Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4964 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 4964 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 25/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6408/2018 R.G. proposto da :
COGNOME con l’avvocato NOME COGNOME e NOME COGNOME
-ricorrente-
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato
-controricorrente-
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania n. 6797/2017 depositata il 20/07/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME promotore finanziario ricorre, con quattro motivi avverso la sentenza della CTR della Campania indicata in epigrafe, in controversia avente ad oggetto l’impugnazione dell’avviso di accertamento per Irpef 2008.
Per quanto qui ancora rileva, i giudici di appello, accolto il ricorso in relazione ad altro recupero di imposta, rigettavano la doglianza del contribuente avente ad oggetto il disconoscimento della sopravvenienza passiva derivante dal versamento a due investitori asseritamente danneggiati dalla improvvida consulenza del COGNOME,
dell’importo di euro 100.000, in esecuzione di ac cordo transattivo stipulato tra le parti.
L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso ed il contribuente ha depositato memoria illustrativa ex art. 380-bis.1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, il contribuente denuncia, in relazione all’art. 360 , comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge 212/2000.
1.1. Deduce in primo luogo il ricorrente che la pronuncia della CTR, avendo rilevato il difetto di motivazione dell’atto di accertamento in relazione all’altro rilievo in esso formulato, avrebbe dovuto annullare l’intero atto impositivo.
1.2. La censura, come formulata, è affetta da palese inconcludenza, essendo riferita a contenuto motivazionale estraneo al rilievo qui ancora contestato.
1.3. Inoltre, con più specifico riferimento al mancato riconoscimento della deduzione della sopravvenienza passiva da transazione, il contribuente lamenta che l’Agenzia delle entrate , in sede di giudizio, abbia inammissibilmente modificato e integrato la motivazione dell’avviso di accertamento, in particolare deducendo l ‘ invalidità dell’accordo stragiudiziale per mancanza della sottoscrizione da parte di una delle parti; su tale rilievo la CTR, con la sentenza impugnata, avrebbe erroneamente accolto, in parte qua , l’appello proposto dall’A mministrazione.
1.4. Il motivo è, in primo luogo, inammissibile in quanto non si confronta con la complessiva ratio che sostiene la decisione impugnata.
1.5. Si rileva infatti come il difetto di sottoscrizione, su cui si concentra la doglianza, pur menzionato dalla CTR, costituisca uno solo dei numerosi elementi indiziari posti a fondamento della decisione di appello, che ha confermato la contestazione, sollevata dall’Ufficio nell’atto impositivo, di insufficienza del documento
prodotto ad integrare i presupposti di cui all’art. 101, comma 4 del Tuir per la deduzione della sopravvenienza passiva.
1.6. Il motivo è comunque infondato. Ricordandosi che è costante affermazione di questa Corte che «l’avviso di accertamento è correttamente motivato quando pone il contribuente nella condizione di conoscere esattamente la pretesa impositiva, nel petitum e nella causa petendi , tramite una fedele e chiara ricostruzione degli elementi costitutivi dell’obbligazione tributaria, anche quanto agli elementi di fatto ed istruttori posti a base dell’atto impositivo, in ragione della necessaria trasparenza dell’attività della Pubblica Amministrazione, in considerazione di un immediato controllo della stessa» ( ex multis v. Cass. 30 agosto 2023, n. 25445; Cass. 10 agosto 2022, n. 24659; Cass. 5 marzo 2021, n. 6154; Cass. 21 novembre 2018, n. 30039) , si rileva come, sin dall’avviso di accertamento l’Amministrazione finanziaria abbia compiutamente esposto sia il fondamento giuridico del recupero, con espresso richiamo dell’art. 101, comma 4 cit., ed indicato gli elementi di fatto posti a base dell’atto, e segnatamente la inidoneità della scrittura di transazione, in primis , per mancanza di data certa.
1.7. Va a tale riguardo ribadita la distinzione tra la questione dell’esistenza della motivazione dell’atto impositivo, requisito formale di validità, e quella concernente, invece, l’indicazione e l’effettiva esistenza di elementi dimostrativi dei fatti costitutivi della pretesa tributaria, che non è prescritta quale elemento costitutivo della validità dell’atto impositivo ma è disciplinata dalle regole processuali dell’istruzione probatoria da applicarsi nello svolgimento del giudizio (Cass. n. 8399 del 05/04/2013; Cass. n. 6524 del 09/03/2020; Cass. n. 20428 del 28/09/2020; Cass. n 14814 del 10/05/2022).
È stato ancora di recente affermato che la motivazione dell’avviso di accertamento o di rettifica, presidiata dall’art. 7 della l. n. 212 del 2002, ha la funzione di delimitare l’ambito delle contestazioni
proponibili dall’Ufficio nel successivo giudizio di merito e di mettere il contribuente in grado di conoscere l’ an ed il quantum della pretesa tributaria; invece, la prova della pretesa tributaria attiene al diverso piano del fondamento sostanziale della pretesa tributaria ed al suo accertamento in giudizio in presenza di specifiche contestazioni dello stesso (Cass. n. 25321 del 20/09/2024).
Con il secondo motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 57 d.lgs. 546/92.
2.1. Lamenta il ricorrente che l’Ufficio soltanto in appello avrebbe introdotto un motivo nuovo, inammissibile ai fini della decisione, identificato nella deduzione della invalidità della scrittura transattiva per difetto di sottoscrizione.
2.2. Il motivo è inammissibile, non confrontandosi con la concreta ratio della decisione impugnata.
2.3. In sede di deduzioni di primo grado, infatti, l’Amministrazione, come da estratto riportato nello stesso ricorso del contribuente, aveva ribadito la contestazione secondo cui la scrittura esibita all’Ufficio non doveva ritenersi atta a provare in maniera esaustiva la riduzione pretesa, e ciò sotto molteplici profili, tra i quali espressamente citava la mancanza di data certa, la natura di scrittura privata non autenticata, la assenza di prova della vertenza insorta o comunque di una pretesa risarcitoria vantata da ll’investitore .
2.4. La decisione della CTR pur richiamando, tra molti altri, anche l’elemento formale suddetto del difetto di sottoscrizione, esprime una complessiva valutazione che si fonda piuttosto sull ‘elemento della «veridicità sostanziale», laddove i giudici di appello affermano che «Si tratta infatti dì: un atto privato stragiudiziale senza alcuna possibilità di riscontro; recante una data non confermata da alcuna registrazione; mancante di una delle tre firme necessarie e con le altre due illeggibili; mancante dell’assistenza di avvocati o altri
mediatori del settore; non scaturito da alcuna richiesta ufficiale di risarcimento danni; non preceduto da alcuna trattativa almeno sull’entità del risarcimento. Bisogna insomma riconoscere che il contribuente, sul quale incombe l’ onere di provare con assoluta certezza il consistente esborso di 100.00,00 euro poteva e doveva munirsi di una documentazione ben più rigorosa non solo dal punto di vista della credibilità formale ma anche e soprattutto della veridicità sostanziale» e ancora che «In altre parole manca del tutto la prova della responsabilità di NOME COGNOME di aver causato la perdita di 100.000,00 euro ai signori COGNOME e COGNOME. ln mancanza di tale prova certa, non si comprende per quale ragione il consulente finanziario abbia sottoscritto una transazione ed abbia pagato un risarcimento danni, al quale probabilmente nessun Tribunale Civile lo avrebbe mai condannato», per concludere che «Stando così le cose, ha allora ragione l’Agenzia delle Entrate quando afferma che il pagamento di euro 100.000,00 (ammesso e non concesso che ci sia mai stato) da parte del contribuente non soddisfa i requisiti di legge per essere considerato una sopravvenienza passiva ex art. 66 (ora 101 co. 4°) T.U.1.R. e per essere deducibile ai sensi dall’art. 75 co. 1° (ora 109) T.U.I.R.. NOME COGNOME non aveva alcun obbligo giuridico di risarcire i danni per il cattivo investimento fatto dai signori NOME e COGNOME e, se lo ha fatto per liberalità, per convenienza o per altro motivo suo personale, non può portare in deduzione dalle imposte dirette la somma di euro 100.000,00 (ammesso e non concesso che l’abbia mai pagata)». Inoltre, i giudici di appello hanno evidenziato come «il difensore del contribuente (…) si è premurato di giustificare la troppo arrendevole transazione con il fatto che il consulente finanziario ha puntato soprattutto a non perdere due clienti molto facoltosi».
Con il terzo motivo di ricorso il contribuente denuncia, in relazione all’art. 360 , comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 101, comma 4, Tuir e dell’art. 2967 c.c., deducendo che la
CTR avrebbe erroneamente applicato le norme invocate, laddove non ha ritenuto che la sopravvenienza passiva, in quanto conseguente alla scrittura alla quale il ricorrente ha fatto seguire il relativo pagamento, avrebbe dovuto ritenersi pienamente deducibile.
3.1. Il motivo è inammissibile, in quanto, pur dedotto in relazione al vizio di violazione di legge, riveste natura meritale, profilandosi con tutta evidenza preordinato ad un nuovo esame delle risultanze istruttorie; la prospettazione si palesa finalizzata ad ottenere una valutazione delle prove e quindi un accertamento fattuale di segno opposto a quello espresso dalla CTR.
Con il quarto ed ultimo strumento di impugnazione, il ricorrente deduce , in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., «l’ omesso/erroneo esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussone tra le parti, anche alla luce della documentazione depositata». Deduce il ricorrente che «la CTR di Napoli avrebbe dovuto soltanto stabilire se un accordo stragiudiziale supportato dai bonifici bancari e dalla ulteriore documentazione certa precisa e concordante, rientrasse nella fattispecie delle s opravvenienze passive di cui all’art. 101 del Tuir » ed ancora che «La motivazione della sentenza, invece, si sofferma in una mera ispezione dell’accordo (presunte firme illeggibili, mancanza di una firma etc.), ma non fa alcun cenno alle circostanze, oggetto di prova documentale, della esistenza di una transazione finanziaria di euro 100.000,00 sulla base di un accordo stragiudiziale (per prevenire una lite anche potenziale, art. 1965 c.c.) datato e firmato dall’Avv. COGNOME (coniuge della signora COGNOME)».
4.1. Il motivo è inammissibile,
Va infatti ribadito che l’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 d.l. 22 giugno 2012 n. 83, conv. in L. 7 agosto 2012 n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della
sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli art. 366, 1 comma, n. 6, e 369, 2 comma, n. 4, c.p.c., il ricorrente deve indicare il «fatto storico», il cui esame sia stato omesso, il «dato», testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il «come» e il «quando» tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua «decisività», fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio denunciato qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. ex multis, Sez. un. 22/9/2014 n. 19881, Sez. un. 7/4/2014 n.8053; Cass. n. 27415 del 29/10/2018; di recente v. Cass. n. 9664/2023).
4.2. Nel caso di specie il ricorrente si limita a menzionare alcuni elementi, asseritamente decisivi, che sono stati invece compiutamente esaminati dai giudici di appello.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M .
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 4.100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 19/02/2025.