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Socio occulto: quando i redditi societari ti sono imputati

La Corte di Cassazione conferma la legittimità di un avviso di accertamento che imputa i redditi di una S.r.l. a un soggetto identificato come socio occulto e amministratore di fatto. L’ordinanza chiarisce che, in presenza di un quadro probatorio che dimostri il controllo totale e l’interesse economico del soggetto nella gestione societaria, è possibile attribuirgli i maggiori utili extracontabili, anche sulla base di presunzioni, specialmente nel caso di società a ristretta base partecipativa.

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Pubblicato il 27 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Socio occulto: la Cassazione conferma l’imputazione dei redditi societari

La figura del socio occulto rappresenta una delle sfide più complesse per l’amministrazione finanziaria. Come si possono attribuire i redditi di una società di capitali a una persona che formalmente non ne fa parte? Con la recente ordinanza n. 16363/2024, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: in materia fiscale, la sostanza prevale sulla forma. Se un soggetto agisce come vero ‘dominus’ di un’impresa, può essere chiamato a rispondere dei redditi da essa prodotti, anche se nascosto dietro uno schermo societario e un prestanome.

I fatti del caso

La vicenda trae origine da un avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle Entrate a un contribuente. Secondo l’Ufficio, quest’ultimo, pur non avendo alcuna carica formale, era il reale gestore e socio occulto (per il 50%) di una società a responsabilità limitata unipersonale. La società era formalmente rappresentata da un soggetto straniero, nullatenente e irreperibile, una classica ‘testa di legno’.

Le indagini della Guardia di Finanza avevano svelato un complesso sistema fraudolento, evidenziando come il contribuente esercitasse un controllo totale sulla società: gestiva i rapporti con clienti e dipendenti, prendeva le decisioni operative e finanziarie e, in sostanza, ne era il vero dominus. Di conseguenza, l’Agenzia gli aveva imputato il 50% dei maggiori utili extracontabili accertati in capo alla società.

Il contribuente aveva impugnato l’atto, sostenendo di essere un semplice dipendente con un ruolo tecnico. Se in primo grado la sua tesi era stata accolta, la Commissione tributaria regionale aveva ribaltato la decisione, dando ragione all’Agenzia. Il caso è così approdato in Cassazione.

La questione giuridica: il ruolo del socio occulto nell’accertamento

Il cuore della controversia giuridica ruota attorno alla possibilità per il Fisco di superare lo schermo formale della personalità giuridica per attribuire i redditi direttamente a chi ne è l’effettivo possessore. Il ricorrente contestava la violazione di diverse norme, tra cui quelle sull’amministratore di fatto (art. 2639 c.c.) e sull’imputazione dei redditi, sostenendo che le prove raccolte non fossero sufficienti a qualificarlo come socio occulto.

La Corte era quindi chiamata a stabilire se il quadro probatorio, basato principalmente su presunzioni derivanti dalla verifica fiscale, fosse sufficiente per legittimare l’imputazione dei redditi societari alla persona fisica che agiva come dominus.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso del contribuente, ritenendo la decisione dei giudici d’appello corretta sia in fatto che in diritto. Le motivazioni si fondano su alcuni pilastri consolidati della giurisprudenza tributaria.

In primo luogo, la Corte ha valorizzato gli elementi emersi dalla verifica della Guardia di Finanza. L’attività decisionale continua e costante, la gestione totale degli aspetti economici e finanziari e il controllo sui rapporti con terzi costituivano un quadro probatorio ‘inequivoco’ del ruolo di dominus del ricorrente. La società era, a tutti gli effetti, un’entità interposta che operava nel suo esclusivo interesse.

In secondo luogo, i giudici hanno confermato la piena applicabilità dell’art. 37, comma 3, del d.P.R. n. 600/1973. Questa norma permette di imputare al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti (persone interposte) quando sia dimostrato, anche tramite presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne sia l’effettivo possessore. La gestione uti dominus dell’impresa è una di queste presunzioni.

Inoltre, la Corte ha richiamato il principio valido per le società di capitali a ristretta base partecipativa. In questi casi, è legittima la presunzione che gli eventuali utili extracontabili accertati siano stati distribuiti ai soci. Nel caso di specie, la ‘base partecipativa’ era ristretta ai soli due soci di fatto: il ricorrente e il suo sodale. Spettava al contribuente fornire la prova contraria, dimostrando che tali utili erano stati reinvestiti o accantonati, cosa che non è avvenuta.

Infine, la Cassazione ha respinto le critiche relative al presunto ‘divieto di doppia presunzione’, chiarendo che si tratta di un principio inesistente nel nostro ordinamento. È del tutto legittimo che un fatto noto, accertato in via presuntiva, possa costituire la premessa per un’ulteriore presunzione, purché il ragionamento inferenziale del giudice sia logico e fondato su elementi gravi, precisi e concordanti.

Conclusioni

L’ordinanza in esame rafforza un messaggio chiaro: il Fisco ha gli strumenti per guardare oltre le apparenze formali. L’utilizzo di società di comodo e prestanome per occultare i reali beneficiari dei redditi d’impresa è una pratica che può essere efficacemente contrastata attraverso l’uso della prova presuntiva. Chi gestisce un’azienda come se fosse propria, pur non avendone titolo formale, si espone al rischio concreto di vedersi attribuire i redditi non dichiarati dalla società stessa. La figura del socio occulto, quindi, non è un fantasma giuridico, ma una realtà concreta con pesanti conseguenze fiscali.

Quando il Fisco può considerare una persona ‘socio occulto’ di una S.r.l.?
Quando emerge un quadro probatorio inequivoco, anche basato su presunzioni, che dimostra come tale persona eserciti la gestione della società sul piano decisionale, gestorio, operativo e finanziario, provando il suo assoluto controllo e interesse economico, a prescindere dal suo ruolo formale.

Gli utili non dichiarati di una S.r.l. possono essere attribuiti direttamente al socio occulto?
Sì. Ai sensi dell’art. 37, comma 3, del d.P.R. n. 600/1973, se viene dimostrato che il socio occulto è l’effettivo possessore del reddito della società (interposta), tale reddito viene imputato direttamente a lui. La prova può essere fornita anche tramite presunzioni gravi, precise e concordanti.

In una società a ristretta base partecipativa, come funziona la presunzione di distribuzione degli utili?
Nel caso di società di capitali con pochi soci, si presume che gli utili extracontabili accertati vengano distribuiti tra di loro. Questo perché la ristretta compagine sociale implica un forte controllo reciproco e una conoscenza diretta degli affari. Tale principio si applica anche quando i veri soci sono occulti. Spetta al contribuente dimostrare che gli utili non sono stati distribuiti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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