Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 11923 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 11923 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: CORTESI NOME
Data pubblicazione: 06/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso n.r.g. 2597/2022, proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato e domiciliata presso i suoi uffici a ROMA, in INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
COGNOME RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME in persona del legale rapp.te p.t. NOME COGNOME rappresentata e difesa , per procura speciale allegata al controricorso, dall’Avv. NOME COGNOME il quale ha indicato l’indirizzo di posta elettronica certificata EMAIL
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 1908/2021 della Commissione tributaria regionale della Puglia, sezione staccata di Lecce, depositata il 14 giugno 2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 6 febbraio 2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
1. COGNOME Gaetano RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME impugnò innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Lecce l’avviso di accertamento num. TVM020102307/2014, con il quale l’Amministrazione, sul rilievo di una condotta di dichiarazione infedele relativa all’anno di imposta 2009 commessa dalla società partecipata RAGIONE_SOCIALE (d’innanzi ‘RAGIONE_SOCIALE‘ o ‘la RAGIONE_SOCIALE‘), le aveva irrogato la sanzione amministrativa di € 258,00.
A sostegno dell’impugnazione la contribuente dedusse l’illegittimità, sotto diversi profili, dell’atto impositivo notificato a lla società partecipata.
Il reddito della società-madre, in particolare, era stato rettificato in seguito al rilievo dell’omessa dichiarazione di sopravvenienze attive per gli anni d’imposta 2007 e 2009, costituite da somme che essa aveva in un primo tempo corrisposto a un istituto di credito in forza di un rapporto di conto corrente, e delle quali era stata successivamente ordinata in giudizio la restituzione in quanto concernenti debiti per interessi a tasso anatocistico.
La restituzione era stata dapprima disposta dal Tribunale di Lecce con sentenza dell’11 ottobre 2006, in esito alla quale, fra il 2006 e il 2007, la banca debitrice aveva versato una parte delle somme oggetto di condanna; NOME COGNOME, tuttavia, non aveva dichiarato gli importi
percepiti nel 2007, ricevendo così la notifica di un primo avviso di accertamento che aveva definito in adesione.
La decisione del Tribunale era poi stata confermata dalla Corte d’Appello di Lecce con sentenza del 25 giugno 2009, in esito alla quale la società-madre aveva notificato alla banca un atto di precetto per il recupero del residuo credito, pari ad € 417.794, 98; di qui la pretesa creditoria a monte della presente vicenda.
La C.T.P. adìta accolse il ricorso.
Il successivo appello erariale è stato respinto con la pronunzia indicata in epigrafe.
Detta pronunzia richiama integralmente la sentenza d’appello resa, in pari data, nel giudizio fra l’Amministrazione finanziaria e la RAGIONE_SOCIALE, favorevole a quest’ultima .
L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.
L ‘intimat a ha resistito con controricorso.
Considerato che:
1. Il primo motivo denunzia nullità della sentenza per violazione dell’art. 111 della Costituzione e dell’art. 132 cod. proc. civ.
L’Agenzia ricorrente si duole del fatto che la C.T.R. abbia statuito facendo integrale rinvio ad altra decisione, non definitiva, della quale non ha né riprodotto né richiamato il contenuto, in modo tale da consentire l’individuazione delle ragioni che l’a vevano supportata.
Con il secondo motivo è dedotta violazione degli artt. 109 del d.P.R. 31 dicembre 1986, n. 916 (‘TUIR’), e 2697 cod. civ.
La critica ha ad oggetto la sentenza d’appello resa nei confronti della società-madre, di cui al primo motivo, nella parte in cui ha giustificato la mancata imputazione della componente positiva al
reddito per l’anno 2009, ritenendola di pertinenza dell’anno d’imposta successivo.
Quella sentenza, in particolare, aveva rilevato che la restituzione delle somme in favore della società era stata disposta dalla Corte d’Appello di Lecce con decisione divenuta definitiva nel 2010; a tale annualità, pertanto, doveva farsi riferimento per individuare il momento di «utilizzazione del bene» che, per condivisa interpretazione, determina il periodo d’imposta nel quale imputare a reddito le sopravvenienze.
Secondo la ricorrente, invece, occorreva fare riferimento all’anno precedente, nel quale la sentenza era stata depositata, perché in tale momento l’importo oggetto di sopravvenienza era divenuto certo nella sua esistenza e nel suo esatto ammontare; tant’è che La COGNOME -ricevuti acconti sul suo credito nell’anno 2007, dopo la sentenza di primo grado -aveva subìto un recupero a tassazione per la sopravvenienza attiva non dichiarata, che aveva definito in adesione con il versamento del dovuto.
Infine, con il terzo motivo l’Agenzia ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 10, comma 1, e 12, comma 2, della l. 27 luglio 2000, n. 212.
La sentenza concernente la società-madre è censurata nella parte in cui ha ritenuto illegittimo l’atto impositivo in quanto scaturito da una verifica concernente l’anno 2007 e poi esteso ad un’annualità successiva.
L’Amministrazione contesta tale ricostruzione, osservando che la verifica, conclusasi con p.v.c. del 9 marzo 2010, aveva fatto emergere la possibile incidenza degli elementi acclarati per l’anno d’imposta 2007 anche su annualità successive; tant’è che l’at to impositivo era stato preceduto dall’invio di apposito questionario informativo, in esito
al quale, tuttavia, La COGNOME non aveva presentato alcuna memoria o documentazione contabile.
Vanno anzitutto esaminate le questioni preliminari sollevate dalla controricorrente.
4.1. Questa, in particolare, ha posto in rilievo la pendenza, oltre al presente giudizio, di quelli originati dalle impugnazioni degli avvisi di accertamento notificati alla società-madre e agli altri partecipi, nonché ‘a cascata’ ai soci di questi, ai sensi dell’art. 5 del TUIR, sottolineando che tali giudizi sono stati tutti trattati separatamente e «decisi in maniera sostanzialmente conforme nella stessa udienza e dal medesimo collegio».
Sulla base di tale presupposto, essa ha anzitutto chiesto che sia disposta la riunione dei giudizi.
Inoltre, ha rilevato che, nel giudizio relativo alla posizione di uno dei suoi soci (al quale, dopo la notifica dell’atto impositivo, erano subentrati gli eredi), l’Ufficio non aveva ritualmente impugnato la sentenza d’appello favorevole al contribuente; s u tale sentenza era dunque sceso il giudicato del quale, conformemente alla giurisprudenza di questa Corte, tutti i restanti soci e la società-madre potevano beneficiare, con conseguente rilievo dell’inammissibilità del presente ricorso.
4.2. Entrambe le richieste vanno disattese.
Quanto all’istanza di riunione, è certamente vero che, in caso di rettifica della dichiarazione dei redditi di una società di persone e dei soci per imputazione, «il ricorso proposto da uno dei soci o dalla società avverso anche un solo avviso di rettifica riguarda inscindibilmente sia la società che tutti i soci, salvo che questi prospettino questioni personali», poiché la controversia ha ad oggetto gli elementi comuni della fattispecie e si configura, così, un caso di
litisconsorzio necessario (Cass. Sez. U, n. 14815/2008 e numerose altre seguenti).
Nondimeno, questa Corte ha affermato che la riunione può non essere disposta -senza che ciò arrechi pregiudizio effettivo per le parti, anche ove si tratti di litisconsorti -quando, come nella specie, i giudizi relativi a società e soci siano oggetto di trattazione simultanea, con identità sostanziale delle difese, caratterizzate dalla piena consapevolezza di ciascuna parte processuale dell ‘ esistenza e del contenuto dell ‘ atto impositivo notificato alle altre parti, e delle conseguenti decisioni (così dapprima Cass. n. 3830/2010; in seguito, fra le numerose altre, Cass. n. 10270/2024; Cass. n. 19402/2022; Cass. n. 36001/2021; Cass. n. 6135/2020).
Ed invero, tutte le controversie in questione sono giunte a trattazione simultanea innanzi a questa Corte, nella medesima udienza e davanti al medesimo Collegio, il quale ritiene opportuno non procedere a riunione neppure in questa sede, essendo necessario, in relazione a taluni profili della complessiva vicenda, differenziare le posizioni dei partecipi.
4.3. Le stesse considerazioni valgono a ritenere infondata anche l’eccezione di giudicato.
La controricorrente, infatti, ha invocato l’estensione in suo favore della pronuncia di annullamento dell’atto impositivo che ha riguardato uno dei suoi soci, destinatario di ripresa a tassazione per trasparenza, deducendo l’operatività del meccanismo di cui all’art. 1306 cod. civ.
È tuttavia noto, e questa Corte lo ha più volte affermato con specifico riguardo al debito tributario di società e soci (cfr., in particolare, Cass. Sez. U, n. 14815/2008 in motivazione), che tale meccanismo opera in relazione ai litisconsorti rimasti estranei al
giudizio, dei quali è stato violato il diritto di difesa a causa della mancata instaurazione del contraddittorio.
Nella specie, tuttavia, non vi è stata alcuna violazione del contraddittorio nei confronti dei litisconsorti, per effetto della trattazione simultanea delle controversie nei termini più sopra descritti.
Il giudicato, infatti, si è formato in relazione al socio ( recte : ai suoi eredi) in conseguenza del fatto che l’Ufficio non ha tempestivamente impugnato la sentenza d’appello resa in suo favore, mentre i restanti giudizi, concernenti gli altri condebitori, sono regolarmente proseguiti fino alla presente sede; sul piano effettuale, pertanto, la fattispecie va equiparata al giudicato che concerne una causa non estensibile e che, come tale, fa stato a ogni effetto fra le sole parti di quello specifico giudizio , in conformità al disposto dell’art. 2909 cod. civ.
La presente controversia, peraltro, riguarda la sola sanzione (irrogata alla società) e non la ripresa a tassazione per il maggior reddito, interamente imputato per trasparenza ai soci.
Ciò premesso, e passando all’esame del ricorso, il primo motivo non è fondato.
5.1. Non sfugge al Collegio che questa Corte, chiamata a scrutinare la validità della sentenza con motivazione redatta mediante il richiamo di un provvedimento reso in un diverso giudizio, ha ritenuto necessario, in alcuni casi, che la sentenza resti ‘autosufficiente’, riproducendo i contenuti mutuati e rendendoli oggetto di autonoma valutazione critica nel contesto della diversa causa, in modo da consentire la verifica della sua compatibilità logico-giuridica; dal che la nullità, ai sensi dell’art. 360, comma primo, num. 4, cod. proc. civ., della sentenza che si sia limitata alla mera indicazione dell ‘ esistenza del provvedimento richiamato, senza esporne il contenuto e senza
compiere alcun apprezzamento delle argomentazioni assunte nell’altro giudizio e della loro pertinenza e decisività rispetto ai temi dibattuti dalle parti (cfr., ad es., Cass. n. 459/2022).
5.2. Tanto, ad avviso della stessa giurisprudenza, è tuttavia finalizzato al rispetto della necessità -anch’essa più volte affermata da questa Corte in riferimento all’obbligo di motivazione dei provvedimenti -che la decisione consenta «l’individuazione delle ragioni poste a fondamento del dispositivo» ( ibidem ).
Così, ad esempio, è stata ritenuta immune da nullità la sentenza motivata mediante rinvio ad altro precedente dell’ufficio reso tra le stesse parti «in quanto il riferimento ai ‘ precedenti conformi ‘ contenuto nell ‘ art. 118 disp. att. cod. proc. civ. non deve intendersi limitato ai precedenti di legittimità, ma si estende anche a quelli di merito, ricercandosi per tale via il beneficio di schemi decisionali già compiuti per casi identici o per la risoluzione di identiche questioni, nell’ambito di un più ampio disegno di riduzione dei tempi del processo civile» (così Cass. n. 29017/2021).
In questi casi, continua peraltro l’ultima pronunzia citata, la motivazione del precedente costituisce parte integrante della decisione, tanto che, ove una parte intenda impugnarla, essa ha l ‘ onere di compiere una precisa analisi anche delle argomentazioni che vi sono inserite mediante l ‘ operazione inclusiva del precedente, alla stregua dei requisiti di specificità propri di ciascun modello di gravame, previo esame preliminare della sovrapponibilità del caso richiamato alla fattispecie in discussione.
5.3. Poste tali coordinate, sussiste certezza del fatto che nella presente vicenda l’Agenzia ricorrente sia stata posta in condizioni di conoscere integralmente le ragioni della decisione richiamata.
In disparte, infatti, la circostanza che tale decisione fu resa in pari data dal medesimo collegio -nel contesto della trattazione congiunta, seppur con giudizi separati, della vicenda inerente alla società-madre e di tutte quelle ad essa ancillari -vi è poi ampia conferma di ciò nel fatto che i restanti motivi di ricorso si riferiscono ampiamente e dettagliatamente alla sentenza richiamata dai giudici d’appello , la cui motivazione, dunque, la ricorrente ben conosceva.
È invece fondato il secondo motivo, seppur per le ragioni, parzialmente diverse da quelle addotte dalla ricorrente, che si esporranno.
È opportuno, in tal senso, riassumere la cornice fattuale della pretesa impositiva, per come emerge dai fatti accertati nei gradi di merito e comunemente attestati dalle parti in questa sede.
6.1. L’omessa dichiarazione a monte della rettifica operata nei confronti della società-madre riguarda il venir meno di una precedente posta passiva di questa, rappresentata dal debito per interessi che su di lei gravava in forza di un contratto di conto corrente bancario.
Di tale debito, la società aveva agito in giudizio per ottenere l’accertamento negativo, deducendo la natura anatocistica della clausola sul saggio di interesse, e la conseguente condanna della banca alla restituzione delle somme indebitamente percette.
All’esito del giudizio di primo grado, il Tribunale di Lecce aveva accolto la domanda con sentenza dell’11 ottobre 2006, in seguito alla quale la banca debitrice aveva provveduto ad alcuni pagamenti parziali fra il 31 ottobre 2006 e il 6 febbraio 2007; la stessa banca aveva nel frattempo appellato la sentenza, ottenendone la parziale sospensione con riduzione dell’efficacia esecutiva; il giudizio di appello si era poi concluso con la sentenza della Corte territoriale di Lecce depositata il 25 giugno 2009, evidentemente esecutiva, che aveva integralmente
confermato la decisione di primo grado e che nel 2010 era poi divenuta definitiva per mancata impugnazione.
Durante il susseguirsi di tali vicende giudiziarie, peraltro, la società-madre aveva regolarmente dichiarato le somme incassate il 31 ottobre 2006, e definito con adesione la ripresa a tassazione delle somme incassate e non dichiarate nel 2007.
6.2. Così delineato il quadro della vicenda, va osservato che la giurisprudenza di questa Corte afferma, con orientamento consolidato, che una sopravvenienza attiva dev’essere assoggettata ad imposizione con riferimento all’esercizio in cui la posta attiva acquista certezza (così più di recente, e fra le numerose altre, Cass. n. 3901/2023; Cass. n. 24580/2022; Cass. n. 1508/2020).
In linea con tale impostazione è stato poi chiarito che, laddove la sopravvenienza consista nel venir meno di un costo già contabilmente rappresentato, rileva il momento in cui si è acquisita la giuridica certezza dell ‘ inesistenza della posta passiva, vale a dire quello in cui «si è verificato il fatto di gestione che ha prodotto il venir meno» della stessa (così Cass. n. 20608/2023).
Su tali basi, allora, nelle ipotesi in cui la sopravvenienza attiva discende dal riconoscimento giudiziale di un credito (o dal disconoscimento di un debito preesistente, come nella specie) occorre aver riguardo al momento del deposito del provvedimento.
È infatti con il deposito che la posta attiva (o il venir meno della posta passiva) assume una connotazione che corrisponde al canone di «certezza nell’esistenza ed obiettiva determinabilità» stabilito dall’art. 109, comma 1, del TUIR ai fini dell’imputabi lità a reddito di una componente positiva: la venuta ad esistenza del credito si determina per effetto del formarsi del titolo giudiziale, che contiene anche la sua liquidazione.
6.3. È noto al Collegio che, seppur al diverso fine di statuire in punto ai presupposti di operatività del meccanismo della compensazione giudiziale, questa Corte (Cass. Sez. U, n. 23225/2016) ha affermato che il requisito della certezza di un credito comporta che il relativo accertamento da parte del giudice sia divenuto definitivo.
In proposito, occorre tuttavia rilevare che il requisito della certezza sull’esistenza delle componenti di reddito, di cui al citato art. 109, comma 1, del TUIR, dev’essere verificato sulla base di criteri essenzialmente economici; in particolare, la relazione illustrativa a detta ultima norma (già art. 75 TUIR) affermava che «la ragionevole certezza circa i ricavi e i costi si verifica nel momento in cui le tecniche aziendali ritengono definitivamente formata la componente di reddito, affidando al meccanismo delle sopravvenienze attive e passive le successive, pur sempre possibili, correzioni di importo».
In coerenza con tale impostazione, non pare allora che debba attribuirsi efficacia incisiva alla circostanza del passaggio in giudicato della sentenza (né, in senso contrario, a l fatto che l’eventuale prosieguo del contenzioso possa condurre a un diverso risultato), poiché un’eventuale mo difica della decisione nei successivi gradi di giudizio realizzerebbe una sopravvenienza passiva, idonea anch’essa a concorrere alla formazione del reddito ai sensi dell’articolo 101 del TUIR.
6.4. Ciò posto, si impone tuttavia un ulteriore ordine di considerazioni.
Vi sono, infatti, dei casi nei quali la venuta ad esistenza della sopravvenienza attiva, ancorché certa e determinata nel suo ammontare, non coincide con il suo conseguimento da parte del contribuente; e ciò in quanto la circostanza che la determina è, per sua stessa natura, soggetta all’incidenza di un fenomeno
ontologicamente ostativo a che essa possa effettivamente concorrere a formare il reddito nell’esercizio di impresa.
In questo senso, ad esempio, è stato affermato che una sopravvenienza costituita da un rimborso di imposta non può ritenersi conseguita nel momento in cui il diritto al rimborso viene riconosciuto, ma soltanto al termine del procedimento diretto all’emissi one del provvedimento di rimborso; in questo procedimento, infatti, occorre accertare l ‘ inesistenza di debiti d ‘ imposta del contribuente, in presenza dei quali l’ ammontare del rimborso già riconosciuto potrebbe ridursi, quando non anche annullarsi (v. Cass. n. 13948/2008).
In tali casi rientra anche la sopravvenienza che discende dal riconoscimento di un credito con sentenza.
Laddove, infatti, l’efficacia esecutiva di quest’ultima sia sospesa nelle more del giudizio di appello o di quello per cassazione (ricorrendo i presupposti rispettivamente previsti dagli artt. 283 e 373 cod. proc. civ.), la sopravvenienza attiva non potrebbe certamente ritenersi conseguita nell’esercizio corrispondente, se coperto dagli effetti del provvedimento di sospensione.
Di tanto, del resto, sembra avveduta anche la stessa Amministrazione, la quale -diversamente opinando -avrebbe dovuto rettificare il reddito della società per l’intero ammontare del credito riconosciutole già dopo la sentenza di primo grado, anziché riprendere a tassazione il solo importo corrispondente alle somme che questa aveva effettivamente percepito, prima della sospensione parziale dell’efficacia di detta sentenza.
6.5. Appare allora opportuno, in coerenza con le considerazioni appena svolte, operare una precisazione, nel senso di attribuire rilevanza, ai fini dell’imputazione a reddito della sopravvenienza attiva,
anche al fatto che non sussistano ostacoli al suo concreto conseguimento da parte del contribuente.
Ciò significa che, in ipotesi caratterizzate dalla venuta ad esistenza della posta attiva quale conseguenza di una sentenza, è sufficiente che sia intervenuta la decisione, occorrendo tuttavia, al contempo, che l’efficacia esecutiva della stessa non sia st ata sospesa, sì da consentire, quantomeno in via potenziale, l’effettivo conseguimento della posta nel reddito del contribuente.
Può dunque essere formulato il seguente principio di diritto:
«In tema di imposte sui redditi, le sopravvenienze attive che derivano dal riconoscimento di un credito -o dal disconoscimento di un debito preesistente -in sede giudiziale devono essere dichiarate nell’anno di imposta in cui la sentenza che afferma il credito o disconosce il debito è stata depositata, che costituisce il momento nel quale la posta attiva diviene certa nella sua esistenza e obiettivamente determinabil e, ai sensi dell’art. 109 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e semprechè l’efficacia esecutiva della sentenza di condanna non sia stata nel frattempo sospesa».
Anche il terzo mezzo, infine, è fondato.
Al riguardo, basti osservare che, vertendosi in procedimento accertativo relativo a tributi non armonizzati, l’Amministrazione finanziaria non era gravata da alcun onere di preventiva instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale a pena di invalidità dell’atto impositivo, tantomeno nel momento della raccolta delle informazioni e degli elementi di prova (cfr. ex plurimis Cass. Sez. U, n. 24823/2015).
In conclusione, il ricorso è meritevole di accoglimento in relazione al secondo e al terzo motivo, con rigetto del primo; la sentenza impugnata va cassata e, non essendo necessari ulteriori
accertamenti in fatto, la causa può essere decisa con il rigetto dell’originario ricorso della contribuente.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. Le spese dei due gradi di merito possono essere interamente compensate.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso della contribuente.
Condanna la controricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in € 300,00 oltre spese prenotate a debito.
Compensa le spese dei due gradi di merito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte Suprema