Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20401 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 20401 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/07/2024
Oggetto: Tributi – credito IVA- rimborso – sospensione
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 14921 -20 22 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del procuratore speciale AVV_NOTAIO NOME COGNOME, giusta procura speciale del 5 agosto 2021 a ministero del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, notaio in Venezia, Rep. n. 43277 e Racc. n. 16195, rappresentata e difesa, per procura speciale a margine del ricorso, dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME (pec: EMAIL), dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME (pec: EMAIL) ed elettivamente domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO, presso lo studio legale dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME (pec: EMAIL);
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore AVV_NOTAIO pro tempore , rappresentata e difesa dall’RAGIONE_SOCIALE, presso la quale è domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 8514/13/2021 della Commissione tributaria regionale della CAMPANIA, depositata in data 03/12/2021;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/04/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO COGNOME, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;
udito per la ricorrente l’AVV_NOTAIO , che ha insistito per l’accoglimento del ricorso;
udita per la controricorrente l’Avvocatura AVV_NOTAIO dello Stato, in persona dell’AVV_NOTAIO, che ha insistito per il rigetto del ricorso.
Rilevato che:
RAGIONE_SOCIALE, quale incorporante della RAGIONE_SOCIALE, che aveva acquistato da RAGIONE_SOCIALE, in liquidazione coatta amministrativa, un credito IVA per complessivi 208.059,00 euro, di cui 97.059,00 euro relativo all’anno 2004 e 111.000,00 euro relativo all’ann o 2008, entrambi chiesti a rimborso con presentazione del relativo Mod. NUMERO_DOCUMENTO, impugnò con separati ricorsi sia il silenzio rifiuto opposto dall’amministrazione finanziaria, sia il successivo provvedimento di sospensione dei rimborsi per la presenza di carichi pendenti.
La sentenza di rigetto dei ricorsi riuniti pronunciata dalla CTP di Napoli veniva confermata dalla CTR della Campania che negava la legittimazione del cessionario a proporre istanza di rimborso e la
giurisdizione del giudice tributario in relazione alla controversia concernente la sospensione del rimborso.
Il ricorso per cassazione proposto dalla RAGIONE_SOCIALE venne accolto da questa Corte con ordinanza n. 14849 del 13 luglio 2020.
Dopo aver premesso che « appartiene alla giurisdizione del giudice tributario la domanda proposta nei confronti dell’Amministrazione finanziaria per la restituzione di somme indebitamente versate a titolo d’imposta sul valore aggiunto, una volta che ne sia stato rifiutato il rimborso, restando irrilevante che il ricorso sia stato proposto dal cessionario del bene, invece che dal soggetto passivo del rapporto tributario, atteso che la cessione importa il subingresso del terzo nella posizione del contribuente e che la controversia ha comunque l’attitudine a porre questioni inerenti al rapporto tributario, da definirsi con autorità di giudicato anche in contraddittorio con il contribuente », questa Corte nella citata ordinanza, con riferimento al primo motivo di ricorso, affermava che « il cessionario di un credito i.v.a. è attivamente legittimato quanto alla procedura di rimborso e passivamente legittimato quanto alle restituzioni, mentre gli sono opponibili gli atti dell’ufficio per quanto attiene al controllo delle dichiarazioni, alle rettifiche ed alle sanzioni irrogate al cedente » e, con riferimento al secondo motivo, che « il provvedimento di sospensione della procedura di rimborso del credito i.v.a. è impugnabile per vizi propri dinanzi alle commissioni tributarie, in quanto riconducibile alla categoria residuale prevista nell’art. 19, comma 1, lett. i), del d.lgs. n. 546 del 1992, riferita ad «ogni altro atto per il quale la legge ne preveda l’autonoma impugnabilità davanti alle commissioni tributarie» ».
Pertanto, cassava la sentenza impugnata e rinviava la causa al giudice d’appello per nuovo esame.
Riassunta la causa da parte della società contribuente, la CTR con la sentenza in epigrafe indicata rigettava «il ricorso in riassunzione» ( rectius : l’originario appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.p.a.) sostenendo che l’estratto di ruolo – così come la sua produzione consentiva l’ammissione dei concessionari della riscossione al passivo fallimentare, in virtù del principio affermato da Cass. n. 20784 del 2017 -, era idoneo a provare l’esistenza di carichi pendenti e, quindi, del controcredito dell’ammin istrazione finanziaria; che la RAGIONE_SOCIALE « non era titolare di un credito certo sorto prima e durante la procedura concorsuale » sicché era compensabile con il debito fiscale della società sorto anteriormente alla procedura liquidatoria; che la domanda della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE s.p.a. non poteva comunque essere accolta per difetto di prova dell’effettiva sussistenza del credito chiesto a r imborso.
Avverso tale statuizione la RAGIONE_SOCIALE proponeva ricorso per cassazione affidato a tre motivi, illustrati con memoria, cui replicava l’intimata con controricorso.
Fissata la camera di consiglio del 9 novembre 2023 per la trattazione del ricorso, questa Corte con ordinanza interlocutoria rimetteva la causa a questa pubblica udienza.
Il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, ha depositato memoria con le relative conclusioni.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso viene dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 24 Cost., 115, 384 e 394 cod. proc. civ., 63 del d.lgs. n. 546 del 1992, 1241 e segg. e 2697 cod. civ., 56 L. Fall. e 23 del d.lgs. n. 472 del 1997. Sostiene la ricorrente che la CTR, in violazione e falsa applicazione delle disposizioni censurate, aveva erroneamente ritenuto che è consentito all’Ufficio finanziario che
abbia sospeso il rimborso di un credito fiscale per asseriti carichi erariali e non per contestazioni sull’ an e sul quantum di esso, eccepire per la prima volta la mancata prova di detto credito e, per tale via, richiedendo alla parte contribuente di fornire la prova del credito nel giudizio di rinvio in cui, invece, tale attività è preclusa.
Con il secondo motivo viene dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 cod. civ., 115 e 116 cod. proc. civ., 14, 15, 24, 25, 26, 45, 87 e segg. del d.P.R. n. 602 del 1973, 23 del d.lgs. n. 472 del 1997 e 56 L. Fall., per avere la CTR erroneamente ritenuto l’estratto di ruolo sufficiente a provare l’esistenza di carichi pendenti e, quindi, del controcredito dell’amministrazione finanziaria da opporre in compensazione e a fondamento del provvedimento di sospensione del rimborso richiesto.
Con il terzo motivo viene dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa fatti storici oggetto di discussione tra le parti e decisi per il giudizio in base agli artt. 2697 cod. civ., 115 e 116 cod. proc. civ., 14, 15, 24, 25, 26, 45, 87 e segg. del d.P.R. n. 602 del 1973, 23 del d.lgs. n. 472 del 1997 e 56 L. Fall., costituiti dal fatto che « l’Erario non stava affatto domandando l’ammissione del proprio credito al passivo fallimentare », in cui, diversamente che nel caso di specie, l’estratto di ruolo era idoneo allo scopo, e che l’amministrazione finanziaria non aveva mai contestato il diritto al rimborso nei gradi di merito e, per di più, era stato riconosciuto da controparte nel giudizio avanti a questa Corte.
Il secondo motivo, da esaminarsi preliminarmente per ragioni di ordine logico-giuridico, è infondato e va rigettato.
In termini generali, la sospensione del rimborso del credito IVA è prevista in diverse ipotesi, diversamente disciplinate. A parte la previsione di cui all’art. 38 -bis, comma 1, seconda parte, del
d.P.R. n. 633 del 1972, che, nel disporre la non computabilità degli interessi nel periodo intercorrente fra la data di notifica della richiesta di documenti e la data della loro consegna, quando superi quindici giorni, presuppone la sospensione del rimborso in tale periodo, il vigente comma 8 della medesima disposizione prevede poi la sospensione del rimborso per il caso di constatazione di uno dei reati di cui agli artt. 2 e 8 del d.lgs. n. 74 del 2000; in tal caso la sospensione, anche della decorrenza degli interessi di mora, opera « fino alla definizione del relativo procedimento penale ».
5.1. Il rimborso del credito rimane, altresì, sospeso durante il tempo in cui il contribuente non fornisce la documentazione relativa alla prestazione di garanzia fideiussoria prevista dal comma 4 del citato art. 38-bis per i rimborsi di ammontare superiore a 30.000 euro (in termini, Cass. n. 25164 del 23/08/2022; conf. a Cass. n. 14930 del 2011; Cass. n. 11418 del 2019).
5.2. La sospensione del rimborso è inoltre previsto dall’art. 23 del d.lgs. n. 472 del 1997, che si verifica quando al soggetto che vanta un credito nei confronti dell’amministrazione finanziaria venga « notificato atto di contestazione o di irrogazione della sanzione o provvedimento con il quale vengono accertati maggiori tributi, ancorché non definitivi ».
5.3. Ulteriore ipotesi di sospensione è quella del cd. fermo amministrativo, regolato dall’art. 69, sesto comma, del r.d. n. 2440 del 1923, secondo cui « Qualora un’amministrazione dello Stato che abbia, a qualsiasi titolo, ragione di credito verso aventi diritto a somme dovute da altre amministrazioni, richieda la sospensione del pagamento, questa deve essere eseguita in attesa del provvedimento definitivo ».
5.4. Infine, la sospensione del rimborso del credito IVA opera anche in presenza di carichi pendenti – che è, appunto, il caso posto nel motivo in esame – in cui, la sospensione del rimborso, così come
affermato da questa Corte (Cass. n. 17828 del 2021, cit.) « va ricondotta, da un lato, ai principi generali in materia di obbligazioni (e, in ispecie, all’eccezione di compensazione, che può sempre essere opposta) e, dall’altro, sul piano formale, all’istituto del cd. fermo amministrativo, regolato dall’art. 69, quinto comma, r.d. n. 2240 del 1923 ».
6. Ciò precisato in termini generali, osserva il Collegio che, diversamente da quanto sostiene la ricorrente, che peraltro neppure specifica il tipo di provvedimento in concreto emesso dall’amministrazione finanziaria (e al riguardo deve annotarsi che nei motivi di ricorso in esame la parte ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art. 23 del d.lgs. n. 4 72 del 1997, così implicitamente facendo riferimento ad una sospensione adottata sulla base della predetta disposizione, mentre nel ricorso per cassazione avverso la prima pronuncia resa dalla CTR nel giudizio in esame, successivamente cassata, la ricorrente aveva invece censurato la violazione e falsa applicazione degli artt. 69 e 70 del R.D. n. 2440 del 1923 (ricorso, pagg. 5 e 6), che, invece, rinvia ad un provvedimento di fermo amministrativo), l’amministrazione finanziaria ben poteva sospendere il rimborso del presunto credito chiesto a rimborso dalla banca cessionaria sulla base dell’estratto di ruolo, ovvero delle risultanze dell’anagrafe trib utaria, senza necessità di provare in giudizio l’avvenuta notificazione degli atti cui fa riferimento il citato art. 23.
6.1. Al riguardo, infatti, questa Corte ha affermato che, «Nel caso in cui l’Amministrazione finanziaria vanti un credito nei confronti del contribuente di cui sia a sua volta debitrice, la stessa può adottare il provvedimento di sospensione del pagamento, previsto dalla disposizione tributaria speciale di cui all’art. 23, comma 1, del d.lgs. n. 472 del 1997, nella formulazione anteriore alle modifiche apportate dall’art. 16, comma 1, lett. h), d.lgs. n.
158 del 2015, quando abbia notificato un atto di contestazione o di irrogazione della sanzione per violazioni tributarie, nei limiti della somma risultante dall’atto o dalla decisione della commissione tributaria ovvero dalla decisione di altro organo, altrimenti, in caso di mancata notifica ovvero di controcredito non tributario, può applicare il concorrente istituto generale del c.d. fermo amministrativo di cui all’art. 69, comma 6, del r.d. n. 2440 del 1923, sospendendo il pagamento delle somme dovute al contribuente, purché vanti una idonea ragione di credito e la pretesa sia connotata dal “fumus boni iuris”» (Cass. n. 1292 del 2020; in termini, Cass., Sez. U, n. 2320 del 2020; Cass. n. 27165 del 23022 e Cass. n. 24295 del 2023)
Il primo motivo, al cui esame deve passarsi, è inammissibile.
7.1. La censura attinge la statuizione d’appello emessa con riferimento all’impugnazione del silenzio rifiuto dell’istanza di rimborso, che ha riconosciuto all’amministrazione finanziaria la possibilità di eccepire per la prima volta, anche nel giudizio di rinvio, l’esistenza del credito chiesto a rimborso.
7.2. Orbene, al riguardo va ricordato il consolidato orientamento di questa Corte secondo cui, ove la controversia tributaria abbia ad oggetto -come nella specie – l’impugnazione del rigetto dell’istanza di rimborso di un tributo avanzata dal contribuente: 1) quest’ultimo riveste la qualità di attore in senso non solo formale -come nei giudizi di impugnazione di un atto impositivo -ma anche sostanziale, con la conseguenza che l’Amministrazione finanziaria può prospettare, a sostegno del provvedimento di diniego, argomentazioni giuridiche ulteriori rispetto a quelle che hanno costituito la motivazione di rigetto dell’istanza in sede amministrativa (Cass., Sez. 5, 27.6.2019, n. 17239, Rv. 654509-01); 2) le argomentazioni con cui l’Ufficio nega la sussistenza di detti fatti, o la qualificazione ad essi attribuita,
costituiscono mere difese, non soggette ad alcuna preclusione processuale (arg. da Cass., Sez. 6-5, 28.1.2020, n. 1906, Rv. 656784-01; v. anche Cass. n. 15932 del 2023, non massimata, nonché Cass. n. 25999 del 02/09/2022, Rv. 665511 -01).
7.3. E ciò può avvenire anche nel giudizio di rinvio, fatta eccezione per l’ipotesi, nella specie insussistente, della formazione dell’eventuale giudicato interno sull’esistenza e sull’entità del credito.
7.4. La censura in esame è quindi inammissibile anche perché si pone in contrasto, evidente quanto inconsapevole, nulla avendo la ricorrente argomentato al riguardo, con il consolidato orientamento giurisprudenziale di cui sopra si è dato atto.
Il terzo motivo è del pari inammissibile sia per la preclusione derivante dalla sussistenza di una cd. doppia conforme, considerato che la pronuncia della CTR ha integralmente confermato la decisione del giudice di primo grado, sia perché viene dedotto il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione non più denunciabile ai sensi della versione del n. 5 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ., applicabile ratione temporis , ovvero in quella introdotta dal l’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012 (cfr. Cass. S.U. n. 8053 del 07/04/2014; conf. Cass. n. 21257 del 08/10/2014; Cass. n. 23828 del 20/11/2015; Cass. n. 23940 del 12/10/2017; Cass. n. 22598 del 25/09/2018). In seguito alla riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione – nella specie, peraltro, neppure dedotta del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art.
132, comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia. Ma anche ove, con notevole sforzo ermeneutico, si potesse recuperare il motivo in ragione delle argomentazioni svolte nel ricorso (cfr. Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 26310 del 07/11/2017, Rv. 646419), gli stessi non si sottrarrebbero al vizio di inammissibilità per difetto di specifica indicazione del fatto storico (ovvero un preciso accadimento od una precisa circostanza in senso storico-naturalistico -cfr. Cass. n. 21152/2014) decisivo per il giudizio, pretermesso nella valutazione giudiziale, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che sia stato oggetto di discussione tra le parti, ed abbia carattere decisivo (cfr. Cass. n. 7472 del 2017; Cass., Sez. U., n. 8053 del 2014), non potendosi ritenere ‘fatti’ nel senso indicato, quelli dedotti dalla ricorrente, ovvero che « l’Erario non stava affatto domandando l’ammissione del proprio credito al passivo fallimentare », che, pertanto, nel caso di specie l’estratto di ruolo era documento inidoneo a provare il controcredito erariale e che il credito chiesto a rimborso era stato riconosciuto da ll’Ufficio sia nell’ an che nel quantum (ricorso, pagg. 34 e 35), che, invece, sono questioni ed argomentazioni difensive di cui, peraltro, la CTR ha pure tenuto conto avendo espressamente affermato che « non solo il ruolo ma anche l’estratto di ruolo è ido ne o a dimostrare l’esistenza del diritto di credito ».
In estrema sintesi, vanno dichiarati inammissibili il primo e terzo motivo di ricorso e rigettato il secondo. In applicazione del principio della soccombenza, la ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
dichiara inammissibili il primo e terzo motivo di ricorso, rigetta il secondo. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 7.600,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma in data 29 aprile 2024