Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 13022 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 13022 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/05/2025
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 73/2017 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa da ll’avvocato NOME COGNOME giusta procura speciale a margine del ricorso (PEC: EMAIL;
-ricorrente – contro
Agenzia delle entrate , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania n. 4810/52/2016, depositata il 20.05.2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29 gennaio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Commissione tributaria regionale della Campania accoglieva l’appello proposto dall ‘Agenzia delle entrate avverso la sentenza della CTP di Napoli che aveva accolto parzialmente il ricorso proposto dalla RAGIONE_SOCIALE
Oggetto:
Tributi
avverso l’avviso di accertamento n. TF3030905127/2013, per IRES e altro, in relazione a ll’anno 2008 , riguardante ricavi non contabilizzati, contestati in conseguenza di una sottofatturazione che sarebbe avvenuta in relazione ad una operazione immobiliare di permuta con la società RAGIONE_SOCIALE in data 15.05.2008;
i giudici di appello hanno osservato, per quanto ancora qui rileva, che:
-l’appello era ammissibile, in quanto erano sufficientemente esplicitati i motivi di impugnazione, che nel processo tributario possono essere formulati anche mediante la riproposizione in appello delle stesse argomentazioni poste a sostegno della validità dell’atto impugnato dal contribuente;
-la prova dell’esistenza dell’operazione di sottofatturazione era stata data dalle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari, svolte nel procedimento penale, dall’ex amministratore della società RAGIONE_SOCIALE Perdono NOME, sul pagamento ‘in nero’ effettuato alla società contribuente;
tali dichiarazioni, ritenute non sufficienti dal primo giudice, erano intrinsecamente attendibili ed avevano un indubbio valore confessorio, per cui integravano una prova presuntiva, idonea anche da sola ad essere posta a fondamento e motivazione dell’avviso di accertamento;
dette dichiarazioni erano comunque riscontrate dalle risultanze delle movimentazioni bancarie con riferimento agli assegni analiticamente elencati dai verificatori, che ne confermavano la veridicità in merito alla dazione di somme all’ amministratore della RAGIONE_SOCIALE, girate poi ai soci della medesima società, che non avevano saputo fornire alcuna giustificazione alternativa in ordine alla ricezione di detti importi, avendo alcuni di essi confermato, peraltro, di non avere avuto mai rapporti diretti con il Perdono;
le dichiarazioni del COGNOME non erano state contraddette da altri soggetti: le dichiarazioni del padre, COGNOME NOME, erano vaghe sul valore dell’affare, mentre il COGNOME non aveva riferito nulla su tale punto, limitandosi a confermare l’esistenza dell’operazione, che COGNOME NOME si sarebbe assunto tutti gli oneri di finanziamento e che nel 2009 aveva rilevato la sua quota societaria;
la contribuente non aveva offerto alcuna idonea prova contraria;
la società contribuente impugnava la sentenza con ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, illustrati con memoria;
-l’Agenzia delle entrate resisteva con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso, la contribuente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 199 2, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per non avere la CTR dichiarato inammissibile, per carenza di motivi specifici, l’appello proposto dall’ Ufficio, non contenendo lo stesso alcuna censura nei confronti della sentenza appellata che aveva, invece, accolto il ricorso della contribuente, ponendo in evidenza come l’accertamento fosse fondato sulle dichiarazioni rese dall’amministratore della RAGIONE_SOCIALE, non supportate da riscontri oggettivi e smentite dalle indagini bancarie, non correlabili alla società contribuente ed alla permuta dell’immobile di Acerra, ma riconducibili a terzi ;
il motivo è infondato;
costituisce orientamento ormai consolidato di questa Corte quello secondo il quale, “in tema di contenzioso tributario, la riproposizione, a supporto dell’appello proposto dal contribuente, delle ragioni di impugnazione del provvedimento impositivo in contrapposizione alle argomentazioni adottate dal giudice di primo grado assolve l’onere di impugnazione specifica imposto dall’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992, atteso il carattere devolutivo pieno, nel processo tributario,
dell’appello, mezzo quest’ultimo non limitato al controllo di vizi specifici, ma rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito” ( ex multis , Cass. n. 1200 del 22/01/16);
-sebbene l’impugnazione debba contenere una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, in modo da affiancare alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice (Cass. Sez. U. n. 27199 del 16/11/2017), ciò non significa che la mera riproposizione delle originarie argomentazioni non assolva a tale requisito;
questo Collegio intende dare continuità a quanto affermato anche recentemente da questa Corte, sempre in tema di contenzioso tributario, nel senso che ‘la riproposizione a supporto dell’appello delle ragioni poste a fondamento dell’originaria impugnazione del provvedimento impositivo (per il contribuente) ovvero della legittimità dell’accertamento (per l’Amministrazione finanziaria), in contrapposizione alle argomentazioni adottate dal giudice di primo grado, assolve l’onere di impugnazione specifica imposto dall’art. 53 d.lgs. n. 546 del 1992 quando il dissenso investa la decisione nella sua interezza e, comunque, ove dall’atto di gravame, interpretato nel suo complesso, le ragioni di censura siano ricavabili, seppur per implicito, in termini inequivoci’ (Cass. n. 32954 del 20/12/2018);
la riproposizione ne ll’atto di appello delle stesse doglianze contenute nel ricorso introduttivo, pertanto, non poteva costituire una ragione sufficiente per ritenere inammissibil e l’appello per carenza di specificità dei motivi;
peraltro, come si evince da alcuni brevi passi della sentenza di primo grado e de ll’ atto di appello, riportati in sintesi nel testo del ricorso per cassazione, l ‘Agenzia appellante aveva sufficientemente contrastato la sentenza di primo grado;
– con il secondo motivo, deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 cod. civ. e 115 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR ritenuto di condividere sia l’accertamento della sottofatturazione in capo alla società contribuente, rimasta estranea rispetto alla movimentazione bancaria oggetto di accertamento, sia la quantificazione di detta pretesa sottofatturazione nel più rilevante importo di euro 1.100.000,00, pur in presenza del dato incontestato secondo cui l’Ufficio aveva dimostrato l’esistenza di assegni e movimentazioni bancarie per la somma inferiore di complessivi euro 280.000,00 e non aveva provato che detto importo fosse transitato sul conto corrente della contribuente, essendo affluito su conti di altri soggetti, con conseguente violazione del principio di non contestazione e del principio dell’onere della prova;
– con il terzo motivo, deduce la nullità della sentenza impugnata per omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., per avere la CTR omesso di esaminare i seguenti fatti: non ha rilevato che la movimentazione bancaria analizzata dai verbalizzanti non ha riguardato il conto corrente bancario della società contribuente, bensì quello di terzi che avrebbero dovuto, quindi, essere eventualmente i destinatari dell’attività di accertamento, in luogo della predetta società che alcun importo ha conseguito di tale supposte operazioni; non ha rilevato che la movimentazione bancaria accertata dai verbalizzanti, riguardante i terzi, risultava di gran lunga inferiore all’importo di euro 1.100.000,00 (pretesa sottofatturazione in nero), essendo pari ad euro 280.000,00; ha affermato che la dazione di somme sarebbe avvenuta nelle mani dell’amministratore della società che le avrebbe poi girate ai soci, mentre dagli atti di causa si evinceva che le rimesse erano avvenute dalla società RAGIONE_SOCIALE ai
terzi; ha asserito che le dichiarazioni del Perdono non sarebbero state sconfessate da altri soggetti, mentre tale smentita si ricavava dal contenuto degli atti penali riportati nelle controdeduzioni della società contribuente; ha quantificato in euro 1.100.000,00 la presunta sottofatturazione, senza rilevare che il PVC quantificava nella somma non eccedente euro 280.000,00 le rimesse operate dalla società RAGIONE_SOCIALE non alla contribuente, ma a terzi soggetti di cui alcuni soci della predetta società;
con il quarto motivo, deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 83 TUIR, 2 e 3 del d.P.R. n. 633 del 1972 e 2 del d.lgs. n. 446 del 1997, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per non avere la CTR rilevato la mancanza dei presupposti impositivi, oggettivi e soggettivi, dell’IRES, dell’IVA e dell’IRAP in capo alla contribuente, sul cui conto bancario non era transitata alcuna somma proveniente dalla RAGIONE_SOCIALE, ad e ccezione dell’impo rto di euro 2.000.000,00, dichiarato nell’atto di permuta;
con il quinto motivo, deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 32, comma 1, e 39, comma 2, lett. a), c) e d) del d.P.R. n. 600 del 1973, 51, comma 2, del d.P.R. n. 633 del 1972, 7 della l. n. 212 del 2000 e 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per non avere la CTR rilevato, omettendo la motivazione o motivando in modo apparente o insufficiente, che gli elementi probatori indicati nell’avviso di accertamento erano carenti, mancando i requisiti di gravità, precisione e concordanza del quadro indiziario , che l’avviso di accertamento non era motivato e che erano state violate ‘ le norme procedurali e sostanziali in materia di accertamento dei redditi ‘ ;
-i predetti motivi, che vanno esaminati unitariamente per connessione, sono inammissibili, perché mirano, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione di legge, ad una rivalutazione dei
fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. Sez. U. 27.12.2019, n. 34476);
i motivi sono inammissibili anche per difetto di specificità ed autosufficienza, posto che non riportano nel testo del ricorso per cassazione le parti degli atti difensivi e dei documenti, rilevanti per la comprensione delle doglianze;
-un’ulteriore inammissibilità dei medesimi motivi è rinvenibile nel fatto che non si confrontano con la ratio decidendi della sentenza impugnata che ha ritenuto le dichiarazioni rese da COGNOME NOME, oltre che attendibili, anche riscontrate da ulteriori elementi indiziari; -sul punto occorre premettere che nel processo tributario, le dichiarazioni rese da un terzo, trasfuse nel processo verbale di constatazione, a sua volta recepito dall’avviso di accertamento, hanno valore indiziario, concorrendo a formare il convincimento del giudice unitamente ad altri elementi, anche se non rese in contraddittorio col contribuente, in quanto non violano il divieto di prova testimoniale, previsto dall’art. 7, comma 4, del d.lgs. n. 546 del 1992 ( ex plurimis , Cass. 2.02.2022, n. 3262);
il valore probatorio di tali dichiarazioni è, dunque, quello proprio degli elementi indiziari, senza che ciò determini violazione del principio della parità delle armi, potendo il contribuente contestare la veridicità delle dichiarazioni in questione e introdurre, a sua volta, nel giudizio di merito altre dichiarazioni di terzi rese a discarico in sede extraprocessuale (Corte costituzionale, n. 18 del 2000; Cass. nn. 10785 del 2010, 4423 del 2003, 20032 del 2011);
-pertanto, anche il contribuente può introdurre nel processo tributario dichiarazioni scritte rese da terzi in sede extraprocessuale, aventi valenza indiziaria a proprio favore e utilizzabili tanto dall’Amministrazione quanto dal contribuente, in attuazione dei principi del giusto processo e nel rispetto del principio della parità
delle armi di cui all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, espressione del principio di uguaglianza ai fini dell’art. 3 Cost. (Cass. 4.11.2021, n. 31588);
in entrambi i casi, tuttavia, fermo restando il potere-dovere del giudice di valutare le dichiarazioni nel contesto probatorio emergente dagli atti, al fine di riscontrare la credibilità dei dichiaranti in base ad elementi oggettivi e soggettivi (Cass. 23.09.2021, n. 25804), le dichiarazioni rese dai terzi non costituiscono prove della verità del loro contenuto, bensì semplicemente indizi, valutabili in relazione agli altri elementi acquisiti, non potendo costituire da sole il fondamento della decisione (Cass. n. 3262 del 2022 cit.);
la CTR ha valorizzato non solo le dichiarazioni confessorie rese Perdono NOME, ex amministratore della società NOME (controparte commerciale dell’operazione di permuta contestata), ma anche le risultanze degli accertamenti bancari effettuati sui conti dei vari soggetti coinvolti nell’operazione , desumendone precisi riscontri alle indicazioni del Perdono; la parziale coincidenza delle somme riscontrate mediante l’esame degli assegni acquisiti con l’importo indicato dal Perdono, oltre che essere plausibile con il pagamento in contanti delle somme concordate, non inficia la valenza del riscontro documentale che, proprio perché fondato su un mezzo di prova particolarmente attendibile (le indagini finanziarie), assume una valenza significativa nel complessivo quadro probatorio offerto dall’Ufficio, soprattutto in considerazione dei fatto che , come osservato dai giudici di appello, in ordine agli assegni evidenziati in sede di verifica, i soci della RAGIONE_SOCIALE non avevano fornito alcuna giustificazione alternativa alla ricezione delle relative somme, che le dichiarazioni del Perdono non risultavano contraddette in modo puntuale da altri soggetti e che la contribuente non aveva fornito valida prova contraria;
il ricorso va, dunque, rigettato e la società contribuente va, di conseguenza, condannata al pagamento, in favore della controricorrente Agenzia delle entrate, delle spese relative al presente giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi € 13.000,00, oltre alle spese prenotate a debito;
ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 29 gennaio 2025.