, ritenendo che: «La CTP ha correttamente spiegato che l’atto impugnato non è la duplicazione di un avviso di accertamento già oggetto di opposizione (rigettata), bensì la richiesta di pagamento delle somme portate da quell’avviso di accertamento che – in esito al rigetto dell’opposizione dispiegata contro di esso – è stato legittimamente portato ad esecuzione con la richiesta di pagamento, in assenza di un provvedimento di sospensione dell’efficacia della sentenza. L’appellante insiste nel trattare l’atto come un avviso di accertamento e reitera le medesime questioni già sollevate avverso l’originario avviso di accertamento sul quale la CTP ha esaurito il suo potere di cognizione, non potendosi pronunciare due volte sulla medesima questione. La decisione della CTP è dunque fondata e l’appello va conseguentemente rigettato» (così nella sentenza impugnata);
come sopra esposto, il ricorso per cassazione ha esordito, ponendo in evidenza, in premessa, «per il corretto inquadramento della fattispecie che l’avviso costituisce la duplicazione di precedente avente lo stesso numero e contenuto (v. pagina n. 2 del ricorso, in precedenza notificato, così ponendosi frontalmente contro l’accertamento fattuale compiuto dal Giudice dell’appello e, soprattutto, senza sviluppare alcun apparato argomentativo o difesa per confutarlo;
in siffatti termini, il ricorso si rivela complessivamente inammissibile per difetto di specificità, dovendo confermarsi l’orientamento di questa Corte secondo cui:
la proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al decisum della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., con conseguente inammissibilità del ricorso, che è rilevabile anche d’ufficio (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 21 luglio 2020, n. 15517; Cass., Sez. 5^, 22 settembre 2020, n. 19787; Cass., Sez. 6^-5, 22 dicembre 2021, n. 41220; Cass., Sez. 5^, 29 marzo 2022, n. 10004; Cass., Sez. 5^, 31 maggio 2022, n. 17509);
«l’esercizio del diritto di impugnazione può considerarsi avvenuto in modo idoneo solo qualora i motivi con i quali è esplicato si traducano in una critica alla decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, da considerarsi in concreto e dalle quali non possano prescindere, dovendosi pertanto considerare nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo il motivo che difetti di tali requisiti (Cass., Sez. 5^, 21 luglio 2020, n. 15517)» (così, Cass. Sez. T., 21 febbraio 2023, n. 5429);
-i motivi per i quali si richiede la cassazione, devono avere « carattere di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, contenere, a pena di inammissibilità, oltre all’esatta individuazione del capo di pronunzia impugnato, l’esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto. In altri termini, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si traducano in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi della citata disposizione (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 3 agosto 2007, n. 17125; Cass., Sez. 5^, 21 aprile 2009, n. 9388; Cass., Sez. 6^-5, 8 gennaio 2014, n. 187; Cass., Sez. 5^, 20 ottobre 2016, n. 21296; Cass., Sez. 5^, 28 febbraio 2018, n. 4611; Cass., Sez. 5^, 15 maggio 2019, n. 12982; Cass., Sez. 5^, 21 luglio 2020, n. 15517; Cass., Sez. 5^, 15 luglio 2021, n. 20152; Cass., Sez. 6^-5, 7 settembre 2022, n. 26300; Cass., Sez. 6^-5, 5 ottobre 2022, n. 28884) » (così Cass., Sez. T., 12 aprile 2023, n. 9783);
in tale preliminare ed assorbente valutazione resta assorbito l’esame dei singoli motivi di ricorso, il che esclude anche ogni ragione di riunione del ricorso a quelli in precedenza menzionati, appena osservando
in relazione alle prime due censure, dirette a lamentare l’omessa pronuncia e comunque la violazione dell’art. 295 cod. proc. civ., che:
il dovere del giudice di pronunciare su tutta la domanda, ai sensi dell’art. 112 cod. proc. civ., va riferito all’istanza con la quale la parte chiede l’emissione di un provvedimento giurisdizionale in merito al diritto sostanziale dedotto in giudizio, sicché non è configurabile un vizio di infrapetizione per l’omessa adozione, da parte del giudice, di un provvedimento di carattere ordinatorio, come quello relativo alla sospensione necessaria del giudizio ex art. 295 cod. proc. civ. (cfr. Cass., Sez. I, 2 marzo 2016, n. 4120);
non ricorreva alcun nesso di pregiudizialità tra il procedimento avente ad oggetto l’avviso di accertamento e quello (per cui è causa) concernente la conseguenziale richiesta di pagamento, dovendo il perimetro decisorio di tale seconda controversia limitarsi ai vizi propri di tale atto, nella specie non dedotti, restando nell’ambito del primo procedimento le censure relative al merito della controversia, ferma restando l’azione di ripetizione nel caso di esito vittorioso sul merito della pretesa tributaria;
le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza;
va dato atto che sussistono i presupposti di cui all’art 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento da parte della ricorrente di una somma pari a quella eventualmente dovuta a titolo di contributo unificato per il ricorso;
P.Q.M.
la Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna il RAGIONE_SOCIALE -Sede secondaria in Italia – al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in favore del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE nella misura di 6.000,00 € per competenze e 200,00 € per spese vive, oltre accessori.
Dà atto che ricorrono i presupposti di cui all’art 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento da parte della ricorrente di una somma pari a quella eventualmente dovuta a titolo di contributo unificato per la proposizione del ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 14 marzo 2024.