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Sopravvenienza passiva: onere della prova per la deduzione

Un promotore finanziario si è visto negare la deduzione di un costo di 100.000 euro, qualificato come sopravvenienza passiva, per un accordo transattivo con due clienti. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione, sottolineando che il contribuente non ha soddisfatto il rigoroso onere della prova necessario per dimostrare la certezza, l’inerenza e la base giuridica della spesa. La documentazione prodotta è stata ritenuta carente sia dal punto di vista formale che sostanziale, rendendo il costo non deducibile.

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Pubblicato il 14 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Sopravvenienza passiva: onere della prova per la deduzione fiscale

La deducibilità di una sopravvenienza passiva è un tema cruciale per professionisti e imprese. Un costo imprevisto può essere portato in deduzione dal reddito imponibile, ma a quali condizioni? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i rigorosi requisiti probatori che il contribuente deve soddisfare, pena il disconoscimento del costo da parte dell’Amministrazione Finanziaria. Il caso analizzato riguarda un promotore finanziario e un accordo transattivo, ma i principi espressi hanno una valenza generale.

I Fatti del Caso: Il Promotore Finanziario e l’Accordo Transattivo

Un promotore finanziario ha impugnato un avviso di accertamento relativo all’IRPEF per l’anno 2008. L’oggetto della controversia era il mancato riconoscimento della deduzione di una sopravvenienza passiva di 100.000 euro. Tale somma, secondo il professionista, era stata versata a due investitori a titolo di risarcimento per presunti danni derivanti da una sua consulenza finanziaria ritenuta ‘improvvida’.

Per giustificare la deduzione, il contribuente aveva prodotto una scrittura privata di transazione. Tuttavia, sia in primo grado che in appello, i giudici tributari avevano dato ragione all’Agenzia delle Entrate, negando la deducibilità del costo.

La Decisione della Corte: la Sopravvenienza Passiva e l’Onere della Prova

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del professionista, confermando la decisione dei giudici di merito. Il fulcro della decisione risiede nell’applicazione del principio dell’onere della prova, che in materia fiscale grava sul contribuente che intende far valere un costo deducibile.

Secondo la Corte, il contribuente non è riuscito a fornire una prova rigorosa e convincente della legittimità della spesa. La documentazione presentata, ovvero l’accordo transattivo, è stata giudicata inidonea a dimostrare i presupposti richiesti dalla legge per la deduzione.

La Mancanza di ‘Veridicità Sostanziale’

I giudici hanno evidenziato come l’accordo mancasse di ‘veridicità sostanziale’. La decisione non si è basata su un singolo difetto, come la mancanza di una firma, ma su una valutazione complessiva degli indizi che minavano la credibilità dell’operazione. Tra gli elementi critici figuravano:

* Natura dell’atto: Una scrittura privata stragiudiziale senza alcuna possibilità di riscontro esterno.
* Data incerta: L’accordo non presentava una data certa confermata da registrazione.
* Firme: Una delle tre firme necessarie era mancante e le altre due erano illeggibili.
* Assenza di formalità: L’accordo non era stato preceduto da alcuna richiesta ufficiale di risarcimento né da una trattativa documentata.
* Mancanza di assistenza legale: Le parti non erano assistite da avvocati o altri mediatori.

Motivazione dell’Atto vs. Prova in Giudizio

La Corte ha anche respinto la tesi secondo cui l’Agenzia delle Entrate avrebbe illegittimamente ‘integrato’ le motivazioni dell’accertamento in corso di causa. È stata ribadita una distinzione fondamentale: la motivazione dell’avviso di accertamento deve esporre chiaramente la pretesa (petitum e causa petendi), mettendo il contribuente in condizione di difendersi. La fase successiva, in giudizio, riguarda invece la prova di tali affermazioni, che segue le regole processuali ordinarie. L’Agenzia aveva contestato fin dall’inizio l’inidoneità della scrittura, pertanto non vi è stata alcuna modifica della contestazione originaria.

Le Motivazioni

La Corte ha concluso che il pagamento, anche se fosse stato effettivamente eseguito, non soddisfaceva i requisiti per essere considerato una sopravvenienza passiva deducibile ai sensi dell’art. 101 del TUIR. Mancava la prova di un obbligo giuridico a risarcire i danni. I giudici hanno ipotizzato che il pagamento potesse essere stato effettuato per altre ragioni, come ‘liberalità, convenienza o altro motivo personale’, ad esempio per non perdere due clienti facoltosi. Un pagamento effettuato per mera opportunità commerciale, e non in adempimento di un preciso obbligo legale, non costituisce un costo inerente all’attività d’impresa o professionale e, di conseguenza, non può essere dedotto fiscalmente.

Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale del diritto tributario: chi deduce un costo ha l’obbligo di provarne non solo l’effettività, ma anche la certezza, l’inerenza e la base giuridica. Per i professionisti e le imprese, la lezione è chiara: in caso di transazioni o accordi che generano costi, è indispensabile munirsi di una documentazione formale e sostanzialmente inattaccabile. Una semplice scrittura privata, priva di data certa, di firme complete e di un contesto formale che ne attesti la genuinità, rischia di essere considerata insufficiente dal Fisco, con la conseguente negazione della deduzione e l’applicazione di sanzioni.

Un costo derivante da un accordo transattivo è sempre deducibile fiscalmente?
No. È deducibile solo se il contribuente riesce a soddisfare un rigoroso onere della prova, dimostrando con documentazione certa e inequivocabile non solo l’avvenuto pagamento, ma anche l’esistenza di un obbligo giuridico sottostante che lo ha reso necessario, e non una mera scelta di convenienza.

Quali elementi hanno reso l’accordo transattivo in questo caso non credibile ai fini fiscali?
La Corte ha rilevato una serie di criticità: si trattava di un atto privato stragiudiziale senza riscontri, senza data certa, mancante di una firma e con le altre illeggibili, non preceduto da una richiesta formale di risarcimento e stipulato senza l’assistenza di legali.

È legittimo per l’Agenzia delle Entrate specificare in giudizio le ragioni di un accertamento già notificato?
Sì, la Corte distingue tra la motivazione dell’atto, che deve essere chiara fin dall’inizio per garantire il diritto di difesa, e la fase probatoria in giudizio, in cui l’Amministrazione fornisce le prove a sostegno della pretesa già delineata nell’avviso di accertamento, senza introdurre motivi nuovi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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