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Sottofatturazione e prova presuntiva: la Cassazione

Una società costruttrice contesta un accertamento fiscale per sottofatturazione basato su dichiarazioni di terzi. La Cassazione rigetta il ricorso, confermando che tali dichiarazioni, se corroborate da altri indizi come i movimenti bancari, costituiscono una valida prova presuntiva, anche se i fondi non transitano direttamente sul conto societario ma sono versati ai soci.

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Pubblicato il 21 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Sottofatturazione e Prova Presuntiva: la Cassazione fa il Punto

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, torna a pronunciarsi su un tema cruciale del diritto tributario: la sottofatturazione e la validità dell’accertamento fiscale basato su prove presuntive. La decisione chiarisce come le dichiarazioni rese da terzi, anche in sede extraprocessuale, possano costituire un solido fondamento per la pretesa del Fisco, a patto che siano supportate da ulteriori elementi di riscontro. Questo caso offre spunti fondamentali sulla ripartizione dell’onere della prova e sulla validità degli indizi nel contenzioso tributario.

I Fatti del Caso

Una società operante nel settore edile riceveva un avviso di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate per l’anno 2008. L’Amministrazione Finanziaria contestava ricavi non contabilizzati, derivanti da una presunta sottofatturazione in un’operazione di permuta immobiliare con un’altra società.

Secondo il Fisco, la prova di tale operazione illecita emergeva dalle dichiarazioni rese, durante le indagini preliminari di un procedimento penale, dall’amministratore della società controparte. Quest’ultimo aveva ammesso un pagamento “in nero” a favore della società contribuente. Tali dichiarazioni erano state ulteriormente riscontrate da movimentazioni bancarie e assegni che, sebbene non diretti al conto corrente della società, erano stati girati ai suoi soci.

La Commissione Tributaria Regionale (CTR) aveva accolto l’appello dell’Agenzia delle Entrate, riformando la precedente decisione di primo grado che era stata parzialmente favorevole al contribuente. La società edile ha quindi proposto ricorso per cassazione, lamentando, tra i vari motivi, l’inattendibilità delle dichiarazioni di terzi e l’assenza di prove dirette che collegassero i flussi finanziari alla società stessa.

La Sottofatturazione e le Motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso della società, ritenendo i motivi infondati e in parte inammissibili. L’analisi dei giudici di legittimità si è concentrata su due aspetti principali: uno procedurale e uno di merito.

Sulla validità degli indizi e delle dichiarazioni di terzi

Il cuore della decisione riguarda il valore probatorio delle dichiarazioni rese da terzi. La Corte ha ribadito un principio consolidato: nel processo tributario, le dichiarazioni di terzi raccolte in sede extraprocessuale (come quelle verbalizzate durante indagini penali) non costituiscono prova testimoniale (vietata dall’art. 7 del D.Lgs. 546/1992), ma hanno valore di indizio.

Questi indizi, pur non potendo da soli fondare la decisione, concorrono a formare il convincimento del giudice se valutati unitamente ad altri elementi. Nel caso specifico, le dichiarazioni dell’amministratore della controparte sono state considerate attendibili perché riscontrate oggettivamente dalle movimentazioni bancarie. Il fatto che gli assegni fossero stati girati direttamente ai soci, e non alla società, non inficia la ricostruzione. Anzi, secondo la Corte, è plausibile che in operazioni di sottofatturazione i fondi illeciti vengano dirottati ai soci per evitare la tracciabilità fiscale.

È stato inoltre sottolineato che spetta al contribuente fornire una prova contraria, ovvero una giustificazione alternativa e credibile per la ricezione di tali somme da parte dei soci, cosa che in questo caso non è avvenuta.

Sull’ammissibilità dell’appello dell’Agenzia delle Entrate

La Corte ha respinto anche la censura relativa alla presunta inammissibilità dell’appello presentato in secondo grado dall’Agenzia delle Entrate per carenza di motivi specifici. I giudici hanno ricordato che, nel processo tributario, l’appello ha un carattere pienamente devolutivo. Ciò significa che la semplice riproposizione delle argomentazioni già sostenute a fondamento della legittimità dell’atto impositivo, in contrapposizione a quanto deciso dal primo giudice, è sufficiente ad assolvere l’onere di impugnazione specifica.

Le Conclusioni

La Corte ha concluso che i motivi di ricorso presentati dalla società miravano, in realtà, a una rivalutazione dei fatti già accertati dal giudice di merito, un’operazione preclusa in sede di legittimità. La CTR aveva correttamente e logicamente motivato la sua decisione, valorizzando un quadro probatorio composto da dichiarazioni di terzi e riscontri documentali (indagini finanziarie), ritenendolo sufficiente a sostenere l’accertamento per la sottofatturazione. La decisione conferma quindi la legittimità di un accertamento basato su un solido impianto presuntivo, quando gli indizi sono gravi, precisi e concordanti, e il contribuente non riesce a fornire una prova contraria convincente.

Le dichiarazioni di un terzo, rese in sede di indagini penali, possono essere usate in un processo tributario?
Sì, possono essere utilizzate non come prova piena (essendo vietata la prova testimoniale), ma come elementi indiziari. Il loro valore probatorio dipende dalla loro attendibilità e dalla presenza di altri elementi di riscontro che, unitamente ad esse, concorrono a formare il convincimento del giudice.

Per un accertamento da sottofatturazione è necessario che i pagamenti “in nero” transitino sul conto corrente della società?
No, non è necessario. La Corte ha ritenuto che la prova dell’operazione illecita possa essere raggiunta anche quando i pagamenti vengono effettuati direttamente ai soci della società contribuente, specialmente se quest’ultima non fornisce una giustificazione alternativa e credibile per tali flussi finanziari.

In un appello tributario, è sufficiente riproporre le stesse argomentazioni del primo grado?
Sì, secondo la Cassazione è sufficiente. A causa del carattere pienamente devolutivo dell’appello nel processo tributario, la riproposizione delle ragioni poste a fondamento dell’atto impositivo, in contrapposizione alle motivazioni della sentenza di primo grado, assolve l’onere di impugnazione specifica richiesto dalla legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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