Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 11917 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 11917 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: CORTESI NOME
Data pubblicazione: 06/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso n.r.g. 2611/2022, proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato e domiciliata presso i suoi uffici a ROMA, in INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rapp.te p.t. NOME COGNOME, nonché RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE di COGNOME RAGIONE_SOCIALE), in persona del legale rapp.te p.t. NOME COGNOME, COGNOME RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME , in persona del legale rapp.te p.t. NOME COGNOME, queste ultime nella loro qualità di soci di RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE tutti rappresentati e difesi, per procura speciale allegata al controricorso, dall’Avv. NOME COGNOME il quale indica il proprio indirizzo Pec;
-controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1902/2021 della Commissione tributaria regionale della Puglia, sezione staccata di Lecce, depositata il 14 giugno 2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 6 febbraio 2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
L’Agenzia delle Entrate notificò a RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (d’innanzi: «RAGIONE_SOCIALE») l’avviso di accertamento num. TVM020102177/2014, con il quale, sul rilievo di una condotta di dichiarazione infedele relativa all’anno di imposta 2009, irrogava sanzione amministrativa nella misura di € 258,00.
Il maggior reddito accertato venne imputato per trasparenza, con separati avvisi, ai soci delle compartecipi CoRAGIONE_SOCIALE di COGNOME RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE, nonché al partecipe NOME COGNOME.
La rettifica del reddito scaturiva dal processo verbale di constatazione del 9 marzo 2010, dal quale era emerso che La COGNOME , in relazione all’anno 2007, non aveva dichiarato le sopravvenienze attive rappresentate dalla restituzione, in suo favore, di somme che essa aveva versato a un istituto di credito, risultate riconducibili a debiti per interessi a tasso anatocistico.
La restituzione, in particolare, era stata dapprima disposta dal Tribunale di Lecce con sentenza dell’11 ottobre 2006, in esito alla quale, fra il 2006 e il 2007, la banca debitrice aveva versato una parte delle somme oggetto di condanna; la società, tuttavia, non aveva dichiarato gli importi percepiti nel 2007, ricevendo così la
notifica di un primo avviso di accertamento che aveva definito in adesione.
La decisione del Tribunale era poi stata confermata dalla Corte d’Appello di Lecce con sentenza del 25 giugno 2009, in esito alla quale la società aveva notificato alla banca un atto di precetto per il recupero del residuo credito, pari ad € 417.794,98; di qui la pretesa creditoria a monte della presente vicenda.
La società e i soci impugnarono l’atto impositivo innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Lecce, che accolse il ricorso; il successivo appello erariale fu poi respinto con la sentenza indicata in epigrafe.
I giudici regionali ritennero che NOME COGNOME avesse correttamente imputato la componente positiva di reddito all’anno di imposta 2010, poiché in tale anno si era formato il giudicato sulla sentenza della Corte d’Appello di Lecce che ne aveva affermato il credito restitutorio.
Era dunque con riguardo a tale momento che andava individuata la manifestazione dell’entrata finanziaria, in ossequio al principio di competenza stabilito dall’art. 15 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, e la conseguente possibilità di «utilizzazione del bene» da parte della società.
Osservarono, inoltre, che l’accertamento era esitato da una verifica relativa all’anno di imposta 2007 e che, dunque, la determinazione erariale di estendere la ripresa ad un’annualità successiva, debordando «dal compito e dalla direttiva assegnata dalla direzione» integrava una «violazione del contraddittorio anticipato».
Ritennero, infine, che l’Ufficio fosse meritevole di condanna al pagamento delle spese di lite per entrambi i gradi del giudizio di merito.
La sentenza d’appello è stata impugnata dall’Agenzia delle Entrate con ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.
Le parti intimate hanno depositato controricorso.
Considerato che:
Con il primo motivo l’Agenzia delle Entrate denunzia violazione degli artt. 109 del d.P.R. 31 dicembre 1986, n. 917 (TUIR) e 2697 cod. civ.
La sentenza impugnata è sottoposta a critica nella parte in cui ha giustificato la mancata imputazione della componente positiva di reddito al l’anno d’imposta 2009, ritenendola di pertinenza dell’anno successivo.
Secondo la ricorrente occorreva, invece, fare riferimento all’anno nel quale la sentenza era stata depositata; la sopravvenienza attiva costituita da un credito riconosciuto in giudizio deve infatti imputarsi -per il principio in base al quale i componenti positivi concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza all’annualità nella quale l’importo oggetto di sopravvenienza è divenuto certo nella sua esistenza e nel suo esatto ammontare.
Tale impostazione, del resto, era stata fatta propria dalla stessa società contribuente, la quale, dopo la sentenza del Tribunale di Lecce, ancorché non definitiva, aveva dichiarato i proventi straordinari incassati nell’anno 2006 e aderito alla ripresa a tassazione concernente quelli incassati e non dichiarati nell’anno 2007.
Il secondo mezzo d’impugnazione denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 10, comma 1, e 12, comma 2, della l. 27 luglio 2000, n. 212.
La sentenza d’appello è censurata nella parte in cui ha ritenuto illegittimo l’atto impositivo , in quanto scaturito da una verifica
concernente l’anno 2007 che non poteva estendersi a un’annualità successiva.
La ricorrente contesta tale ricostruzione, osservando che la verifica, conclusasi col p.v.c. del 9 marzo 2010, aveva fatto emergere la possibile incidenza degli elementi acclarati per l’anno d’imposta 2007 anche su periodi successivi ; tant’è che l’atto impositivo era stato preceduto dall’invio dell’apposito questionario informativo, in esito al quale, tuttavia, NOME COGNOME non aveva presentato alcuna memoria o documentazione contabile.
Il terzo motivo, infine, concerne la statuizione sulle spese.
La ricorrente evidenzia la contraddittorietà intrinseca della sentenza impugnata, la quale, dopo aver rigettato il motivo di gravame con il quale era contestata la misura delle spese liquidate in primo grado in favore della contribuente, ha provveduto ad una nuova liquidazione delle spese per entrambi i gradi di merito.
Rappresenta, inoltre, che l’importo liquidato appare manifestamente incongruo rispetto all’effettivo valore della controversia (avuto riguardo al fatto che il maggior reddito d’impresa era stato imputato ai soci e che, pertanto, l’atto impositivo concerneva la sola sanzione), risultando notevolmente superiore alla misura massima riconoscibile.
Vanno anzitutto esaminate le questioni preliminari sollevate dai controricorrenti.
4.1. Questi ultimi, in particolare, hanno evidenziato la pendenza, oltre al presente giudizio, di quelli originati dalle impugnazioni degli avvisi di accertamento notificati ai partecipi, nonché ‘a cascata’ ai soci di questi, ai sensi dell’art. 5 del TUIR , sottolineando che tali giudizi sono stati tutti trattati separatamente e «decisi in maniera sostanzialmente conforme nella stessa udienza e dal medesimo collegio».
Sulla base di tale presupposto, i controricorrenti hanno anzitutto chiesto che sia disposta la riunione dei giudizi.
Inoltre, hanno rilevato che, nel giudizio relativo alla posizione di uno dei soci della partecipe RAGIONE_SOCIALE , l’Ufficio non aveva ritualmente impugnato la sentenza d’appello favorevole al contribuente; su tale sentenza era dunque sceso il giudicato del quale, conformemente alla giurisprudenza di questa Corte, tutti i restanti soci e la società-madre potevano beneficiare, con conseguente rilievo dell’inammissibilità del presente ricorso.
4.2. Entrambe le richieste vanno disattese.
Quanto all’istanza di riunione, è certamente vero che, in caso di rettifica della dichiarazione dei redditi di una società di persone e dei soci per imputazione, «il ricorso proposto da uno dei soci o dalla società avverso anche un solo avviso di rettifica riguarda inscindibilmente sia la società che tutti i soci, salvo che questi prospettino questioni personali», poiché la controversia ha ad oggetto gli elementi comuni della fattispecie e si configura, così, un caso di litisconsorzio necessario (Cass. Sez. U, n. 14815/2008 e numerose altre seguenti).
Nondimeno, questa Corte ha affermato che la riunione può non essere disposta -senza che ciò arrechi pregiudizio effettivo per le parti, anche ove si tratti di litisconsorti -quando, come nella specie, i giudizi relativi a società e soci siano oggetto di trattazione simultanea, con identità sostanziale delle difese, caratterizzate dalla piena consapevolezza di ciascuna parte processuale dell ‘ esistenza e del contenuto dell ‘ atto impositivo notificato alle altre parti, e delle conseguenti decisioni (così dapprima Cass. n. 3830/2010; in seguito, fra le numerose altre, Cass. n. 10270/2024; Cass. n. 19402/2022; Cass. n. 36001/2021; Cass. n. 6135/2020).
Ed invero, tutte le controversie in questione sono giunte a trattazione simultanea innanzi a questa Corte, nella medesima udienza e davanti al medesimo Collegio, il quale ritiene opportuno non procedere a riunione neppure in questa sede, essendo necessario, in relazione a taluni profili della complessiva vicenda, differenziare le posizioni dei partecipi.
4.3. Le stesse considerazioni valgono a ritenere infondata anche l’ eccezione di giudicato.
I controricorrenti, infatti, hanno invocato l’estensione in loro favore della pronuncia di annullamento dell’atto impositivo che ha riguardato uno dei soci di una compartecipe, deducendo l’operatività del meccanismo di cui all’art. 1306 cod. civ.
È tuttavia noto, e questa Corte lo ha più volte affermato con specifico riguardo al debito tributario di società e soci (cfr., in particolare, Cass. Sez. U, n. 14815/2008 in motivazione), che tale meccanismo opera in relazione ai litisconsorti rimasti estranei al giudizio, dei quali è stato violato il diritto di difesa a causa della mancata instaurazione del contraddittorio.
Nella specie, tuttavia, non vi è stata alcuna violazione del contraddittorio nei confronti dei litisconsorti, per effetto della trattazione simultanea delle controversie nei termini più sopra descritti.
Il giudicato, infatti, si è formato in relazione ad uno dei condebitori in conseguenza del fatto che l’Ufficio non ha tempestivamente impugnato la sentenza d’appello resa in suo favore, mentre i restanti giudizi, concernenti gli altri condebitori, sono regolarmente proseguiti fino alla presente sede; sul piano effettuale, pertanto, la fattispecie va equiparata al giudicato che concerne una causa non estensibile e che, come tale, fa stato a ogni
effetto fra le sole parti di quello specifico giudizio, in conformità al disposto dell’art. 2909 cod. civ.
La presente controversia, peraltro, riguarda la sola sanzione (irrogata a La Leopizzi) e non la ripresa a tassazione per il maggior reddito, interamente imputato per trasparenza ai soci delle compartecipi.
Ciò premesso, e passando allo scrutinio delle censure, il primo motivo è fondato, seppur per le ragioni, parzialmente diverse da quelle addotte dalla ricorrente, che si esporranno.
È opportuno, in tal senso, riassumere la cornice fattuale della pretesa impositiva, per come emerge dai fatti accertati nei gradi di merito e comunemente attestati dalle parti in questa sede.
5.1. L’omessa dichiarazione a monte della rettifica riguarda il venir meno di una precedente posta passiva della società contribuente, rappresentata dal debito per interessi che gravava su di essa in forza di un contratto di conto corrente bancario.
Di tale debito, la società aveva agito in giudizio per ottenere l’accertamento negativo , deducendo la natura anatocistica della clausola sul saggio di interesse, e la conseguente condanna della banca alla restituzione delle somme indebitamente percette.
All’esito del giudizio di primo grado, il Tribunale di Lecce aveva accolto la domanda con sentenza dell’11 ottobre 2006, in seguito alla quale la banca debitrice aveva provveduto ad alcuni pagamenti parziali fra il 31 ottobre 2006 e il 6 febbraio 2007; la stessa banca aveva nel frattempo appellato la sentenza, ottenendone la parziale sospensione con riduzione dell’efficacia esecutiva; il giudizio di appello si era poi concluso con la sentenza della Corte territoriale di Lecce depositata il 25 giugno 2009, evidentemente esecutiva, che aveva integralmente confermato la decisione di primo grado e che nel 2010 era poi divenuta definitiva per mancata impugnazione.
Durante il susseguirsi di tali vicende giudiziarie, peraltro, la società aveva regolarmente dichiarato le somme incassate il 31 ottobre 2006, e definito con adesione la ripresa a tassazione delle somme incassate e non dichiarate nel 2007.
5.2. Poste tali coordinate, va osservato che la giurisprudenza di questa Corte afferma, con orientamento consolidato, che una sopravvenienza attiva dev’essere assoggettata ad imposizione con riferimento all’esercizio in cui la posta attiva acquista certezza (così più di recente, e fra le numerose altre, Cass. n. 3901/2023; Cass. n. 24580/2022; Cass. n. 1508/2020).
In linea con tale impostazione è stato poi chiarito che, laddove la sopravvenienza consista nel venir meno di un costo già contabilmente rappresentato, rileva il momento in cui si è acquisita la giuridica certezza dell ‘ inesistenza della posta passiva, vale a dire quello in cui «si è verificato il fatto di gestione che ha prodotto il venir meno» della stessa (così Cass. n. 20608/2023).
Su tali basi, allora, nelle ipotesi in cui la sopravvenienza attiva discende dal riconoscimento giudiziale di un credito (o dal disconoscimento di un debito preesistente, come nella specie) occorre aver riguardo al momento del deposito del provvedimento.
È infatti con il deposito che la posta attiva (o il venir meno della posta passiva) assume una connotazione che corrisponde al canone di «certezza nell’esistenza ed obiettiva determinabilità» stabilito dall’art. 109, comma 1, del TUIR ai fini dell’imputabi lità a reddito di una componente positiva: la venuta ad esistenza del credito si determina per effetto del formarsi del titolo giudiziale, che contiene anche la sua liquidazione.
5.3. Non sfugge al Collegio il fatto che, seppur al diverso fine di statuire in punto ai presupposti di operatività del meccanismo della compensazione giudiziale, questa Corte (Cass. Sez. U, n.
23225/2016) ha affermato che il requisito della certezza di un credito comporta che il relativo accertamento da parte del giudice sia divenuto definitivo.
In proposito, occorre tuttavia rilevare che il requisito della certezza sull’esistenza delle componenti di reddito, di cui al citato art. 109, comma 1, del TUIR, dev’essere verificato sulla base di criteri essenzialmente economici; in particolare, la relazione illustrativa a detta ultima norma (già art. 75 TUIR) affermava che «la ragionevole certezza circa i ricavi e i costi si verifica nel momento in cui le tecniche aziendali ritengono definitivamente formata la componente di reddito, affidando al meccanismo delle sopravvenienze attive e passive le successive, pur sempre possibili, correzioni di importo».
In coerenza con tale impostazione, non pare allora che debba attribuirsi efficacia incisiva alla circostanza del passaggio in giudicato della sentenza (né, in senso contrario, a l fatto che l’eventuale prosieguo del contenzioso possa condurre a un diverso risultato), poiché un’eventuale mo difica della decisione nei successivi gradi di giudizio realizzerebbe una sopravvenienza passiva, idonea anch’essa a concorrere alla formazione del reddito ai sensi dell’articolo 101 del TUIR.
5.4. Ciò posto, si impone tuttavia un ulteriore ordine di considerazioni.
Vi sono, infatti, dei casi nei quali la venuta ad esistenza della sopravvenienza attiva, ancorché certa e determinata nel suo ammontare, non coincide con il suo conseguimento da parte del contribuente; e ciò in quanto la circostanza che la determina è, per sua stessa natura, soggetta all’incidenza di un fenomeno ontologicamente ostativo a che essa concorra effettivamente a formare il reddito nell’esercizio di impresa.
In questo senso, ad esempio, è stato affermato che una sopravvenienza costituita da un rimborso di imposta non può ritenersi conseguita nel momento in cui il diritto al rimborso viene riconosciuto, ma soltanto al termine del procedimento diretto all’emissi one del provvedimento di rimborso; in questo procedimento, infatti, occorre accertare l ‘ inesistenza di debiti d ‘ imposta del contribuente, in presenza dei quali l’ ammontare del rimborso già riconosciuto potrebbe ridursi, quando non anche annullarsi (v. Cass. n. 13948/2008).
In tali casi rientra anche la sopravvenienza che discende dal riconoscimento di un credito con sentenza.
Laddove, infatti, l’efficacia esecutiva di quest’ultima sia sospesa nelle more del giudizio di appello o di quello per cassazione (ricorrendo i presupposti rispettivamente previsti dagli artt. 283 e 373 cod. proc. civ.), la sopravvenienza attiva non potrebbe certamente ritenersi conseguita nell’esercizio corrispondente, se coperto dagli effetti del provvedimento di sospensione.
Di tanto, del resto, sembra avveduta anche la stessa Amministrazione, la quale -diversamente opinando -avrebbe dovuto rettificare il reddito della società per l’intero ammontare del credito riconosciutole già dopo la sentenza di primo grado, anziché riprendere a tassazione il solo importo corrispondente alle somme che questa aveva effettivamente percepito, prima della sospensione parziale dell’efficacia di detta sentenza .
5.5. Appare allora opportuno, in linea con le considerazioni appena svolte, operare una precisazione, nel senso di attribuire rilevanza, ai fini dell’imputazione a reddito della sopravvenienza attiva, anche al fatto che non sussistano ostacoli al suo concreto conseguimento da parte del contribuente.
Ciò significa che, in ipotesi caratterizzate dalla venuta ad esistenza della posta attiva quale conseguenza di una sentenza, è sufficiente che sia intervenuta la decisione, occorrendo tuttavia, al contempo, che l’efficacia esecutiva della stessa non sia st ata sospesa, sì da consentire, quantomeno in via potenziale, l’effettivo conseguimento della posta nel reddito del contribuente.
Può dunque essere formulato il seguente principio di diritto:
«In tema di imposte sui redditi, le sopravvenienze attive che derivano dal riconoscimento di un credito -o dal disconoscimento di un debito preesistente -in sede giudiziale devono essere dichiarate nell’anno di imposta in cui la sentenza che afferma il credito o disconosce il debito è stata depositata, che costituisce il momento nel quale la posta attiva diviene certa nella sua esistenza e obiettivamente determinabil e, ai sensi dell’art. 109 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e sempreché l’efficacia ese cutiva della sentenza di condanna non sia stata nel frattempo sospesa».
Anche il secondo motivo è fondato.
Al riguardo, basti osservare che, vertendosi in procedimento accertativo relativo a tributi non armonizzati, l’Amministrazione finanziaria non era gravata da alcun onere di preventiva instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale a pena di invalidità dell’atto impositivo, tantomeno nel m omento della raccolta delle informazioni e degli elementi di prova (cfr. ex plurimis Cass. Sez. U, n. 24823/2015).
La fondatezza dei primi due motivi comporta l’accoglimento del ricorso.
La sentenza impugnata è cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito con il rigetto dell’originario ricorso de lle società contribuenti.
Le spese del presente giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Le spese dei due gradi di merito possono essere interamente compensate, restando in tale statuizione assorbito l’esame del terzo motivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso in relazione al primo e al secondo motivo, assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso delle società contribuenti.
Condanna le controricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in € 300,00 oltre spese prenotate a debito.
Compensa le spese dei gradi di merito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte