Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33895 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 33895 Anno 2024
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29079/2021 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente-
contro
COMUNE DI SESTRI COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE; -controricorrente- avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Liguria, n. 291/2021, depositata il 12 aprile 2021; Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
09/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con istanza presentata in data 15 dicembre 2015 la società RAGIONE_SOCIALE quale società di gestione del Fondo immobiliare Fondo Sviluppo Edilizia Sostenibile, chiedeva al Comune di Sestri Levante il riconoscimento dell ‘esenzione IMU di cui all’art. 13, comma 9 -bis , d.l. 6 dicembre 2011 come modificato dall’art. 2 d.l. n. 102.2013, conv. in legge n. 124/2013.
Il Comune, ritenuto che la società non avesse diritto all’esenzione in questione, a maggio 2017 notificava l’avviso di accertamento n. 3987 con cui richiedeva, per l’anno 2015, il pagamento dell’imposta pari ad euro 83.183,00 e irrogava la sanzione pecuniaria di euro 24.954,90.
Avverso il predetto atto la società RAGIONE_SOCIALE quale società di gestione del Fondo immobiliare Fondo Sviluppo Edilizia Sostenibile, proponeva ricorso dinnanzi alla Commissione tributaria provinciale di Genova, la quale lo respingeva con la sentenza n. 62/2018 e, proposta impugnazione, la Commissione tributaria regionale con la sentenza n. 291/2021, depositata il 12 aprile 2021, rigettava l’appello , rilevando che:
«manca nel caso di specie la sussistenza del requisito soggettivo, di cui all’art. 9, c. 1 del D.lgs. n. 23/2011, e cioè il possesso di immobili a titolo di proprietà o altro diritto reale di godimento, atteso che proprietario del bene sia il Fondo, tenu to quindi all’assolvimento del tributo»;
«seppure la società di gestione del risparmio sia deputata allo svolgimento degli adempimenti tributari, in virtù del rapporto fiduciario esistente con il fondo medesimo, non può tuttavia, in quanto non proprietaria dei beni, essere considerata soggetto passivo»;
-risulta, poi, in fatto la «mancanza di contabilizzazione dei beni ‘c. d. merci’ destinati alla vendita tra le rimanenze finali, considerato
che la società RAGIONE_SOCIALE non ha al riguardo evidenziato, nello stato patrimoniale, alcuna rimanenza, dal che trova ulteriore conferma il disconoscimento di impresa costruttrice in capo alla appellante.».
Contro detta sentenza propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, la società RAGIONE_SOCIALE in nome e per conto del fondo immobiliare Fondo Sviluppo RAGIONE_SOCIALE, cui resiste con controricorso il Comune di Sestri Levante.
Entrambe la parti hanno depositato memorie.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo parte ricorrente lamenta, ai sensi dell’art.360, primo comma, n. 4 c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 112 e 132 c.p.c. e 62, comma 1, d.lgs. n. 504/1992. Assume che i giudici di merito avevano ritenuto prive di fondamento le eccezioni formulate da parte ricorrente sulla base dell’erroneo presupposto che la stessa avesse agito in proprio e non anche in nome e per conto del Fondo Sviluppo Edilizia Sostenibile sicchè la questione da affrontare era quella di verificare se tale Fondo, in quanto proprietario degli immobili, avesse o meno diritto all’ esenzione di cui all’art. 2 d.l. 102/2013, come richiesto con l’originario ricorso, profilo non esaminato dai giudici di appello.
Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art.360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 2 d.l. 102/2013 e 62, comma 1, n. 504/1992, rilevando che, ove si fosse ritenuto che i giudici di merito, nel negare il beneficio alla società in proprio, avessero anche implicitamente rigettato la censura relativa alla sussistenza del diritto di esenzione in favore del Fondo Sviluppo Edilizia Sostenibile (nel cui interesse la predetta società aveva agito), la sentenza era viziata in quanto detto Fondo aveva diritto alla agevolazione de qua quale ‘impresa costruttrice’ titolare del permesso di costruire legittimata a realizzare interventi costruttivi posto che, nella fattispecie in esame, trattavasi di beni costruiti dal
Fondo e posti in vendita, beni rientranti nella categoria dei c.d. beni merce. Osserva che, come risultava dalla ‘Relazione di Gestione del Fondo’ i beni in questione rientravano nella categoria B.3 ove sono inseriti gli immobili destinati alla vendita in quanto non strumentali e non locati. Assume, infine, che l’ Amministrazione finanziaria aveva, da sempre, offerto una nozione ampia di ‘impresa costruttrice’ ricomprendo qualunque soggetto intestatario del provvedimento amministrativo in forza de quale viene autorizzata la costruzione o la ristrutturazione di un immobile quale appunto, nel caso in esame, il Fondo Sviluppo Edilizia Sostenibile.
Con il terzo motivo lamenta, ai sensi dell’art.360, primo comma, n. 3 c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 5 d.l. 472/1997 e 62, comma 1, n. 504/1992, in quanto nell’ipotesi di esclusione del diritto all’esenzione in ragione della ince rtezza normativa non erano dovute le sanzioni.
Parte ricorrente ha, infine, depositato memoria ex art. 380bis cod. proc. civ. con la quale ha rilevato che andava considerato che la ratio della norma è quella di infondere slancio all’edilizia, riducendo il peso fiscale sugli immobili costruiti rimasti invenduti e che sarebbe contrario a tale obiettivo, nonché ai canoni costituzionali di ragionevolezza e di uguaglianza estromettere i fondi comuni dalla nozione di ‘impresa costruttrice’, secondo un concetto civilistico ormai superato che non più rispondente alla realtà del fenomeno economico, creando così una ingiustificata e anacronistica disparità di trattamento in tale senso invitando questa Corte a valutare il rinvio alla Corte Costituzionale per censurare la norma, come interpretata dal giudice di appello, quale effetto della violazione degli artt. 3 e 53 Cost.
Il ricorso deve essere rigettato per le ragioni appresso specificate.
Le prime due censure, le quali possono essere esaminate congiuntamente, vanno respinte, pur dovendosi rettificare la motivazione ai sensi dell’art. 384, ultimo comma, c.p.c.
Occorre premettere che la disposizione di favore, evocata dalla ricorrente, espressamente prevede che: «A decorrere dal 1° gennaio 2014 sono esenti dall’imposta municipale propria i fabbricati costruiti fintanto che permanga tale destinazione e non siano in ogni caso locati» [d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, art. 13, comma 9-bis, conv. in l. 22 dicembre 2011, n. 214, come sostituito dall’art. 2, comma 2, lettera a), del
e destinati dall’impresa costruttrice alla vendita, d.l. 31 agosto 2013, n. 102, conv. in l. 28 ottobre 2013, n. 124].
I giudici di primo grado hanno evidenziato che l’unico soggetto proprietario del bene era ‘il Fondo che non poteva qualificarsi come impresa, difettando di una organizzazione imprenditoriale’ e che nel bilancio della società di gestione Samira non risultava nello stato patrimoniale alcuna rimanenza.
6.1. In effetti la motivazione della C.T.R. è intrinsecamente contraddittoria perché, da un lato, attribuisce la soggettività passiva al Fondo e, dall’altro, cerca il riscontro probatorio della fattispecie concreta (beni merce invenduti) nei confronti della SGR: ciò, tut tavia, non può condurre all’annullamento della sentenza impugnata, per quanto appresso rilevato.
7. art. 36 del T.U.F., disciplina dei c.d. Fondi di investimento, : «1. Il fondo comune di investimento è gestito dalla società di gestione del risparmio che lo ha istituito o dalla società di gestione subentrata nella gestione, in conformità alla legge e al regolamento. 2. Il rapporto di partecipazione al fondo comune di investimento è disciplinato dal regolamento del fondo. La Banca d’Italia, sentita la Consob, determina i criteri generali di redazione del regolamento del fondo diverso dal FIA riservato e il suo contenuto minimo, a integrazione di quanto previsto dall’articolo 39. 3. La Sgr che ha istituito il fondo o la società di gestione che è subentrata nella gestione agiscono in modo indipendente e nell’interesse dei partecipanti al fondo,
assumendo verso questi ultimi gli obblighi e le responsabilità del mandatario. 4. Ciascun fondo comune di investimento, o ciascun comparto di uno stesso fondo, costituisce patrimonio autonomo, distinto a tutti gli effetti dal patrimonio della società di gestione del risparmio e da quello di ciascun partecipante, nonché da ogni altro patrimonio gestito dalla medesima società; delle obbligazioni contratte per conto del fondo, la Sgr risponde esclusivamente con il patrimonio del fondo medesimo. Su tale patrimonio non sono ammesse azioni dei creditori della società di gestione del risparmio o nell’interesse della stessa, né quelle dei creditori del depositario o del sub depositario o nell’interesse degli stessi. Le azioni dei creditori dei singoli investitori sono ammesse soltanto sulle quote di partecipazione dei medesimi. La società di gestione del risparmio non può in alcun caso utilizzare, nell’interesse proprio o di terzi, i beni di pertinenza dei fondi gestiti».
In relazione all’ odierna controversia va evidenziato che la questione relativa alla soggettività giuridica e fiscale dei fondi comuni di investimento rappresenta un tema complesso e intriso di implicazioni se si considerano unitariamente, oltre ai profili fiscali, anche quelli relativi all’estrinsecazione del diritto di proprietà, tutte questioni ampiamente discusse in dottrina ed in giurisprudenza.
Il dato da cui partire è che i fondi di investimento rappresentano dei patrimoni strutturalmente autonomi e distinti sia da quello della società di gestione, che si occupa dell’amministrazione dello stesso, sia da quello dei partecipanti, ossia dei sottoscrittori delle quote del fondo, tipicamente depositate presso un istituto bancario: essi godono di una autonomia patrimoniale bilaterale, in quanto il fondo risponde con il proprio patrimonio delle sole obbligazioni assunte per suo conto dalla Sgr e, nel caso di incapienza, il creditore del fondo non può aggredire il patrimonio generale del gestore. Ne deriva che il patrimonio del fondo risulta sottoposto ad una particolare disciplina giuridica, poiché non è liberamente disponibile
da parte della SGR e vale come garanzia delle sole obbligazioni contratte dalla SGR per conto del fondo stesso, essendo impignorabile da parte dei creditori generali della SGR; e come sin da subito evidenziato dalla dottrina, di fatto, si verifica una alterazione dei tratti tipici delle situazioni soggettive di appartenenza. Tali peculiarità della disciplina dei fondi comuni di investimento hanno, quindi, generato un ampio dibattito circa la natura giuridica dei fondi stessi, che vede contrapposte due visioni diametralmente opposte: da un lato, chi ritiene che al fondo debba essere riconosciuta una soggettività giuridica e dall’altro lato, chi, invece, la nega. Appare opportuno, per esaminare la questione, richiamare uno dei principali snodi interpretativi in materia costituito dalla nota sentenza della Corte di Cassazione n. 16605/2010 la quale ha escluso che il fondo comune d’investimento possa avere una soggettività giuridica, derubricandone l’autonomia patrimoniale (disposta dal T.U.F.) ad una forma di separazione patrimoniale assimilabile alle esperienze, già note nel nostro ordinamento, dei patrimoni destinati ex art. 2447bis c.c. ovvero del trust . In particolare la Corte ha negato la soggettività giuridica del fondo comune d’investimento dapprima passando in rassegna le varie teorie esaminate dalla dottrina -comunione, mandato senza rappresentanza, etc. -, rilevando come nessuna riesca a cogliere appieno il senso del fondo d’investimento e del rapporto con la Sgr ed i partecipanti, e successivamente affermando la carenza di soggettività giuridica in virtù della insufficienza di autonomia del fondo, intesa quale potere di autodeterminarsi verso l’esterno. Per l’effetto, la Sgr godrebbe di una titolarità formale dei beni facenti parte del patrimonio del fondo.
Da più parti si è, quindi, sostenuto che l’assenza, desumibile dal complesso delle norme di riferimento, di un’organizzazione con rilevanza esterna esclude la possibilità di individuare un soggetto
nuovo e diverso dalla Sgr e dai partecipanti, al quale imputare la titolarità di interessi e diritti.
Definita la funzione della disposizione contenuta nell’art. 36 cit., per la parte in cui qualifica l’insieme dei beni attribuiti al fondo comune di investimento come «patrimonio autonomo, distinto a tutti gli effetti» rispetto ai beni che, invece, la Sgr può utilizzare liberamente per il perseguimento del proprio interesse sociale, va osservato preliminarmente come appare difficile -da un punto di vista letterale -mettere in dubbio che la titolarità formale dei beni inclusi nel fondo spetti alla società costituente: non avrebbe, infatti, senso parlare di ‘separazione’ dell’insieme di detti beni, rispetto al residuo patrimonio della Sgr, se detti beni non fossero alla medesima intestati. Ma, al di là del lessico utilizzato, vanno esaminate le regole materiali contenute nella legge, anche tenuto conto dell’ottica di favorire lo svolgimento dell’attività di investimento e di gestione dello stesso.
Emerge chiaramente come il legislatore, per agevolare l’attività gestoria nell’interesse dei partecipanti, parrebbe avere scelto la strada di attribuire la proprietà dei beni del fondo alla Sgr, ma, nel contempo e preso atto di aver attribuito alla Sgr un plus (la proprietà) rispetto alla sostanza economica del rapporto (di mera gestione nell’interesse altrui), abbia introdotto regole volte a limitare il rischio di abuso da parte del gestore e di trasparenza nei confronti dei terzi riguardo alla sua ‘effettiva’ consistenza patrimoniale in rapporto all’adempimento delle ‘sue’ obbligazioni. In sostanza, v’è l’attribuzione di una proprietà «ad utilizzo limitato» con effetti reali, ossia anche sul piano dei poteri dei terzi di sottoporre ad esecuzione forzata i ben
Questa Corte, con la sentenza 8 maggio 2019, n. 12062, ha precisato che ‘I fondi comuni di investimento (nella specie, fondo immobiliare chiuso), disciplinati nel d.lgs. n. 58 del 1998, e succ. mod., sono privi di un’autonoma soggettività giuridica, ma costituiscono patrimoni
separati della società di gestione del risparmio; pertanto, in caso di acquisto nell’interesse del fondo, l’immobile che ne è oggetto deve essere intestato alla società promotrice o di gestione la quale ne ha la titolarità formale ed è legittimata ad agire in giudizio per far accertare i diritti di pertinenza del patrimonio separato in cui il fondo si sostanzia’.
Successivamente, e muovendo da questa pronunzia, questa Corte, ha riconosciuto la soggettività passiva della società di gestione del risparmio tanto ai fini ICI che IMU sugli immobili facenti parte del patrimonio separato (Cass., 9 marzo 2023, n. 7116; Cass., 30 dicembre 2022, n. 29888).
Ritiene questo Collegio di dovere confermare l’orientamento consolidato della Corte secondo cui la soggettività passiva relativa all’IMU va riconosciuta in capo al Fondo.
E’ pur vero che la soggettività tributaria non presuppone necessariamente quella civile, poiché il legislatore tributario rimane libero nel definire gli indici di capacità contributiva da assoggettare a tassazione e ben può rilevare la sussistenza di materia imponibile in capo ad entità che, tuttavia, non sono riconosciute quali soggetti nel diritto civile, ma proprio la natura dei fondi di investimento e il loro rapporto con la SGR, valutati all’interno del sistema fiscale, inducono ad escludere la possibilità di ritenere il Fondo responsabile ai fini IMU.
È significativo ricordare, del resto, che la disciplina tributaria escluda la soggettività passiva del fondo ai fini delle imposte sui redditi, dell’imposta regionale sulle attività produttive (cd. IRAP) e ai fini dell’IVA. Infatti, a norma dell’art. 6 d.l . 25 settembre 2001, n. 351, conv. dalla l. 23 novembre 2001, n. 410 (recante «Disposizioni urgenti in materia di privatizzazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico e di sviluppo dei fondi comuni di investimento immobiliare»), i fondi com uni d’investimento immobiliare «non sono soggetti alle imposte sui redditi e all’imposta regionale sulle attività
produttive»; a norma dell’art. 8, «La società di gestione è soggetto passivo ai fini dell’imposta sul valore aggiunto per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi relative alle operazioni dei fondi immobiliari da essa istituiti». La soggettività passiva è quindi attribuita, in via esclusiva, alla società di gestione per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi relative alle operazioni dei fondi comuni immobiliari; sebbene unico soggetto passivo per l’Amministrazione finanziaria sia la società di gestione, ad essa viene imposto un sistema di separazione contabile, in quanto l’IVA dev’essere determinata separatamente dall’imposta dovuta per la società e distintamente per ciascun fondo (la società di gestione è tenuta ad effettuare un unico versam ento cumulativo dell’imposta, per le somme complessivamente dovute dalla società e dai fondi).
Inoltre, i redditi provenienti dai fondi sono assoggettati a tassazione solamente in capo agli investitori mediante una ritenuta sui proventi del fondo eventualmente distribuiti in costanza di partecipazione o compresi nel valore di liquidazione della quot a (v. l’art. 7 d.l. n. 351 del 2001 cit., mod. dall’art. 41 -bis comma 9 d.l. 30 settembre 2003 n. 269, conv. dalla l. 24 novembre 2003 n. 326).
Corretta la motivazione nei termini che precedono, in ragione della riferibilità dell’immobile alla SGR e non al Fondo, il motivo va, dunque, rigettato dovendosi ribadire il principio di diritto per cui ‘ i fondi comuni d’investimento, disciplinati dal d.lgs. n. 58 del 1998 e succ. mod., non sono soggetti passivi dell’imposta municipale gravante sugli immobili che ne fanno parte, in quanto detti fondi sono privi di un’autonoma soggettività giuridica e costituiscono patrimoni separati della società di gestione del risparmio, la quale è tenuta al versamento dell’IMU’.
Poste tali premesse il secondo profilo di impugnazione è, comunque, inammissibile perché -una volta identificata correttamente la soggettività passiva nei termini sopra cennati -risulta che il giudice del gravame, per l’appunto correttamente, ha
rilevato che non v’era riscontro probatorio degli immobili costruiti e destinati alla vendita (<>), e un simile accertamento è rimasto incontestato e privo di censura, con le logiche conseguenze che ne scaturiscono in punto di inammissibilità della censura.
10. Il terzo motivo non coglie nel segno. Secondo un consolidato orientamento, in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, «l’incertezza normativa oggettiva, che costituisce causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, postula una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria, ovverosia l’insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento d’interpretazione normativa, riferibile non già ad un generico contribuente, o a quei contribuenti che per la loro perizia professionale siano capaci di interpretazione normativa qualificata (studiosi, professionisti legali, operatori giuridici di elevato livello professionale), e tanto meno all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione. Tale verifica è censurabile in sede di legittimità per violazione di legge, non implicando un giudizio di fatto, riservato all’esclusiva competenza del giudice di merito, ma una questione di diritto, nei limiti in cui la stessa risulti proposta in riferimento a fatti già accertati e categorizzati nel giudizio di merito.» (così Cass., 28 novembre 2007, n. 24670 nonché, fra le altre, Cass., 1 febbraio 2019, n. 3108; Cass., 23 novembre 2016, n. 23845; Cass., 2 dicembre 2015, n. 24588; Cass., 24 febbraio 2014, n. 4394; Cass., 22 febbraio 2013, n. 4522; Cass., 27 luglio 2012, n. 13457;
Cass., 16 febbraio 2012, n. 2192). Si è, pure, rimarcato, – a riguardo dei cd. fatti indice dell’incertezza normativa oggettiva (v. Cass., 28 novembre 2007, n. 24670 cui adde, ex plurimis, Cass., 12 aprile 2019, n. 10313; Cass., 13 giugno 2018, n. 15452; Cass., 17 maggio 2017, n. 12301), – che concorrono a determinare detta incertezza la ricorrenza di contrasti giurisprudenziali (nella giurisprudenza di legittimità e anche di merito; cfr. Cass., 23 novembre 2016, n. 23845; Cass., 2 dicembre 2015, n. 24588) ovvero di una pluralità di disposizioni «il cui coordinamento appaia concettualmente difficoltoso, per l’equivocità del loro contenuto» (così Cass., 24 febbraio 2014, n. 4394; Cass., 22 febbraio 2013, n. 4522).
In disparte ogni ulteriore considerazione in punto di legittimazione, non può non rilevarsi che le disposizioni che hanno introdotto l’esenzione fossero chiare: si doveva trattare di ‘fabbricati costruiti e destinati dall’impresa costruttrice alla vendita, fintanto che permanga tale destinazione e non siano in ogni caso locati’ da ciò derivando la ovvia debenza delle sanzioni.
Alla stregua delle suesposte argomentazioni il ricorso va rigettato.
12.1. sussistono i presupposti di legge per disporre la compensazione delle spese tra le parti in ragione della sopravvenienza, in corso di giudizio, della pertinente giurisprudenza di legittimità.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa, tra le parti, le spese del giudizio di legittimità; visto l’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dalla legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della sezione tributaria, in data