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Sovrafatturazione: detrazione IVA negata dalla Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di una società contro un avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate per indebita detrazione IVA. Il caso riguardava l’utilizzo di fatture per importi maggiorati, una pratica nota come sovrafatturazione. La Corte ha confermato che tale pratica equivale a un’operazione parzialmente inesistente e comporta la perdita totale del diritto alla detrazione, non solo per la parte eccedente. È stato inoltre ribadito che le sentenze penali di assoluzione non hanno efficacia vincolante nel processo tributario e che l’onere di provare la realtà dell’operazione, una volta contestata dall’Ufficio, spetta al contribuente.

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Pubblicato il 14 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Sovrafatturazione: la Cassazione nega la detrazione IVA

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 4924 del 2025, ha affrontato un tema cruciale in materia fiscale: la sovrafatturazione. Con questa pronuncia, i giudici hanno ribadito un principio fondamentale: l’emissione di una fattura per un importo superiore al reale comporta la perdita totale del diritto alla detrazione dell’IVA, e non solo per la parte eccedente. Questa decisione consolida un orientamento rigoroso nei confronti delle pratiche elusive e fornisce importanti chiarimenti sull’onere della prova e sui rapporti tra processo tributario e penale.

I fatti del caso

Una società operante nel settore del gas si è vista notificare un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate recuperava l’IVA relativa all’anno d’imposta 2006. Secondo l’Amministrazione finanziaria, la società aveva indebitamente utilizzato fatture passive per operazioni ritenute inesistenti o, più precisamente, per importi notevolmente maggiorati rispetto al valore reale delle prestazioni ricevute (cd. sovrafatturazione).

La società ha impugnato l’atto, dando inizio a un contenzioso che è giunto fino alla Corte di Cassazione. Il ricorso era basato su otto diversi motivi, tra cui la violazione del giudicato esterno derivante da precedenti sentenze favorevoli in materia di IRAP, il difetto di motivazione dell’avviso, l’errata applicazione del raddoppio dei termini di accertamento e, soprattutto, l’erronea valutazione delle prove e la mancata considerazione di una sentenza di assoluzione in sede penale per i medesimi fatti.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso della società, confermando la validità dell’accertamento fiscale. I giudici hanno esaminato e respinto punto per punto tutte le censure sollevate, fornendo un’analisi dettagliata delle questioni giuridiche.

In particolare, la Corte ha stabilito che:
1. Non sussisteva alcun giudicato esterno, poiché le precedenti sentenze riguardavano imposte diverse (IRAP anziché IVA) e annualità differenti.
2. L’avviso di accertamento era sufficientemente motivato, anche mediante rinvio al processo verbale di constatazione (PVC), che era stato messo a piena disposizione della società.
3. Il raddoppio dei termini di accertamento era legittimamente applicato, data la sussistenza di seri indizi di reato che avevano dato luogo a un procedimento penale.
4. La sentenza penale di assoluzione non era vincolante nel giudizio tributario, potendo essere considerata al più come un semplice elemento di prova da valutare liberamente.
5. L’Amministrazione finanziaria aveva correttamente assolto il proprio onere probatorio, basandosi non solo su dichiarazioni di terzi ma anche su elementi oggettivi, come la qualifica di evasori totali dei fornitori e la loro incapacità strutturale di eseguire le opere fatturate.

Le motivazioni e l’impatto della sovrafatturazione sulla detrazione IVA

Il cuore della motivazione risiede nella qualificazione giuridica della sovrafatturazione. La Corte ha chiarito che questa pratica rientra a pieno titolo nella fattispecie delle “operazioni inesistenti” ai fini IVA. La finzione non riguarda l’intera operazione (che può essere stata in parte eseguita), ma la discrepanza tra il valore reale e quello cartolare.

Secondo l’art. 21, comma 7, del d.P.R. n. 633/1972, chi emette una fattura per operazioni inesistenti è comunque tenuto al versamento dell’imposta indicata. Questo “principio di cartolarità” mira a neutralizzare il rischio di una perdita di gettito per l’Erario, che si verificherebbe se il destinatario della fattura potesse detrarre un’IVA non corrispondente a un’operazione reale.

La conseguenza logica, affermata con forza dalla Corte, è che la sovrafatturazione determina l’intrinseca illiceità dell’intera operazione economica dal punto di vista fiscale. Di conseguenza, viene a mancare il vincolo di inerenza con l’attività d’impresa, presupposto fondamentale per la detrazione. Il risultato è la perdita tout court (cioè totale) del diritto alla detrazione dell’IVA indicata in fattura, e non una detrazione parziale per la quota corrispondente al valore effettivo della prestazione. La frode fiscale inficia l’intera operazione, rendendo l’imposta completamente indetraibile.

Conclusioni

La sentenza rappresenta un importante monito per le imprese. La pratica della sovrafatturazione viene equiparata, nelle sue conseguenze fiscali in materia di IVA, alle operazioni totalmente fittizie. La decisione conferma che il Fisco ha a disposizione un’ampia gamma di strumenti probatori, incluse le presunzioni, per contestare tali operazioni, e che l’onere di dimostrare la realtà e la correttezza delle transazioni ricade in ultima istanza sul contribuente. Infine, viene ribadita la netta separazione tra il giudizio penale e quello tributario: un’assoluzione in sede penale non garantisce automaticamente una vittoria in ambito fiscale.

Una fattura per un importo superiore al reale (sovrafatturazione) dà diritto a una detrazione parziale dell’IVA?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la sovrafatturazione, essendo equiparata a un’operazione oggettivamente inesistente, comporta la perdita totale (tout court) del diritto alla detrazione dell’IVA indicata in fattura, e non solo per la parte di importo eccedente il valore reale.

Una sentenza di assoluzione in un processo penale per reati tributari ha efficacia vincolante nel processo tributario?
No. La sentenza penale irrevocabile di assoluzione non ha efficacia di giudicato nel processo tributario. Può essere considerata solo come una possibile fonte di prova che il giudice tributario ha il potere di valutare autonomamente insieme agli altri elementi probatori del caso.

In caso di contestazione di sovrafatturazione, a chi spetta l’onere della prova?
L’onere iniziale spetta all’Amministrazione finanziaria, che deve dimostrare, anche tramite presunzioni gravi, precise e concordanti, l’inesistenza parziale dell’operazione (cioè la maggiorazione del prezzo). Una volta fornita tale prova, l’onere si sposta sul contribuente, il quale deve dimostrare l’effettiva esistenza dell’operazione per l’intero importo fatturato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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