Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 27138 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 27138 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/10/2025
Oggetto: Ricorso in primo grado – Omessa sottoscrizione da parte dell’avvocato -Conseguenze – Richiesta, in appello, di rimessione alla CTP -Mancanza dei presupposti della rimessione – Decisione della CTR nel merito
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5405/2017 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO C/D, domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ope legis ;
-ricorrente –
contro
COGNOME, rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale in calce al controricorso, dall’Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliato presso lo studio del difensore in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale delle Marche, n. 503/01/2016, depositata in data 3 agosto 2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26 settembre 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
NOME COGNOME impugnava innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Ascoli Piceno l’avviso di accertamento n. CODICE_FISCALE con il quale l’Ufficio recuperava a tassazione, ai fini IRPEF, IVA ed IRAP , per l’anno 200 5, maggior imponibile.
L’avviso traeva origine dalla verifica fiscale compiuta dalla Guardia di Finanza e dagli esiti del PVC, contenente le risultanze delle indagini bancarie svolte nel periodo dal 2005 al 2009 sui conti correnti intestati al contribuente.
Il ricorrente eccepiva, preliminarmente, la nullità per il mancato rispetto del termine dilatorio di 60 giorni previsto dall’art. 12, comma 7, l. 212/2000, e, nel merito, asseriva che il volume di affari era tale da giustificare l’entità dei versamenti effettuati sui conti correnti.
L’Ufficio si costituiva eccependo l’inammissibilità del ricorso, ex art. 18 d.lgs. n. 546/1992, in quanto non sottoscritto dal difensore.
La CTP dichiarava inammissibile il ricorso in quanto non sottoscritto dal difensore nell’originale e nelle copie destinate alle altre parti.
Il contribuente interponeva gravame innanzi alla Commissione tributaria regionale delle Marche, contestando solo la declaratoria di inammissibilità del ricorso e chiedendo la rimessione del giudizio alla CTP.
La CTR accoglieva l’appello ritenendo che il ricorso non poteva essere dichiarato inammissibile ma, ove i giudici di prossimità avessero avuto un dubbio circa la rappresentanza del contribuente, avrebbero dovuto concedere un termine per la relativa regolarizzazione.
Nel merito ritenevano nullo l’avviso di accertamento, in quanto pacificamente notificato oltre il termine di 60 giorni previsto dall’art. 12, comma 7, l. 212/2000, non potendo derogarsi a tale previsione per l’imminente scadenza dei termini dell’accertamen to, che per giurisprudenza costante della Suprema Corte non integra una
ragione di particolare urgenza legittimante l’Ufficio all’emissione dell’avviso prima del detto termine .
Avverso la decisione della Commissione tributaria regionale ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, affidandosi a tre motivi. Il contribuente ha resistito con controricorso.
Con ordinanza interlocutoria n. 3383/2025 questa Corte rinviava a nuovo ruolo, disponendo l’acquisizione dei fascicoli di merito.
È stata, quindi, fissata l’adunanza camerale per il 26 settembre 2025.
Il controricorrente ha depositato, in data 12 settembre 2025, note illustrative.
Considerato che:
Con il primo strumento di impugnazione l’Agenzia delle entrate deduce, in relazione all’articolo 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., la «violazione e falsa applicazione degli artt. 182 cpc e 59 comma 2 del d.lgs. 546/1992», per avere la CTR omesso di ordinare la rinnovazione dell’atto ex art. 182 cod. proc. civ., prima di decidere la causa nel merito.
Il motivo è infondato.
Va opportunamente premesso che nella specie il ricorso introduttivo depositato presso la CTP era sottoscritto dal difensore del contribuente (cfr. il fascicolo di ufficio acquisito in conseguenza dell’ordinanza interlocutoria emessa da questa Corte, all’interno del quale vi è il ricorso di primo grado sottoscritto dal difensore, depositato presso la segreteria del giudice di prime cure con l’adesivo – in alto al centro della prima pagina -recante l’indicazione del numero di ruolo) ; la copia del ricorso notificata all’Ufficio, invece, era priva della detta sottoscrizione.
Orbene, a prescindere dall’applicabilità o meno dell’art. 182 cod. proc. civ. alla fattispecie (pacifica, di contro, l’applicabilità della norma in appello, anche nel giudizio tributario, cfr. Cass.
10/05/2024, n. 12831), la decisione della CTR che ha ritenuto ammissibile il ricorso di primo grado deve essere confermata, pur dovendosi integrare la relativa motivazione.
1.1. L’art. 18, comma 3, del d.lgs. 546/1992, prevede che il ricorso di primo grado debba essere, a pena di inammissibilità (comma 4), sottoscritto (in forma olografa in passato, oggi in forma digitale) dal difensore.
Questa Corte ha sempre fornito un’interpretazione restrittiva del comma 4 della norma in commento, statuendo che l’omessa sottoscrizione dell’atto deve essere intesa ‘come mancanza radicale del requisito imposto dalla legge’; pertanto, non si a veva: a) quando la copia del ricorso notificata all’Ufficio finanziario fosse la fotocopia dell’originale del ricorso regolarmente sottoscritto e depositato presso la segreteria della Commissione tributaria provinciale, e, quindi, agevolmente consultabile dell’Ufficio (Cass. 22/02/2011, n. 4315); b) nell’ipotesi inversa in cui la sottoscrizione del difensore mancasse nella copia del ricorso depositato presso la segreteria della CTP, ma fosse presente nell ‘originale del ricorso notificato a controparte e la conformità dell’una all’altro non fosse contestata (Cass. 01/02/2019, n. 3089); c) quando la sottoscrizione del difensore, pur mancando in calce, fosse apposta per certificare l’autenticità della firma di rilascio della procura alle liti, redatta a margine dell’atto s tesso, giacché, in tal caso, la firma del difensore ha lo scopo non solo di certificare l’autografia del mandato, ma anche di sottoscrivere il ricorso e di assumerne, conseguentemente, la paternità (Cass. 31/07/2019, n. 20619).
In tema di processo tributario opera, infatti, il fondamentale principio formulato dal giudice delle leggi (C. cost. 13/06/2000, n. 189), che vuole che le disposizioni tributarie siano lette in armonia con i valori della tutela delle parti in posizione di parità, evitando irragionevoli sanzioni d’inammissibilità. È necessario, difatti, dare alle norme processuali in genere, ed a quelle sul processo tributario in particolare, una lettura che, nell’intere sse generale, faccia bensì
salva la funzione di garanzia che è istituzionalmente propria del processo e, però, consenta, per quanto possibile, di limitare al massimo l’operatività di irragionevoli sanzioni d’inammissibilità in danno delle parti che di quella garanzia dovrebbero giovarsi (Cass. 17/11/2014, n. 24461).
In definitiva, anche per il ricorso alla Commissione tributaria provinciale la previsione d’inammissibilità deve conseguire solo là dove e nei limiti in cui la mancanza della sottoscrizione sia materiale e totale, e non quando tale elemento formale, la cui funzione è quella di costituire un nesso tra il testo ed il suo apparente autore, sia desumibile da altri elementi indicati nell’atto stesso.
1.2. Nella specie, quindi, correttamente la CTR ha ritenuto ammissibile il ricorso in primo grado proposto dal contribuente, avendo la CTP erroneamente inferito l’inammissibilità dello stesso dalla necessità che la sottoscrizione fosse apposta sia in calce al ricorso depositato presso la segreteria della CTP sia in calce alla copia notificata alla controparte; nel caso concreto la sottoscrizione era stata apposta dal difensore in calce al ricorso depositato presso la segreteria della CTP, e ciò basta ad evitare di incorrere nella sanzione d’inammissibilità, alla luce della giurisprudenza di legittimità sopra richiamata.
Con il secondo motivo l’Ufficio lamenta, in relazione all’articolo 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., la «violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c. » per avere la CTR erroneamente deciso la causa nel merito, in luogo di dichiarare l’inammissibilità del gravame per carenza di interesse per avere il contribuente contestato, nell’appello, solo la statuizione di inammissibilità del ricorso per la mancata sottoscrizione del difensore e chiesto, per l’effetto, la rimessione della causa al primo giudice, sull’erroneo presupposto che il detto vizio integrasse una delle ipotesi di cui all’art. 59 d.lgs. n. 546/1992.
Il motivo non ha pregio.
Invero, per la pacifica giurisprudenza di questa Corte il principio richiamato dall’Ufficio si applica solo nell’ipotesi (non ricorrente nella specie) di pronuncia anche nel merito da parte del giudice di prime cure: «è ammissibile l’impugnazione con la quale l’appellante si limiti a dedurre soltanto i vizi di rito avverso una pronuncia che abbia deciso anche nel merito in senso a lui sfavorevole solo ove i vizi denunciati comporterebbero, se fondati, una rimessione al primo giudice ai sensi degli artt. 353 e 354 cod. proc. civ.; nelle ipotesi in cui, invece, il vizio denunciato non rientra in uno dei casi tassativamente previsti dagli artt. 353 e 354 cit., è necessario che l’appellante deduca ritualmente anche le questioni di merito , con la conseguenza che, in tali ipotesi, l’appello fondato esclusivamente su vizi di rito, senza contestuale gravame contro l’ingiustizia della sentenza di primo grado, dovrà ritenersi inammissibile, oltre che per difetto di interesse, anche per non rispondenza al modello legale di impugnazione» (Cass. 05/02/2016, n. 2302; conf. Cass. 03/12/2015, n. 24612; Cass. 10/01/2019, n. 402).
Nella specie, la CTP aveva dichiarato inammissibile il ricorso originario per difetto di sottoscrizione da parte del difensore, restando assorbite tutte le questioni di merito avanzate dal contribuente. Con l’appello quest’ultimo aveva dedotto esclusivamente la illegittimità della decisione in rito, chiedendo la rimessione della causa al primo giudice.
Pertanto, in assenza di decisione (anche) nel merito da parte della CTP (omissione, tra l’altro, corretta secondo la più recente giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale il giudice che decide una questione di rito chiudendo il giudizio consuma la propria potestas iudicandi , e l’ulteriore decisione nel merito non è impugnabile per carenza di interesse, Cass. 02/08/2024, n. 21859), correttamente la CTR, una volta accolta la doglianza in rito sollevata dall’appellante e considerata la mancata ricompren sione di tale ipotesi nei casi di rimessione al primo giudice ex art. 59 d.lgs. n.
546/1992, ha deciso nel merito il ricorso del contribuente, analizzando le censure di merito rimaste assorbite in primo grado.
Con il terzo motivo l’Ufficio deduce, in relazione all’articolo 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la «violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 7 legge 212/2000 », evidenziando che la CTR non avrebbe valorizzato la mancanza di ricadute sostanziali della violazione formale riscontrata, ovvero il mancato rispetto del termine di 60 giorni di cui alla citata norma.
Anche questo motivo è infondato.
La CTR, in piena aderenza alla giurisprudenza di questa Corte (tra le tante, v. Cass. 06/04/2022, n. 11110), ha giustamente ritenuto che l’imminente scadenza dei termini per l’accertamento non potesse integrare una ragione di particolare urgenza idonea a consentire l’emissione dell’avviso di accertamento prima del termine di 60 giorni previsto dall’art. 12, comma 7, della l. 212/2000.
Né, contrariamente a quanto sostenuto dall’Ufficio, rileva, al fine di escludere la nullità dell’avviso di accertamento, la verifica della mancanza di ricadute sostanziali del vizio in esame, ovvero la prova che, ove rispettato il detto termine, l’atto com unque avrebbe avuto il medesimo contenuto. Infatti, questa Corte ricollega la nullità dell’avviso di accertamento alla mera violazione del detto termine, in assenza di ragioni di particolare urgenza, a prescindere dalla cd. prova di resistenza: «il legislatore, nel comminare la nullità dell’atto impositivo in caso di sua violazione, ha operato una valutazione “ex ante” del rispetto del contraddittorio, che assorbe a monte “la prova di resistenza”, ciò che giustifica la mancata distinzione, nella norma, tra tributi armonizzati e non, scattando detta prova quando la normativa interna non sanzioni tale violazione con questa forma di invalidità» (Cass. 05/05/2021, n. 11685).
In definitiva il ricorso va integralmente rigettato.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Rilevato che risulta soccombente l’Agenzia delle entrate, ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. 228 del 2012 (Cass. 29/01/2016, n. 1778).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna l’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore , al pagamento in favore del controricorrente delle spese processuali del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 950,00, oltre esborsi liquidati in Euro 200,00, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15% dei compensi e accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 26 settembre 2025.
Il Presidente NOME COGNOME