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Sopravvenienza attiva: quando va tassato un credito?

Una società ottiene una sentenza favorevole contro un istituto di credito. L’Agenzia delle Entrate contesta il mancato inserimento del credito come sopravvenienza attiva nell’anno di deposito della sentenza d’appello. La Corte di Cassazione accoglie il ricorso dell’Ufficio, stabilendo che il momento impositivo sorge con il deposito della sentenza che rende il credito certo e determinabile, a meno che la sua esecutività non sia sospesa, senza dover attendere il passaggio in giudicato.

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Pubblicato il 22 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Sopravvenienza attiva: quando va tassato un credito da sentenza?

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito un chiarimento fondamentale per le imprese, specificando il corretto momento impositivo di una sopravvenienza attiva derivante dal riconoscimento di un credito in sede giudiziale. La questione è cruciale: il reddito va dichiarato nell’anno in cui la sentenza viene depositata o bisogna attendere che diventi definitiva? La risposta della Suprema Corte privilegia un criterio di certezza giuridica ed economica, con importanti implicazioni pratiche per la redazione dei bilanci e le dichiarazioni dei redditi.

I fatti del caso

Una società in accomandita semplice aveva intentato una causa contro un istituto di credito per la restituzione di somme indebitamente pagate a titolo di interessi anatocistici. Il Tribunale di primo grado accoglieva la domanda della società nel 2006. Successivamente, la Corte d’Appello confermava la decisione con una sentenza depositata nel giugno 2009, che sarebbe poi diventata definitiva nel 2010 per mancata impugnazione.

L’Amministrazione Finanziaria, a seguito di una verifica, notificava alla società e, per trasparenza, ai suoi soci, un avviso di accertamento relativo all’anno d’imposta 2009. L’Ufficio riteneva che la società avrebbe dovuto dichiarare il credito riconosciuto dalla Corte d’Appello come sopravvenienza attiva in quell’anno, ovvero l’anno del deposito della sentenza di secondo grado. La società e i soci impugnavano l’atto, sostenendo che il momento impositivo dovesse coincidere con l’anno in cui la sentenza era passata in giudicato, cioè il 2010. Le commissioni tributarie di merito davano ragione al contribuente, ma l’Amministrazione Finanziaria ricorreva in Cassazione.

La tassazione della sopravvenienza attiva secondo la Cassazione

La Suprema Corte ha ribaltato la decisione dei giudici di merito, accogliendo il ricorso dell’Ufficio. Il fulcro della decisione si basa sull’interpretazione dell’articolo 109 del TUIR, che disciplina il principio di competenza per la determinazione del reddito d’impresa.

La Corte ha stabilito un principio di diritto chiaro e dirimente: una sopravvenienza attiva che deriva dal riconoscimento giudiziale di un credito (o dal disconoscimento di un debito) deve essere dichiarata nell’anno d’imposta in cui la sentenza che afferma tale credito viene depositata. È in quel momento, infatti, che la componente positiva di reddito diventa “certa nella sua esistenza e obiettivamente determinabile”, come richiesto dalla norma fiscale.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha spiegato che non è necessario attendere il passaggio in giudicato della sentenza. Il requisito della certezza, ai fini fiscali, è soddisfatto con il deposito del provvedimento giudiziale che quantifica il credito. La possibilità che la sentenza venga riformata nei successivi gradi di giudizio non inficia questa certezza iniziale; un’eventuale modifica negativa, infatti, si configurerebbe come una sopravvenienza passiva, da dedurre nell’esercizio in cui si verificherà.

Un elemento chiave della decisione è legato all’esecutività della sentenza. La tassazione al momento del deposito è corretta a condizione che l’efficacia esecutiva della sentenza non sia stata sospesa. Se la sentenza è esecutiva, anche solo in via provvisoria, il contribuente ha la possibilità, almeno potenziale, di conseguire concretamente il credito. Questo concreto potere di disposizione giustifica l’imputazione a reddito nell’esercizio di competenza.

Inoltre, la Corte ha respinto la tesi del contribuente relativa alla violazione del contraddittorio preventivo. I giudici hanno ribadito che, per i tributi non armonizzati come le imposte sui redditi, non esiste un obbligo generalizzato per l’Amministrazione Finanziaria di instaurare un contraddittorio prima di emettere l’atto impositivo, soprattutto quando si è ancora nella fase di raccolta delle informazioni.

Le conclusioni

L’ordinanza in esame offre un’indicazione operativa di grande importanza per le imprese. Le aziende che ottengono una sentenza favorevole per il riconoscimento di un credito devono prestare la massima attenzione al momento della sua tassazione. Il reddito corrispondente va imputato all’esercizio in cui la sentenza viene depositata, e non a quello in cui diventa definitiva. È fondamentale, quindi, monitorare l’esito dei contenziosi e verificare se l’efficacia esecutiva della sentenza sia stata o meno sospesa, per adempiere correttamente agli obblighi dichiarativi ed evitare future contestazioni da parte del Fisco. Questa decisione sottolinea come la certezza richiesta dalla normativa fiscale abbia una natura prevalentemente economica e giuridica, legata alla formazione del titolo, piuttosto che alla sua irrevocabilità processuale.

Quando un credito riconosciuto da una sentenza diventa tassabile come sopravvenienza attiva?
Diventa tassabile nell’anno d’imposta in cui la sentenza che lo riconosce viene depositata, a condizione che la sua efficacia esecutiva non sia stata sospesa.

È necessario attendere che la sentenza diventi definitiva (passi in giudicato) prima di dichiarare il reddito?
No, non è necessario. Secondo la Corte, il momento fiscalmente rilevante è il deposito della sentenza che rende il credito certo e determinabile. Un’eventuale successiva riforma della decisione costituirebbe una sopravvenienza passiva da considerare in un momento successivo.

L’Amministrazione Finanziaria è sempre obbligata a un contraddittorio preventivo prima di emettere un avviso di accertamento?
No. La Corte ha chiarito che, per i tributi non armonizzati come le imposte sui redditi, non sussiste un obbligo generale di contraddittorio preventivo a pena di invalidità dell’atto, in particolare nella fase di raccolta delle informazioni e degli elementi di prova.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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