Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 13372 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 13372 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2909/2024 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME con domicilio eletto presso il proprio indirizzo di posta elettronica certificata;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici è elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-resistente- per la cassazione della sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio n. 3841/2023, depositata il 24 giugno 2023. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 marzo 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
-In data 20 dicembre 2019 l’Agenzia delle entrate, Direzione provinciale I di Roma -Ufficio Controlli, notificava alla RAGIONE_SOCIALE l’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO relativo all’anno d’imposta 2014 con cui recuperava a tassazione IVA pari a euro 2.310.000,00, ritenendola indebitamente detratta. In particolare, l’operazione sottesa alla fattura registrata aveva a oggetto una compravendita immobiliare relativa a terreni dapprima ceduti ad altra società a un prezzo pari ad euro 2.100.000,00 e successivamente riacquistati dalla contribuente a un prezzo pari a euro 10.500.000,00.
La società impugnava l ‘avviso di accertamento dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma che respingeva il ricorso.
-Avverso tale pronuncia la società proponeva appello.
La Commissione tributaria regionale del Lazio, con sentenza n. n. 3841/2023 depositata il 24 giugno 2023, ha rigettato il ricorso.
-La contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi.
L’Agenzia delle entrate si è costituita in giudizio al fine dell’eventuale partecipazione all’udienza discussione della causa ai sensi dell’art. 370, comma 1, c.p.c.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 36 , comma 2, n. 4 d.lgs. n. 546/1992 e 132, comma 2, n. 4 c.p.c., in relazione all’art. 360 , comma 1, n. 3) e 4) cod. proc. Parte ricorrente lamenta un vizio di nullità della sentenza per essere la motivazione affetta da un’evidente contraddizione tra le sue diverse parti, tanto da integrare un ‘ ipotesi di motivazione apparente. Il contrasto
involgerebbe la premessa dell’asserita non onerosità dell’operazione dedotta (desunta dalla mancanza di prova in ordine al pagamento del corrispettivo) e la conclusione dell’inesistenza quantitativa dell’operazione medesima, per tale oggetto di sovrafattur azione.
1.1. -Il motivo è infondato.
In seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass., Sez. III, 15 febbraio 2024, n. 4166; Cass., Sez. III, 3 marzo 2022, n. 7090).
Nel caso di specie, non sussiste alcuna lesione del minimo costituzionale giacché la Commissione tributaria regionale ha confermato la configurabilità, nella fattispecie, di un’operazione solo apparentemente onerosa per l’acquirente e, quindi, la non corrispondenza della fattura a un corrispettivo negoziale effettivo come quello per il quale la fattura stessa risulta emessa e poi utilizzata dalla ricorrente per la detrazione IVA.
-Con il secondo motivo si prospetta la violazione o falsa applicazione degli artt. 1346, 1362 c.c., 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 , comma 1, n. 3 c.p.c., per aver la Commissione tributaria regionale ricostruito in maniera empirica l’oggetto del contratto di
compravendita in aperta violazione del canone imposto dall’art. 1362 c.c. , tenuto conto che l’indagine demandata aveva a oggetto un elemento essenziale del contratto. Detta operazione, decisiva ai fini della definizione del processo, ha portato il giudice a concludere per l’identità dell’oggetto di due diversi contratti conclusi rispettivamente nel 2013 e nel 2014, ricavandone indici di asserita sproporzione economica, tali da evidenziare intenti fraudolenti concretizzati nella sovrafatturazione di un’operazione di cui pure non ha disconosciuto la materiale esistenza. In subordine, in relazione all’art. 360 , comma 1, n. 5 c.p.c., si deduce l’ omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, relativo alla circostanza che i beni trasferiti nel primo e secondo contratto di compravendita fossero tra loro diversi.
2.1. -Il motivo è inammissibile.
In tema di ricorso per cassazione, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass., Sez. I, 1 marzo 2022, n. 6774; Cass., Sez. VI-1, 17 gennaio 2019, n. 1229).
Nella specie, non sussistono le condizioni indicate dalla richiamata giurisprudenza per rivalutare l’apprezzamento delle risultanze istruttorie compiuto in sede di merito. La Corte ha provveduto a interpretare i contratti depositati in atti e che sono alla base dell’accertamento.
Incensurabile, inoltre, risulta l’apprezzamento compiuto in mancanza della violazione di canoni legali di interpretazione, così come definiti dal codice civile, prospettando parte ricorrente una diversa lettura del contenuto negoziale.
Posto che l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto di un negozio giuridico si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice di merito, il ricorrente per cassazione, al fine di far valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti non potendo, invece, la censura risolversi nella mera contrapposizione dell’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata (Cass., Sez. I, 9 aprile 2021, n. 9461).
Inammissibile, infine, è la censura ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., in presenza di una ‘doppia conforme’, prevista dall’art. 348ter , comma 5, c.p.c., senza che siano state indicate le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass., Sez. III, 28 febbraio 2023, n. 5947), non sussistendo alcuna contraddizione tra le due pronunce di merito, diversamente da quanto argomentato.
-Con il terzo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1273 c.c., 21 d.P.R. 633/1972, 115 e 116 c.p.c. , in relazione all’art. 360 , comma 1, n. 3 c.p.c., per aver la Commissione tributaria regionale ritenuto che la mancata
allegazione del negozio di accollo rivelerebbe la volontà delle parti di attribuire all’operazione un valore diverso da quello effettivo. Ciò in aperto contrasto con il disposto di cui all’art. 1273 c.c. che, in caso di accollo interno, non richiede formule sacramentali diverse dall’adesione alla convenzione di assunzione del debito altrui. Pertanto, la sottoscrizione dell’atto pubblico di compravendita che contempli tale adempimento integra, di per sé, una convenzione di accollo ai sensi dell’art. 1273 c.c.
3.1. -Il motivo è inammissibile.
La censura non coglie la ratio decidendi poiché la Commissione tributaria regionale ha escluso l’onerosità dell’operazione a fronte della pluralità delle anomalie riscontrate nella pattuizione (indicazione di un accollo delle quote residue di mutui come integrale ed esclusiva modalità di pagamento del prezzo di compravendita; mancata documentazione dell’accordo contrattuale relativo all’accollo ; mancanza di documentazione dei mutui stessi; totale assenza nel contratto di compravendita e negli atti del contenzioso di elementi informativi circa i mutui, anche in ordine all’ammontare originario delle somme mutuate e del piano di ammortamento; assoluta genericità della clausola contrattuale inerente il corrispettivo oggetto di fatturazione nella quale non viene precisato quale sia la parte accollante e quella accollata, né la parte mutuataria, né che l’accollo costituisca una modalità di pagamento effettivo del corrispettivo contrattuale), tenuto conto della mancata produzione della documentazione contrattuale riguardante sia l’accollo sia i mutui stipulati. Parte ricorrente intende invero conseguire una diversa valutazione delle risultanze istruttorie, preclusa in sede di legittimità, a fronte di una ‘ doppia conforme ‘ .
-Con il quarto motivo si prospetta la violazione o errata applicazione degli artt. 39 d.P.R. n. 600/1973, 21 e 54 d.P.R.
633/1972, 2727 e 2729 c.c., 115 e 116 c.p.c. , in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per aver la Commissione tributaria regionale ritenuto che l’identità dei beni compravenduti e la mancata prova dell’accollo fossero da ritenersi presunzioni gravi, precisi e concordanti, tali da incidere sulla diversa distribuzione dell’onere probatorio. Si evidenzia che il giudice di secondo grado, attraverso una lettura delle risultanze processuali smentite dal loro stesso contenuto documentale, ha concluso per la sussistenza di elementi indiziari dotati dei requisiti di gravità, precisione e concordanza non in linea e, anzi, in violazione delle disposizioni contenute agli articoli 39 d.P.R. 600/73, 21 e 54 d.P.R. 633/1972, e, con queste, quelle che regolano l’accesso alla presunzione, secondo gli articoli 2727 e 2729 c.c. Con la violazione -o errata applicazione – delle norme richiamate, il giudice non ha osservato i canoni di valutazione della prova fissati dagli art. 115 e 116 c.p.c.
4.1. -Il motivo è inammissibile.
In tema di accertamento tributario relativo sia all’imposizione diretta che all’IVA, la legge – rispettivamente art. 39, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973 (richiamato dal successivo art. 40 per quanto riguarda la rettifica delle dichiarazioni di soggetti diversi dalle persone fisiche) ed art. 54 del d.P.R. n. 633 del 1972 – dispone che l’inesistenza di passività dichiarate, nel primo caso, o le false indicazioni, nel secondo, possono essere desunte anche sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, senza necessità che l’Ufficio fornisca prove “certe”; pertanto, il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, è tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’Amministrazione, dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio (impugnabile in cassazione non per il merito, ma
esclusivamente per inadeguatezza o incongruità logica dei motivi che lo sorreggono) e solo in un secondo momento, ove ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, che ne è onerato ai sensi degli artt. 2727 e ss. e 2697, comma 2,c.c. (Cass., Sez. V, n. 10615 del 19 aprile 2024; Cass., Sez. VI-5, 7 giugno 2017, n. 14237)
Nel caso di specie, la Commissione tributaria regionale ha puntualmente analizzato i plurimi elementi indiziari – richiamati precedentemente nella disamina del terzo motivo – dai quali è stata dedotta la carenza di effettiva onerosità dell’operazione, a fronte della mancata produzione da parte della contribuente dei documenti contrattuali relativi all’accollo e ai mutui e del tenore dell’atto pubblico notarile con cui è stata stipulata la compravendita del 2014 ove si attesta direttamente da parte del notaio la totale corrispondenza fra l’oggetto della compravendita in stipulazione e l’oggetto della compravendita pr ecedente.
In presenza di una ‘doppia conforme’, (Cass., Sez. III, 28 febbraio 2023, n. 5947), si richiede una diversa valutazione delle risultanze istruttorie, opponendo una ricostruzione dei fatti alternativa a quella accolta in sede di merito.
5. -Con il quinto motivo si deduce la violazione o errata applicazione degli artt. 7 d.lgs. n. 546/1992, 61 e 132, comma 2, n. 4 c.p.c. , in relazione all’art. 360 n. 3 e 4 c.p.c., per non aver la Commissione tributaria regionale esercitato i propri poteri officiosi e ammesso la consulenza tecnica finalizzata all’individuazione del valore effettivo dell’operazione diverso rispetto a quello riportato in fattura.
5.1. -Il motivo è infondato.
Il giudizio sulla necessità e utilità di far ricorso allo strumento della consulenza tecnica d’ufficio rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, la cui decisione è censurabile per cassazione unicamente ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., soggiacendo la relativa impugnazione alla preclusione derivante dalla regola della cd. “doppia conforme” di cui all’art. 348-ter, comma 5, c.p.c. (Cass., Sez. IV, 25 agosto 2023, n. 25281).
Non vi era, pertanto, alcun obbligo di disporre una consulenza tecnica d’ufficio, tanto più che la parte ne invoca l’ammissione d’ufficio in assenza di una richiesta di parte.
-Non si deve provvedere sulle spese, non avendo l’Agenzia delle entrate svolto attività difensiva.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1bis , del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; nulla spese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1bis , del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 27 marzo 2025.