Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 14360 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 14360 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: CORTESI NOME
Data pubblicazione: 29/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso n.r.g. 26830/2016, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la quale è domiciliata a ROMA, in INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rapp.te pro tempore NOME COGNOME rappresentata e difesa, per procura speciale allegata alla comparsa di costituzione di nuovo difensore , dall’Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliata presso il suo indirizzo di posta elettronica certificata;
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 4414/2015 della Commissione tributaria regionale della Sicilia- sezione staccata di Catania, depositata il 21 ottobre 2015; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 7
maggio 2025 dal consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
Con ricorso innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Catania, la RAGIONE_SOCIALE impugnò la cartella di pagamento emessa dal concessionario per la riscossione a seguito del diniego alla sua istanza di definizione di versamenti relativi ad Ilor ed Irpeg per gli anni 2003 e 2004 , formulata ai sensi dell’art. 9bis della l. n. 289/2002.
A fondamento del provvedimento erariale era stato posto il rilievo secondo cui la società contribuente, avente sede in un Comune interessato dal sisma che aveva colpito la Sicilia orientale nel 2002, si era avvalsa, in relazione al versamento effettuato ai fini della definizione, della sospensione degli adempimenti tributari disposta dall’art. 4 del d.l. n. 245/2002 (conv. , con modif., nella l. n. 286/2002) in favore dei soggetti residenti nell’area sismica.
La stessa, inoltre, aveva usufruito delle ulteriori riduzioni previste, nel medesimo contesto fiscale, dall’art. 1, comma 1011, della l. n. 296/2006. Secondo l’Amministrazione, tali disposizioni non erano però applicabili alla forma di definizione della quale la contribuente si era avvalsa.
La C.T.P. accolse il ricorso.
Il successivo appello erariale fu respinto con la sentenza indicata in epigrafe.
I giudici regionali richiamarono una sentenza (relativa al proc. R.G.A. n. 5606/11) che essi stessi avevano reso in relazione
all’impugnazione del diniego di condono, confermando la pronunzia di primo grado che aveva accolto le ragioni della contribuente.
La sentenza d’appello è stata impugnata dall’Agenzia delle entrate con ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.
La società contribuente ha resistito con controricorso.
Considerato che:
Con il primo motivo, deducendo violazione dell’art. 2909 cod. civ., la ricorrente assume che i giudici d’appello avrebbero erroneamente attribuito efficacia di giudicato alla loro decisione di rigetto dell’appello erariale relativo al diniego di condono, t rattandosi, invece, di pronunzia non ancora definitiva.
Il secondo mezzo di ricorso denunzia violazione dell’art. 9 -bis della l. n. 289/2002 in combinato disposto con l’art. 1, comma 1101, della l. n. 296/2006.
L’Amministrazione osserva che, contrariamente a quanto ritenuto dalla C.T.R., la definizione degli «omessi o tardivi versamenti», di cui all’art. 9 -bis citato, si perfeziona solo con l’integrale pagamento di tutte le rate e non ammette proroghe o dilazioni ulteriori rispetto a quelle previste dalla stessa disposizione condonistica.
A tale definizione, pertanto, non potevano essere applicati né le sospensioni previste dalla disciplina agevolativa per i soggetti interessati dal sisma, né la riduzione prevista dall’art. 1, comma 1101, della l. n. 296/2006; diversamente opinando, si sarebbe finito con il consentire alla contribuente l’accesso ad un condono su somme già oggetto di precedente condono.
Il terzo motivo denunzia violazione dell’art. 1, comma 1011, della l. n. 296/2006 e degli artt. 10-13 della l. n. 342/2000.
L’Agenzia ricorrente osserva che, fra i tributi oggetto del versamento operato dalla società, vi era anche l’imposta sostitutiva prevista dalla l. n. 342/2000, relativa alla rivalutazione volontaria dei
beni iscritti in bilancio, avente natura agevolativa e quindi ulteriormente significativa dell’esistenza di una preclusione, per la società, all’accesso agli ulteriori benefici invocati.
Richiama, pertanto, le considerazioni svolte in ordine al secondo motivo con riferimento alla sussistenza di una preclusione a carico della società contribuente.
Infine, con il quarto motivo la ricorrente denunzia violazione dell’art. 108 del TFUE.
Assume, al riguardo, che la norma agevolativa è collegata a provvedimenti di sospensione di versamenti fiscali a causa di una calamità naturale e che, pertanto, dovendosi nella specie applicare a un’impresa di costruzioni, essa costituisce aiuto di Stato il cui riconoscimento è subordinato al rispetto della Decisione della Commissione UE n. C(2015) final del 17 agosto 2015; da ciò inferisce l’insussistenza del diritto al beneficio da parte della società, che lo ha invocato per il sol fatto di avere sede nel territorio interessato dal sisma, senza nulla allegare in punto alla funzionalità del contributo ai danni effettivamente subiti.
Va preliminarmente disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla contribuente, secondo la quale l’Agenzia delle entrate avrebbe omesso di indicare la specifica enunciazione della sentenza impugnata che si sarebbe posta in contrasto con le norme delle quali ha denunciato la violazione, così come prescritto da questa Corte con orientamento consolidato.
Al riguardo, il Collegio non disconosce tale orientamento, ma evidenzia che la prescritta enunciazione ha il fine da porre la Corte in condizione di adempiere al suo compito di verificare il fondamento della lamentata violazione e non richiede, pertanto, l’adozione di formule sacramentali (così, fra le numerose altre, Cass. n. 16700/2000 e e Cass. n. 24298/2016); e tale fine risulta pienamente rispettato
nella specie, poiché i motivi di ricorso consentono di individuare con chiarezza gli argomenti della sentenza d’appello come riportati nella premessa in fatto -dei quali è denunziata l’erroneità in diritto.
Ciò posto, e passando allo scrutinio delle censure, il primo motivo è inammissibile perché non coglie la ratio decidendi .
La C.T.R., infatti, non ha richiamato la propria decisione sul diniego di condono in guisa di giudicato, ma unicamente al fine di motivare per relationem la statuizione sull’impugnazione della cartella di pagamento conseguente al diniego.
Del tutto non pertinenti, dunque, sono le considerazioni svolte dalla ricorrente in relazione alla non definitività della decisione in questione.
Passando allo scrutinio del secondo motivo, va anzitutto disattesa l’eccezione della controricorrente di inammissibilità della censura per difetto di autosufficienza; il ricorso, infatti, denuncia sul punto la violazione di una norma processuale, per l’individuazione della quale è sufficiente l’esame della sentenza gravata.
Ciò posto, nel merito il motivo è infondato.
Questa Corte, con orientamento da tempo consolidatosi, ha infatti affermato che la sospensione dei termini di adempimento degli obblighi tributari ex art. 4 del d.l. n. 245/2002 si applica anche alle rate di condono non pagate ed iscritte a ruolo, in quanto tale norma, alla stregua di una interpretazione letterale, logica e costituzionalmente orientata, non consente, tenuto conto della sua ratio di favorire i contribuenti «interessati da eventi eccezionali o imprevedibili» e della tipologia di agevolazioni da essa previste -di limitarne la portata generale, introducendo eccezioni non contemplate (così Cass. n. 1074/2014; successive conformi, fra le altre, Cass. n. 16556/2017, Cass. n. 17634/2018, Cass. n. 4819/2022 ; quest’ultima decisione, peraltro, ha specificato che il beneficio si applica «non solo
ai residenti ma anche ai soggetti che alla data del 29 e del 31 ottobre 2002 esercitavano la propria attività lavorativa nei Comuni calamitati).
Il rigetto del precedente motivo comporta il superamento della questione posta con il terzo motivo (che rimane, perciò, assorbito).
Il quarto motivo, infine, è inammissibile per come formulato.
Oggetto della controversia è, infatti, l’applicabilità della sospensione degli adempimenti tributari in favore del soggetto residente nell’area interessata dal sisma; si tratta, pertanto, di questione che non presenta profili di diretta interferenza da parte della decisione della Commissione UE C(2015) final, per la parte evocata dalla ricorrente, che fa riferimento al diverso profilo agevolativo del riconoscimento di esenzioni in forma di indennizzo dei danni subiti.
La censura non svolge alcuna altra considerazione sul punto; sicché la stessa non appare munita di sufficiente grado di specificità rispetto alla questione dedotta in giudizio.
In conclusione, il ricorso deve essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. Non sussistono i presupposti per la condanna della ricorrente ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, trattandosi di amministrazione pubblica patrocinata dall’Avvocatura dello Stato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi € 5.600,00, oltre € 200,00 per esborsi, 15% per rimborso forfetario ed ulteriori oneri accessori nella misura e sulle voci come per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di