Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16693 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 16693 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso n.r.g. 17955/2019, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rapp.te pro tempore NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO per procura speciale allegata al ricorso, elettivamente domiciliat a presso l’AVV_NOTAIO in ROMA, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato presso la quale è domiciliata in ROMA, INDIRIZZO
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 5384/2018 della Commissione tributaria regionale della Lombardia, depositata l’11 dicembre 2018 ; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21 maggio 2025 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
Rilevato che:
RAGIONE_SOCIALE (d’innanzi ‘RAGIONE_SOCIALE‘) impugnò innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Milano l’intimazione di pagamento notificatale il 5 agosto 2016, relativa a crediti tributari per un ammontare complessivo di € 452.785,97, assumendo di aver presentato istanza di sospensione della riscossione ex art. 1, commi 537 e 538, della l. n. 228/2012 e di aver ricevuto risposta dal solo agente per la riscossione dopo la perenzione del termine di 220 giorni previsto dai commi 540 e 543, il quale ultimo, per tale ipotesi, prevedeva il discarico automatico dei ruoli.
La RAGIONE_SOCIALE respinse il ricorso.
Il successivo appello della società contribuente seguì la medesima sorte.
I giudici regionali rilevarono, per quanto in questa sede ancora di interesse, che l’istanza presentata dalla contribuente aveva oggetto diverso da quello di cui stabilito dalla disciplina applicabile, sì da non consentire la produzione dell’effetto decadenziale invocato; ritennero infondata, inoltre, l’eccezione di invalidità della notifica dell’intimazione che la società aveva sollevato in giudizio, osservando che tale atto aveva comunque raggiunto il suo scopo.
COGNOME ha impugnato la sentenza d’appello con ricorso per cassazione affidato a due motivi.
RAGIONE_SOCIALE delle RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
Considerato che:
Con il primo motivo la ricorrente denunzia violazione dell’art. 1, commi 537-543, della l. n. 228/2012, nonché omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, lamentando l’erroneità della decisione impugnata nella parte in cui ha ritenuto che l’istanza da lei presentata dopo la notifica dell’atto di intimazione non fosse idonea a far produrre gli effetti invocati quanto al carico di ruolo.
Con il secondo motivo è denunziata la nullità della sentenza «per totale inesistenza della procedura di notificazione prevista dall’art. 26 del d.P.R. n. 602/1973».
La ricorrente sostiene, in particolare, che i giudici d’appello avrebbero omesso di rilevare che, vertendosi in ipotesi di notificazione eseguita a mezzo di posta elettronica certificata, l’agente riscossore avrebbe dovuto versare in atti la prova della ricevuta di accettazione o di avvenuta consegna dell’atto e che, invece, tale onere era rimasto del tutto non assolto.
In via preliminare, va osservato che, secondo l’RAGIONE_SOCIALE, successivamente alla proposizione del ricorso RAGIONE_SOCIALE avrebbe presentato istanza di adesione alla definizione agevolata della controversia, ai sensi dell’art. 3 del d.l. n. 119/2018, relativamente, fra gli altri, al carico portato da alcune delle cartelle di pagamento di cui all’atto di intimazione oggetto del presente giudizio.
La circostanza, ad avviso della controricorrente, sarebbe idonea ad integrare un’ipotesi di rinunzia al ricorso per acquiescenza, configurando, per le cartelle oggetto di dichiarazione, un comportamento incompatibile con la volontà di impugnare.
La relativa valutazione, tuttavia, non può trovare ingresso in questa sede, in mancanza della produzione, da parte degli interessati, di alcun documento significativo della circostanza evocata a ragione della prospettata rinunzia al ricorso.
Ciò posto, e venendo all’esame delle censure, il primo motivo non è fondato.
4.1. Secondo quanto questa Corte ha già affermato nel decidere in relazione a vicende sovrapponibili alla presente (cfr., ad es., Cass. n. 10939/2024), la disciplina recata dall’art. 1, commi da 537 a 543, della l. n. 228/2012 nasce esplicitamente con l’intenzione di rimediare a difetti di comunicazione tra l’ente creditore e l’agente della riscossione e prevede, perciò, come cause di sospensione e di eventuale, successivo annullamento officioso, casi ascrivibili esclusivamente all’ente creditore e al credito sotteso alla riscossione , e non già inerenti all’attività dell’agente della riscossione .
Alla luce di tale finalità va dunque interpretata la casistica indicata dalla normativa in esame, che non può così estendersi ad ipotesi nelle quali sussistano vizi attribuibili all’agente della riscossione .
4.2. A tale principio si è attenuta la sentenza impugnata nell’escludere che all’istanza di COGNOME potesse attribuirsi l’idoneità invocata al fine di paralizzare l’attività di riscossione.
Risulta infatti dalla stessa documentazione riprodotta nel ricorso che le doglianze della società avevano ad oggetto il pignoramento presso terzi effettuato in relazione alla riscossione dei ruoli; né, in ogni caso, la società, a ciò tenuta a fronte del rilievo operato dai giudici d’appello, ha dato prova di aver effettuato contestazioni (e in quanta parte del complessivo credito iscritto) relative anche all’operato dell’Ente impositore.
Il secondo motivo è inammissibile perché non coglie la ratio decidendi .
Tacendo d’ogni considerazione in ordine all a disciplina della notificazione a mezzo p.e.c., infatti, basti qui osservare che, in punto alla notifica dell’atto di intimazione, i giudici d’appello hanno così statuito: « le numerose (e per lo più formalistiche) eccezioni mosse
dalla contribuente avverso le modalità di notificazione dell’intimazione di pagamento non hanno pregio, per l’assorbente ragione che la notificazione ha raggiunto lo scopo e la contribuente ha proposto in modo esaustivo le proprie difese ».
Tale decisiva affermazione non viene minimamente incisa dalla censura, che insiste unicamente nel mancato rispetto della procedura stabilita per la notificazione degli atti a mezzo di posta elettronica certificata e non è, pertanto, idonea a costituire una valida confutazione delle ragioni poste a fondamento della sentenza impugnata.
6. In conclusione, il ricorso dev’essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. Sussistono i presupposti per la condanna della ricorrente al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1bis dell’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in € 3.500,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte