Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 31936 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 31936 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4316/2018 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende -controricorrente-
Avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della TOSCANA n. 2254/2016 depositata il 22/12/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/09/2024 dalla Consigliera NOME COGNOME
Rilevato che:
La Commissione Tributaria Regionale della Toscana ( hinc: CTR), con sentenza n. 2254/2016 depositata in data 22/12/2016, ha accolto parzialmente l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate contro la sentenza n. 110/2013, con la quale la Commissione Tributaria Provinciale di Firenze ha accolto il ricorso presentato da RAGIONE_SOCIALE contro l’avviso di accertamento n. T8B031906233/2011, emesso, in relazione all’anno d’imposta 2006, per il recupero a tassazione di Euro 27.637 per IRES, Euro 3.559 per IRAP ed Euro 9.00 per IVA, oltre sanzioni e interessi.
La CTR ha, in particolare, ritenuto fondato il motivo d’appello dell’amministrazione finanziaria relativo ai costi di sponsorizzazione a favore dell’associazione sportiva RAGIONE_SOCIALE di Calenzano per Euro 100.000, dando rilievo alla circostanza che presso ques t’ultima fossero state trovate fatture con la stessa data e numerazione, ma con importi inferiori rispetto a quelle prodotte da RAGIONE_SOCIALE Era, quindi, avallata la conclusione di una fatturazione artatamente gonfiata al fine di dedurre costi maggiori rispetto a quelli effettivamente sostenuti. La contribuente si era, peraltro, limitata a produrre un contratto di sponsorizzazione generico, senza fornire la prova di elementi in ordine all’effettiva attività di sponsorizzazione.
La CTR aveva, invece, ritenuto sufficientemente giustificati e documentati i costi di sponsorizzazione a favore della RAGIONE_SOCIALE per Euro 20.000.
Non erano state, poi, ritenuti fondati i motivi di censura proposti dalla società contribuente con l’appello incidentale, a partire da lla contestazione relativa alla mancata notifica del PVC, alla mancata allegazione di quest’ultimo all’avviso di accertamento e alla mancata allegazione della delega rilasciata al funzionario che aveva sottoscritto l’avviso di accertamento.
Avverso la sentenza della CTR la società contribuente ha proposto ricorso in cassazione con sei motivi.
L’Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso RAGIONE_SOCIALE ha contestato la nullità della sentenza impugnata per carenza assoluta della motivazione e per motivazione apparente, in violazione degli artt. 36 d.lgs. 31/12/1992, n. 546 e 111 Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.
1.1. Ad avviso della ricorrente la sentenza della CTR è carente dei requisiti minimi di legittimità dell’apparato giustificativo a sostegno della decisione. Richiama le previsioni degli artt. 36 d.lgs. n. 546 del 1992 e 111 Cost. Evidenzia come la CTR abbia ripreso le contestazioni tributarie oggetto di accertamento, che riguardavano, da un lato, l’uso di costi per operazioni parzialmente inesistenti relative alla sponsorizzazione a favore di AC Calenzano e, dall’altro lato, la non inerenza dei costi di sponsorizzazione relativi alla RAGIONE_SOCIALE Fa presente che mentre in merito a quest’ultima sponsorizzazione è stata confermata la decisione del giudice di prime cure, diversamente è stato ritenuto fondato il motivo d’appello proposto in merito alla sponsorizzazione nei confronti di AC Calenzano. Rileva, tuttavia, come la CTR abbia dato rilievo alla sentenza di non luogo a procedere emessa, in data 18/03/2015, dal GIP di Prato nei confronti del legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE in merito al reato di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, considerata l’esistenza della prova di attività di sponsorizzazione. Il riferimento a tale pronuncia del giudice penale contraddice, tuttavia, l’affermazione della parziale inesistenza delle operazioni relative alla sp onsorizzazione in favore dell’AC Calenzano. Vi è, comunque, un
travisamento della prova, dal momento che il proscioglimento in sede penale è stato riferito alla sponsorizzazione in favore di RAGIONE_SOCIALE, anziché a quella in favore di AC Calenzano. In merito alle doglianze del contribuente (omessa emissione del PVC, omessa allegazione del PVC all’avviso di accertamento, omessa produzione della delega al funzionario che ha sottoscritto l’avviso di accertamento) la CTR ha emesso una statuizione di rigetto senza alcuna motivazione.
Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente ha contestato la violazione o falsa applicazione dell’art. 24 legge 07/01/1929, n. 4, dell’art. 52, comma 6, d.P.R. 26/10/1972, n. 633, dell’art. 33 d.P.R.. 29/09/1963, n. 600, nonché dell’art. 12 legge 27/07/2000, n. 212, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 2, cod. proc. civ.
2.1. La CTR, come motivazione del tutto carente, ha ritenuto non necessaria l’emissione del processo verbale di constatazione.
La ricorrente richiama il contenuto dell’art. 24 legge n. 4 del 1929 (« le violazioni delle norme contenute nelle leggi finanziarie sono contestate mediante processo verbale» ) e dell’art. 52, comma 6, d.P.R. n. 633 del 1972 (« di ogni accesso deve essere redatto processo verbale da cui risultino le ispezioni e le rilevazioni eseguite, le richieste fatte al contribuente o a chi lo rappresenta e le risposte ricevute» ), applicabile anche alle imposte dirette, in virtù del richiamo testuale ad opera dell’art. 33, primo comma, d.P.R. n. 600 del 1973. Tale norma prevede che il contribuente possa comunicare osservazioni e richieste entro sessanta giorni dalla consegna del processo verbale di constatazione da parte dell’amministrazione finanziaria. Nel caso di specie non solo non è stato concesso alla contribuente di presentare memorie difensive, ma non è stato neppure consegnato il PVC, il quale deve dare conto delle prove che giustificano l’emissione dell’atto impositivo a conclusione del
procedimento di accertamento. L’emissione del PVC è, inoltre, necessaria per consentire al contribuente l’esercizio del diritto di difesa previsto dall’art. 12, comma 7, legge n. 212 del 2000 (« nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori.» ).
Con il terzo motivo la ricorrente ha contestato la violazione o falsa applicazione degli artt. 42, secondo comma, d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 7, comma 1, legge n. 212 del 2000, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
3.1. La ricorrente evidenzia che sia l’art. 42 d.P.R. n. 600 del 1973 che l’art. 7, comma 1, legge n. 212 del 2000 prescrivono che l’avviso di accertamento debba essere motivato. Nel caso di specie, tuttavia, l’amministrazione finanziaria per giustificare la ri presa a tassazione nei confronti di RAGIONE_SOCIALE ha fatto riferimento al processo verbale di constatazione elevato a carico della AC Calenzano, non conosciuto, né conoscibile dal contribuente. Tale generico riferimento non è sufficiente a chiarire le ragioni giuridiche e i presupposti di fatto che hanno determinato la decisione dell’amministrazione finanziaria. L’avviso di accertamento impugnato è da ritenersi, pertanto, illegittimo, dato che fa riferimento a documenti non conosciuti dal contribuente e non allegati all’atto impositivo.
Con il quarto motivo di ricorso la società contribuente ha contestato la violazione e falsa applicazione dell’art. 90, comma 8, legge n. 289 del 2002, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ.
Viene, inoltre, rilevata l’erronea applicazione dell’art. 9, comma 8, legge n. 289 del 2002, che fissa una presunzione assoluta, secondo la quale i costi di sponsorizzazione, se inferiori alla soglia di Euro 200.000 devono essere considerati deducibili, qualora effettuati in favore di associazioni sportive che abbiano effettivamente reso attività di pubblicità. Trattandosi di una presunzione assoluta, una volta verificata la presenza dei presupposti applicativi dell’istituto i costi devono ritenersi deducibili, senza possibilità di contestarne l’entità.
La CTR ha invece ritenuto indeducibili i costi, ritenendo che il valore delle prestazioni fosse artatamente gonfiato, senza considerare, tuttavia, che la norma contiene una presunzione assoluta.
Con il quinto motivo è stata contestata la violazione e falsa applicazione dell’art. 109, comma 5, d.P.R. n. 917 del 1986, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
5.1. La ricorrente ha rilevato che l’art. 109, comma 5, d.P.R. n. 917 del 1986 prevede che le spese e gli altri componenti negativi dei redditi sono deducibili nella misura in cui si riferiscono ad attività da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito, purché siano funzionalmente e direttamente collegati con le attività produttive dell’impresa. Il concetto di inerenza deve essere inteso in senso ampio, quale collegamento all’attività diretta a produrre reddito imponibile e non necessariamente ai ricavi. L’attività pubblicitaria è, di regola, collegata al prestigio dell’operatore o alla visibilità del marchio, a prescindere dal settore in cui si svolge la prestazione. In base all’art. 109 t.u.i.r. sono inerenti all’impresa i costi che siano correlati in senso ampio a quest’ultima, in quanto tale, cioè quelli sostenuti al fine dello svolgimento di un’attività potenzialmente idonea a produrre utili.
L’affermazione della CTR secondo cui i costi di sponsorizzazione in favore dell’AC Calenzano non sono deducibili, in quanto la società contribuente non avrebbe prodotto elementi tali da dimostrare l’effettiva attività di sponsorizzazione è priva di consist enza argomentativa, evidenziando il palese travisamento della prova in cui è incorso il giudice di secondo grado.
6. Con il sesto motivo di ricorso è stata contestata la violazione e falsa applicazione degli artt. 42 d.P.R. n. 600 del 1973 e 56 d.P.R. n. 633 del 1972, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
6.1. La ricorrente contesta che, a fronte della doglianza della società contribuente in ordine alla mancata allegazione della delega al funzionario che ha sottoscritto l’avviso di accertamento, la CTR ha risposto, in modo apodittico, che il funzionario avrebbe agito in base all’ordine di servizio. Contesta, quindi, la violazione dell’art. 42 d.P.R. n. 600 del 1973, secondo il quale l’atto impositivo è nullo se non reca la sottoscrizione del capo dell’ufficio o di altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato. In caso di sottoscrizione non da parte del titolare dell’ufficio, ma da parte di un funzionario spetta all’amministrazione finanziaria dimostrare, in caso di contestazione, il corretto esercizio del potere sostitutivo da parte del sottoscrittore o la prese nza della delega del titolare dell’ufficio. La ricorrente rileva di aver sollevato tale eccezione nel ricorso introduttivo, facendo sorgere, pertanto, l’onere per l’amministrazione finanziaria di provare e produrre la delega di firma.
7. La controricorrente ha eccepito, in via preliminare, la tardività del ricorso evidenziando che la sentenza della CTR è stata depositata in data 22/12/2016, mentre il ricorso in cassazione è stato notificato in data 22/01/2018.
Rileva, poi, che per effetto del rinvio dell’art. 62 d.lgs. n. 546 del 1992 alle norme dettate dal codice di procedura civile il termine per la proposizione del ricorso in cassazione è di sei mesi, decorrenti dalla pubblicazione della sentenza della CTR. Tale disciplina deve essere, poi, coordinata con la sospensione dei termini prevista dall’art. 11, comma 9, d.l. n. 50 del 2017, entrato in vigore il 24/04/2017, in base al quale: « Per le controversie definibili sono sospesi per sei mesi i termini di impugnazione, anche incidentale, delle pronunce giurisdizionali e di riassunzione che scadono dalla data di entrata in vigore della nuova norma fino al 30 settembre 2017.» Ne consegue che il termine sospeso il 24/04/2017 ha ripreso a decorrere in data 01/10/2017, scadendo il 22/12/2017.
7.1. La controricorrente ha, poi, contestato la fondatezza dei motivi di ricorso proposti dalla parte ricorrente.
Il ricorso è inammissibile, in quanto proposto oltre il termine di legge di sei mesi ex art. 327 cod. proc. civ. prolungato di ulteriori sei mesi ex art. 11, comma 9, d.l. n. 50 del 2017, trattandosi di
giudizio definibile ai sensi della disposizione appena richiamata.
In merito al raccordo tra le norme appena citate questa Corte ha precisato che: « Stabilisce l’art. 11 co. 9, d.l. 50/17 cit: “Per le controversie definibili sono sospesi per sei mesi i termini di impugnazione, anche incidentale, delle pronunce giurisdizionali e di riassunzione che scadono dalla data di entrata in vigore del presente articolo fino al 30 settembre 2017”. In sostanza, la sola scadenza del termine ‘ordinario’ ex art.327 cpc tra il 24 aprile ed il 30 settembre 2017 ne determina (per le liti definibili) il prolungamento ‘cumulativo’ per sei mesi. Deve dunque ritenersi corretta l’interpretazione fornita dall’amministrazione finanziaria con la Circ. n.22/E del 28 luglio 2017, secondo la quale: “La durata della sospensione è predeterminata in sei mesi, che si aggiungono al
termine di scadenza calcolato secondo le ordinarie regole processuali, ivi incluse quelle relative al periodo – dal 1° al 31 agosto – di sospensione feriale. Inoltre, la durata della sospensione resta pari a sei mesi anche nei casi in cui si sovrapponga al periodo di sospensione dei termini feriali”.» (Cass., 17/06/2021, n. 17371).
Anche recentemente questa Corte ha affermato che: « La sospensione ex art.11, comma 9, del d.l. n. 50 del 2017, conv. con modif. dalla l. n. 96 del 2017, quanto ai criteri di computo dei termini di impugnazione, comporta il cumulo del termine ex art. 327 c.p.c., ove scada tra il 24 aprile ed il 30 settembre 2017, con quello di sei mesi previsto dalla predetta sospensione, prolungando così il termine lungo di impugnazione. » (Cass., 20/03/2024, n. 7510).
Di conseguenza, il primo passaggio consiste nel verificare la scadenza del termine ex art. 327 cod. proc. civ., che nella specie (in presenza di una sentenza depositata in data 22/12/2016) era da collocare alla data del 22/06/2017. Considerato che il termine per l’impugnazione scadeva nel periodo compreso tra la data di entrata in vigore del d.l. n. 50 del 2017 e il 30/09/2017 devono essere aggiunti ulteriori sei mesi che sono, pertanto, scaduti in data 22/12/2017. Occorre evidenziare che nel calcolo derivante dal combinato disposto degli artt. 327 cod. proc. civ. e 11, comma 9, d.l. n. 50 del 2017 il termine di sospensione feriale riguarderà il termine ordinario previsto nella prima norma, ma non la sospensione ex art. 11, comma 9, d.l. n. 50 del 2017. Ques t’ultima, in primo luogo, comporta una proroga ex lege di un termine che, nel caso di specie, sarebbe già maturato (22/06/2017), prima della sospensione feriale ex art. 1 legge 07/10/1969, n. 742. In secondo luogo, ad essere sospeso ex art. 1 legge n. 742 del 1969 è il decorso dei termini, non eventuali ulteriori ipotesi di sospensione eventualmente previste da leggi speciali.
Di conseguenza, al fine di calcolare se il termine di impugnazione scada tra la data di entrata in vigore dell’art. 11, comma 9, d.l. n. 50 del 2017 si applica l’eventuale termine di sospensione feriale. Diversamente, sussiste incompatibilità -e quindi un conflitto di norme da risolvere secondo il principio di specialità -in relazione all’art. 11, comma 9, d.l. n. 50 del 2017 (i.e. la norma speciale) e la norma general e di cui all’art. 1 legge n. 742 del 1969.
Il ricorso, in quanto tardivo, deve essere dichiarato inammissibile.
9.1. Le spese di lite seguono la soccombenza e devono essere liquidate in favore della controricorrente.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.300,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo un ificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 27/09/2024.