Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 25692 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 25692 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/09/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 28124/2017 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore generale pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato
-ricorrente –
CONTRO
COGNOME rappresentato e difeso per procura speciale in atti dall’avv. NOME COGNOME del foro di Caserta -controricorrente – avverso la sentenza n. 3649/2017 della Commissione tributaria regionale della Campania, depositata in data 19.4.2017, non notificata;
udita la relazione svolta alla pubblica udienza del giorno 3.6.2025 dal Cons. NOME COGNOME udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito per l’Agenzia delle Entrate l’Avvocatura dello Stato, in persona dell’avv. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
IRPEF Reddito di capitale -socio occulto .
1.COGNOME NOME impugnava l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate di Caserta per l’anno di imposta 2009 a seguito di indagini bancarie sui conti correnti di tre società di capitali, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, con il quale veniva accertato un reddito di capitale non dichiarato, da assoggettare a tassazione Irpef, nella misura del 49,72%, come per legge, con conseguente recupero delle maggiori imposte a titolo di Irpef, addizionale Irpef comunale ed addizionale Irpef regionale, oltre sanzioni ed interessi.
2.La Commissione Tributaria Provinciale di Caserta, nella resistenza dell’Agenzia delle Entrate, accoglieva il ricorso, ritenendo non applicabile la presunzione di cui all’art. 32 del d.p.r. 600/73 ai privati e che la presunzione di distribuzione degli utili extracontabili è legittima solo ove si accertino maggiori ricavi da parte della società, prova nella specie non acquisita.
3.La Commissione Tributaria Regionale della Lombardia (d’ora in poi C.T.R.), adita dall’Ufficio, respingeva il gravame.
4.Avverso la precitata sentenza l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
5.COGNOME NOME resiste con controricorso.
6.La Procura Generale ha depositato conclusioni scritte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo -rubricato « nullità della sentenza. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 36 del decreto legislativo n. 546/92 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 c.p.c. -l’Agenzia delle Entrate assume che la sentenza impugnata è carente di motivazione sugli esiti delle indagini bancarie e sulle omesse giustificazioni del contribuente, essendo stati offerti elementi presuntivi costituiti da: delega o potere di firma su tutti i conti correnti intestati alle tre società, mancata risposta alla richiesta di chiarimenti, omessa giustificazione delle movimentazioni bancarie, omessa presentazione della dichiarazione dei redditi, evidenziati
anche nell’atto di appello, ma la C.T.R. si era limitata a motivare sulla mancanza di prova della qualità di socio occulto al 100% delle tre società. La motivazione sarebbe apparente e sostanzialmente inesistente, non avendo la C.T.R. indicato gli elementi dai quali ha desunto il proprio convincimento, né motivato sugli elementi di prova offerti dall’Ufficio.
Il motivo è infondato.
1.1.La CTR ha motivato la decisione di rigetto del gravame, osservando che, essendo l’appellato socio di due delle tre società, l’imputazione dell’intero reddito non dichiarato dalle tre società presupponeva necessariamente la prova della sua qualità di socio occulto con partecipazione totalitaria in tutte e tre le società, prova che non poteva desumersi dalla mera esistenza di una delega ad operare sui conti correnti di queste ultime, senza contare che l’Ufficio aveva emesso avvisi di accertamento nei confronti di almeno un altro socio, COGNOME NOMECOGNOME attribuendo anche a quest’ultimo la qualità di socio occulto delle tre società al 100%, il che escludeva che l’appellato potesse essere considerato socio occulto al 100% di tutte e tre le società. Non era pertanto dimostrata neppure la disponibilità di fatto dei conti correnti formalmente intestati alle tre società, non sussistendo elementi neppure indiziari in tal senso, non potendosi ritenere tale la mera delega ad operare sui conti correnti e non essendo stata effettuata una dettagliata ricostruzione delle movimentazioni bancarie, né prova dell’assenza di dichiarazioni reddituali da parte dei soci effettivi e soprattutto la prova della dichiarazione dei redditi delle tre società, al fine di acquisire la prova indiretta che le movimentazioni bancarie non corrispondessero in tutto o in parte ad operazioni imponibili delle indicate società. Non costituivano elementi indiziari sufficienti il rilascio della delega ad operare sui conti correnti e i rapporti di parentela tra il Tamburrino e i soci ufficiali delle tre società. Il solo rilascio della delega ad operare sui
conti da parte dei legali rappresentanti delle tre società e il legame parentale tra i soci e COGNOME non integrano presunzioni gravi, precise e concordati per ricondurre i redditi di cui appaiono titolari le società, a loro volta frutto della presunzione legale derivante dalla non giustificazione delle movimentazioni bancarie, al soggetto ritenuto effettivo titolare di tutti i conti correnti. Tale catena di presunzioni non poteva essere condivisa nel caso in esame laddove mancava un accertamento del maggior reddito nei confronti delle tre società o comunque di un’unica società occulta e, invece, si volesse -come sembrava ricavarsi dalla motivazione dell’atto di accertamento -direttamente imputare al COGNOME i versamenti dei conti correnti intestati alle società. Andava condiviso il rilievo del giudice di prime cure secondo cui nessun invito era stato rivolto ai legali rappresentanti delle tre società per cui, in difetto di accertamento nei confronti delle medesime, non era dato sapere se esistessero o meno giustificazioni agli utili extracontabili desunti dai versamenti bancari direttamente attribuiti al COGNOME Salvatore.
1.2. Trattasi, a parere del Collegio, di sentenza fornita di motivazione adeguata, logica ed esauriente. Bene ha fatto la C.T.R. ad affrontare il pregiudiziale aspetto della prova del presupposto in base al quale addebitare tutte le movimentazioni bancarie al Tamburrino, ossia la qualità di socio occulto al 100% di tutte e tre le società. Solo ove ritenuta fornita tale prova, anche per presunzioni, la C.TR. sarebbe stata tenuta a valutare la mancata risposta ai chiarimenti richiesti, le mancate giustificazioni alle movimentazioni bancarie e la mancata presentazione della dichiarazione dei redditi.
2.Con il secondo motivo, rubricato « Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 32 del d.p.r. 600/73 e 51 d.p.r. 633/72, comma 1, n.3 c.p.c » l’Ufficio assume che le suddette disposizioni impongono al contribuente di fornire analitica prova contraria delle movimentazioni bancarie dei conti correnti nella sua disponibilità.
Nella specie, il COGNOME non aveva fornito alcuna giustificazione in merito alle movimentazioni dei conti correnti intestati alle società, sui quali operava in virtù di delega e poteri di firma, circostanze mai contestate. Secondo la giurisprudenza di legittimità l’Agenzia ha il potere di fondare l’accertamento anche in presenza di conti formalmente intestati a terzi ed anche senza provarne l’intestazione fittizia. La delega ad operare sui conti equivale al potere di disporre dei relativi redditi. Inoltre, il giudice tributario, ove ritenga invalido l’accertamento per motivi sostanziali, non può limitarsi ad annullare l’atto, ma deve esercitare poteri sostitutivi, rideterminando la pretesa tributaria ove parzialmente fondata. La C.T.R avrebbe pertanto dovuto comunque esaminare gli aspetti della mancata risposta alla richiesta di chiarimenti e della mancata giustificazione delle movimentazioni bancarie sui conti correnti che erano da ritenersi presuntivamente nella sua disponibilità, in virtù della delega e del potere di firma.
2.1. Il motivo è fondato nei limiti che seguono.
Questa Corte ha avuto modo di precisare che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, legittimamente l’amministrazione finanziaria, nel procedere alla ricostruzione del reddito del contribuente, utilizza dati derivanti da movimenti bancari relativi a conti intestati a terzi (senza necessità di contestare tali dati al contribuente o al terzo), purché fornisca in giudizio la prova, anche presuntiva, che detti movimenti bancari, formalmente intestati al terzo, siano in realtà attribuibili al contribuente. (Cass. n. 4423/2003). Anche in tema di Iva, questa Corte ha chiarito che l’art. 51, secondo comma, nn. 2 e 7 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 – che accorda all’ufficio il potere di richiedere agli istituti di credito notizie dei movimenti sui conti bancari intrattenuti dal contribuente e di presumere la loro inerenza ad operazioni imponibili, ove non si deduca e dimostri che i movimenti medesimi siano stati conteggiati nella dichiarazione
annuale o siano ricollegabili ad atti non soggetti a tassazione – non trova applicazione con riguardo a conti bancari intestati esclusivamente a persone diverse, ancorché legate al contribuente da vincoli familiari o commerciali, salvo che l’ufficio opponga e poi provi in sede giudiziale che l’intestazione a terzi è fittizia o comunque è superata, in relazione alle circostanze del caso concreto, dalla sostanziale imputabilità al contribuente medesimo delle posizioni creditorie e debitorie annotate sui conti.( Cass. n. 8826/2001, Cass. n. 11145/2011).
2.2. Pertanto, in caso di conti correnti formalmente intestati a terzi il compimento di operazioni in virtù di una delega ad operare sugli stessi, non fa presumere di per sè la qualità di intestatario reale dei conti correnti, non essendo a tal fine sufficiente l’esistenza di una delega/potere di firma unitamente al rapporto di parentela, in difetto di ulteriori indizi da cui dedurre la concreta disponibilità del conto e degli importi movimentati (Cass. n. 3597/2016) e, per il caso che ci occupa, di una concreta partecipazione alla gestione dell’altra società mediante l’esercizio di poteri decisionali e di controllo, a maggior ragione in considerazione della circostanza, emersa nel giudizio di merito, dell’emissione di analogo avviso di accertamento nei confronti di COGNOME NOME, socio RAGIONE_SOCIALE, pure in possesso di delega per operare sui medesimi conti correnti. La statuizione è pertanto conforme a diritto.
2.3.Tuttavia, questa Corte ha anche più volte chiarito che il processo tributario non è diretto alla mera eliminazione giuridica dell’atto impugnato, ma ad una pronuncia di merito, sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente che dell’accertamento dell’ufficio e, pertanto, il giudice tributario, quando ritiene invalido l’avviso di accertamento per motivi di ordine sostanziale, e non meramente formali, è tenuto a esaminare nel merito la pretesa tributaria e a ricondurla, mediante una motivata
valutazione sostitutiva, alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte (Cass. n.31827/2024). Il processo tributario, infatti, è annoverabile tra quelli di “impugnazione-merito”, in quanto diretto ad una decisione sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente, sia, eventualmente, dell’avviso di accertamento o di rettifica dell’ufficio, sicché il giudice, ove ritenga in tutto o in parte invalido l’atto per motivi non formali, ma di carattere sostanziale, non può limitarsi ad accertare genericamente la debenza dell’imposta demandandone la sua successiva quantificazione ad una parte del giudizio, sia pure sulla base di alcuni criteri, atteso che l’art. 35, comma 3, ultimo periodo, del d.lgs. n. 546 del 1992, come interpretato alla luce degli artt. 111 Cost., 6 CEDU e 47 CDFUE, esclude la pronuncia di condanna indeterminata, rendendo necessario l’esame nel merito della pretesa, entro i limiti posti dalle domande di parte ( Cass. n. 34723/2022). E’ stato altresì precisato che il giudice tributario, nell’ambito di un processo a cognizione piena, diretto ad una decisione sostitutiva tendente all’accertamento sostanziale del rapporto controverso, quando ravvisi l’infondatezza parziale della pretesa dell’Amministrazione, non deve, né può, limitarsi ad annullare “in toto” l’atto impositivo, ma deve accertare e quantificare entro i limiti posti dal “petitum” delle parti l’entità della pretesa fiscale, dandone un contenuto quantitativo diverso da quello sostenuto dai contendenti, avvalendosi degli ordinari poteri di indagine e di valutazione dei fatti e delle prove consentiti dagli artt. 115 e 116 c.p.c., in tal modo determinando l’ammontare effettivo delle imposte e delle sanzioni dovute dal contribuente, senza che ciò violi il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato e senza che ciò costituisca attività amministrativa di nuovo accertamento, rappresentando invece soltanto l’esercizio dei poteri di controllo, di valutazione e di
determinazione del “quantum” della pretesa tributaria ( Cass. n. 3080/2021).
Ne consegue che ha errato il giudice del gravame a non procedere alla rideterminazione del reddito di partecipazione, con riferimento alle movimentazioni non giustificate sui conti correnti delle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, nei limiti delle rispettive quote sociali.
4.Il ricorso va conclusivamente accolto per quanto di ragione, la sentenza cassata e rinviata alla Corte di giustizia di secondo grado della Campania, in diversa composizione, per un nuovo e motivato esame limitatamente alla posizione di socio al 67% della RAGIONE_SOCIALE e al 33% della RAGIONE_SOCIALE oltre che per provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso nei limiti di cui in motivazione, rigettato il primo; cassa la sentenza impugnata e rinvia per un nuovo esame alla C.G.T.2 della Campania, in diversa composizione, oltre che per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 3.6.2025.
Il consigliere estensore
Il Presidente
(NOME COGNOME
(NOME COGNOME)