Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16092 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 16092 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: CORTESI NOME
Data pubblicazione: 16/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso n.r.g. 2388/2020, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore p.t., domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ex lege ;
– ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso, per procura allegata al controricorso, dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME i quali hanno indicato i rispettivi indirizzi di posta elettronica certificata
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 648/1/2018 della Commissione tributaria regionale del Molise, depositata il 3 ottobre 2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del l’8 maggio 2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
NOME COGNOME impugnò innanzi alla C.T.P. di Campobasso l’avviso di accertamento con il quale l’amministrazione aveva ripreso a tassazione maggiori redditi accertati ai fini Irpef per l’anno d’imposta 2009.
L’atto impositivo scaturiva dal rilievo del fatto che il contribuente aveva formulato istanza di definizione agevolata del proprio debito contributivo ex art. 6, comma 4bis , della l. n. 2/2009 -con il quale era stato esteso il beneficio della riduzione del 60% del debito Inps (con rateizzazione del residuo), già previsto per le vittime del sisma umbro-marchigiano del 1997, ai soggetti colpiti dal sisma nelle province di Campobasso e Foggia -senza contabilizzare la sopravvenienza attiva pari al debito stralciato.
La C.T.P. accolse il ricorso.
Il successivo gravame dell’amministrazione finanziaria fu respinto con la sentenza indicata in epigrafe.
I giudici d’appello ritennero che il debito Inps del contribuente non costituisse plusvalenza tassabile, trattandosi di provvidenza erogata dallo Stato e non di minor costo produttivo.
Avverso tale sentenza l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi; l’intimato ha depositato controricorso.
Inizialmente chiamata innanzi alla sezione sesta, la causa è stata rinviata per la trattazione in udienza sul presupposto della rilevanza della questione trattata.
All’adunanza camerale del 27 ottobre 2022 il giudizio è stato sospeso e rinviato a nuovo ruolo, poiché il Piunno, con istanza depositata il 12 ottobre 2022, aveva chiesto la sospensione del
processo, ai sensi dell’art. 10, comma 5, della l. n. 130 /2022, al fine di potere procedere alla presentazione dell’istanza di definizione agevolata del giudizio.
Il 4 settembre 2024 l’Agenzia delle entrate, rappresentando che non risultava il deposito di alcuna istanza di definizione agevolata, ha chiesto fissarsi udienza di discussione.
Considerato che:
Con il primo motivo l ‘Agenzi a ricorrente denunzia nullità della sentenza per contrasto con l’art. 36, comma 2, num. 4 del d.lgs. n. 546/1992, assumendo che la stessa sarebbe sorretta da motivazione apparente.
Con il secondo mezzo, mediante denunzia di violazione degli artt. 88 del d.P.R. n. 917/1986 (TUIR), e 6, comma 4bis , della l. n. 2/2009, l’Agenzia ricorrente censura nel merito la sentenza impugnata, osservando che, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici regionali, le sopravvenienze attive non conseguono solo al venir meno di un costo ma anche al parziale abbattimento di un onere preesistente.
Il primo motivo non è fondato.
3.1. Questa Corte ha ripetutamente affermato che il difetto di motivazione della sentenza ricorre allorquando il giudice -in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (art. 111, comma sesto, Cost.) e fissato dall’art. 132, secondo c omma, num. 4), cod. proc. civ. e dall’omologa previsione contenuta nell’art. 36, comma 2, n. 4), del d.lgs. n. 546/1992 per il processo tributario -omette di esporre (anche concisamente) i motivi in fatto e diritto della decisione.
Ciò si verifica quando non sono illustrate le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, ovvero non è chiarito su quali prove il giudice ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente
giudicato iuxta alligata et probata , e senza che a tal fine l’interprete debba integrare la decisione con le più varie, ipotetiche congetture (v. Cass. n. 30178/2023; Cass. n. 5335/2018; Cass. n. 2876/2017).
3.2. È noto, inoltre, che la sanzione di nullità colpisce non solo le sentenze del tutto prive di motivazione dal punto di vista grafico o quelle che presentano un «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» ovvero una «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile» (cfr. Cass. Sez. U, n. 8053/2014), ma anche quelle sorrette da una motivazione che, dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, è tuttavia tale da non consentire «di comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato» (così Cass. n. 4448/2014).
Si è in presenza, dunque, di una ‘motivazione apparente’ quando la stessa, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice, così da non attingere la richiamata soglia del ‘minimo costituzionale’.
In tale caso, la mera apparenza della motivazione è causa di nullità della sentenza, in quanto ne comporta il venir meno della finalità sua propria, che è quella di esternare un «ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo», logico e consequenziale, «a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi » (così Cass., Sez. U, n. 22232/2016).
3.3. Tale fattispecie non ricorre nel caso in esame.
La motivazione della sentenza è, infatti, pienamente comprensibile, perché i giudici d’appello hanno esposto, sia pur sinteticamente, le
ragioni per le quali hanno ritenuto che il debito contributivo Inps oggetto del beneficio ottenuto dal COGNOME non costituisse plusvalenza tassabile come minore costo.
In particolare, essi hanno ritenuto trattarsi di una mera «provvidenza erogata dallo Stato non riconducibile ad alcuna categoria di reddito soggetta a tassazione» e, per effetto della legge speciale che l’ha istituita, sottratta alla disposizione di cui all’art. 88 TUIR.
Hanno aggiunto, inoltre, che nella specie il contribuente non ha goduto «di un doppio beneficio in quanto trattasi di espressa agevolazione fiscale disposta dal legislatore in favore delle sole popolazioni colpite da eventi sismici ovvero calamità naturali».
Del resto, la sussistenza di una sufficiente motivazione è confermata dal fatto che l ‘Agenzi a ricorrente ha potuto svolgere ampie e puntuali difese nel merito.
È invece fondato il secondo motivo, in relazione al quale è sufficiente, in questa sede, richiamare il principio di diritto espresso da questa Corte nel decidere identica questione pendente fra le stesse parti, ma riferita a diverso anno d’imposta (Cass. n. 8623/2022), trattandosi di principio perfettamente applicabile anche al caso in questione: «La sopravvenuta riduzione al 40% degli oneri contributivi, per la definizione agevolata ex art. 6, comma 4bis , del d.l. n. 185 del 2008, determina, nel bilancio della contribuente che se ne avvalga, una parziale cancellazione di passività relative a precedenti esercizi cui corrisponde una sopravvenienza attiva, certa ed oggettivamente determinabile con l’accesso al beneficio a norma dell’art. 109 TUIR, la cui rilevanza fiscale, ex art. 88 TUIR, deriva dalla deducibilità degli stessi oneri».
Sulla base di tale principio, applicabile anche al rapporto qui in esame, il secondo motivo di ricorso va accolto.
La sentenza impugnata è cassata e, non occorrendo altri accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito con il rigetto dell’originario ricorso del contribuente.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Le spese dei gradi di merito possono essere interamente compensate.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigettato il primo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente; condanna il controricorrente al pagamento, in favore della ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 5.600,00, oltre alle spese prenotate a debito; compensa le spese dei gradi di merito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di