Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16377 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 16377 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 12/06/2024
ORDINANZA
Sul ricorso n. 30417-2021, proposto da:
COGNOME NOME , c.f. CODICE_FISCALE, elettivamente domiciliato in Roma, alla INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, dal quale, unitamente all’AVV_NOTAIO, è rappresentato e difeso –
Ricorrente
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE , cf CODICE_FISCALE, in persona del Direttore p.t., elettivamente domiciliata in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis –
Controricorrente
Avverso la sentenza n. 615/02/2021 della Commissione tributaria regionale del Veneto, depositata il 26.04.2021;
udita la relazione della causa svolta dal AVV_NOTAIO nell’ adunanza camerale del 20 dicembre 2023;
Rilevato che
Dalla sentenza emerge che il ricorrente propose impugnazione avverso l’avviso d’accertamento con cui l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, sulla premessa che COGNOME NOME rivestisse il ruolo di socio occulto (nella misura del 50% del capitale sociale appartenendo l’altra metà a COGNOME NOME, altro socio
Accertamento – Socio
Occulto –
Configurabilità
occulto, estraneo al presente giudizio-), nonché di amministratore di fatto (sempre unitamente al COGNOME) nella RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, rideterminò il maggior imponibile relativo all’anno 2010 ai fini Ir pef, richiedendo al contribuente maggiori imposte. Nella specie, come anche chiarito nel ricorso, si trattava del secondo avviso d’accertamento notificato all’odierno ricorrente sempre in riferimento all’anno 2010, e ciò a seguito di ulteriori elementi di prova acquisiti a carico del COGNOME, ex art. 41 bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.
L’accertamento trovava genesi in una complessa verifica condotta da militari della GdF , interessante più anni d’imposta, che aveva rilevato l’esistenza di condotte frodatorie n el settore edilizio, ai danni dell’erario e di enti previdenziali, attuate attraverso varie RAGIONE_SOCIALE, tra cui la RAGIONE_SOCIALE, consistenti nel compensare oneri, imposte e tributi con falsi crediti iva, relazionati alla contabilizzazione di costi inesistenti. Il COGNOMECOGNOME unitamente al COGNOME, era stato identificato come amministratore di fatto e socio occulto di tale RAGIONE_SOCIALE.
Il ricorso avverso l’atto impositivo, con il quale il COGNOME aveva contestato il ruolo di socio occulto della RAGIONE_SOCIALE, asserendo di essere un mero dipendente, che rivestiva nella compagine sociale solo il ruolo di mero referente tecnico della RAGIONE_SOCIALE nei confronti della clientela, fu accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Verona con sentenza n. 426/01/2017.
La Commissione tributaria regionale del Veneto , sull’appello dell’RAGIONE_SOCIALE, riformò la decisione di primo grado, rigettando il ricorso introduttivo del contribuente. Il giudice regionale, dopo aver ricostruito la vicenda, ha rilevato che dalla verifica della GdF, le cui emergenze erano state poste a base dell’atto impositivo, era emerso un quadro probatorio inequivoco sulla gestione della RAGIONE_SOCIALE, sul piano decisionale, gestorio, operativo e finanziario da parte del ricorrente (e del COGNOME), con la tenuta di condotte che provavano l’assoluto controllo ed interesse economico del contribuente nella compagine sociale. Ha anche evidenziato che ulteriore riscontro agli addebiti dell’ufficio era stato desunto dalla circostanza che il ruolo di amministratore della RAGIONE_SOCIALE era ricoperto da un soggetto di origini straniere, nullatenente e risultato del tutto irreperibile.
Da queste premesse ha ritenuto corretto il recupero degli utili extracontabili rilevati formalmente in capo alla RAGIONE_SOCIALE, ma imputati nella
misura del 50% al COGNOME, attesa la natura artificiosa della RAGIONE_SOCIALE con un rappresentante legale solo testa di legno-, rispetto alla quale l’odierno ricorrente si poneva non solo quale amministratore di fatto e dominus, ma anche come socio occulto. A tal fine ha peraltro richiamato la giurisprudenza di legittimità in tema di RAGIONE_SOCIALE di capitali a ristretta base partecipativa e le regole sulla presunzione.
Per la cassazione della sentenza il ricorrente ha proposto ricorso, affidato a quattro motivi, cui ha resistito con controricorso l ‘RAGIONE_SOCIALE.
A ll’esito dell’adunanza camerale del 20 dicembre 2023 la causa è stata riservata e decisa.
Considerato che
Con il primo motivo il COGNOME ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art. 2639 c od. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ. La Commissione regionale, nell’attribuir gli la qualità di amministratore di fatto per la continua e sistematica attività decisionale in seno alla RAGIONE_SOCIALE, avrebbe errato e mal applicato l’art. 2639 cod. civ., non emergendo dalla segnalazione della GdF quelle funzioni che la disciplina civilistica r ichiede per lo svolgimento di tale ruolo all’interno della compagine sociale.
Con il secondo motivo ha lamentato la violazione e falsa applicazione degli artt. 5 e 47 del d.P.R. 31 dicembre 1986, n. 917, e dell’art. 2247 cod. cod., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ. Erroneamente il giudice d’appello avrebbe identificato nel COGNOME una persona fisica come socio di fatto di una RAGIONE_SOCIALE di capitali, così come altrettanto erroneamente avrebbe ricondotto presuntivamente al ricorrente gli utili sociali.
Con il terzo motivo si è doluto della violazione e falsa applicazione dell’art. 37, 3° comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3) cod. proc. civ. La commissione regionale avrebbe ricondotto al COGNOME la percezione dei redditi, implicitamente evocando l’art. 37, 3° comma, del d.P.R. n. 600 cit. secondo cui ‘in sede di rettifica o di accertamento d’ufficio sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona ‘, con ciò cadendo in un ulteriore errore di diritto.
I motivi, pur censurando da distinte prospettazioni giuridiche la sentenza impugnata, sono tutti privi di pregio.
Deve innanzitutto rilevarsi, dalla piana lettura della pronuncia, che il giudice regionale ha apprezzato gli elementi su cui l’ufficio accertatore ha fondato le sue contestazioni, individuate negli esiti della verifica operata dalla guardia di finanza, dalla quale era emersa la messa in atto di un sistema finalizzato a frodare il fisco, con RAGIONE_SOCIALE unipersonali, come la RAGIONE_SOCIALE, la cui rappresentanza legale era affidata a soggetti stranieri e nullatenenti, con sedi legali formali, a volte corrispondenti a meri domicili postali, con operatività limitata a pochi mesi e continue sostituzioni nelle cariche sociali.
In particolare, si è rilevata la continua e costante attività decisionale del ricorrente, formalmente riconducibile alla RAGIONE_SOCIALE, di cui in realtà ne era il dominus, in grado di condizionare totalmente le scelte della RAGIONE_SOCIALE, per la gestione degli aspetti economici, operativi e finanziari nei rapporti con clienti e dipendenti’. In quest’ottica sono state apprezzate le dichiarazioni assunte dai soggetti che operavano con la RAGIONE_SOCIALE, nonché dai dipendenti di questa.
Il quadro che ne emerge è inequivocabilmente quello di una RAGIONE_SOCIALE che, integralmente o meno interposta dal ricorrente, e dunque paravento o meno RAGIONE_SOCIALE operazioni illecite poste in essere dal COGNOME, operava a suo esclusivo interesse.
In tale contesto, in punto di diritto, il richiamo al controllo sociale, proprio della fattispecie riconducibile all’amministrazione di fatto, ed inoltre il richiamo alle regole di attribuzione ai soci dei maggiori redditi accertati in capo alla compagine sociale, sulla base dei principi elaborati a proposito della ristretta base partecipativa nella RAGIONE_SOCIALE di capitali (nel concreto il solo COGNOME e il COGNOME), risultano del tutto pertinenti al caso concreto.
Le difese del ricorrente pretendono di riportare i presupposti del riconoscimento dell’amministratore di fatto (questione qui neppure controversa) e del socio occulto, ad elementi esteriori e formali, del tutto estranei all’oggetto del contendere, che parte proprio dalla condotta in fatto e occulta del COGNOME, preoccupato, al contrario, di evitare l’emersione della posizione giuridica contestatagli dall’erario.
D’altronde, proprio con riguardo al richiamato art. 37, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, si è affermato che, in tema di accertamento dei redditi, la suddetta norma non distingue tra interposizione fittizia e interposizione reale, nella quale non vi è un accordo simulatorio tra le persone che prendono parte all’atto, ma richiede la prova, anche attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti e che possono consistere, in caso di reddito di impresa, anche nella gestione uti dominus dell’impresa e RAGIONE_SOCIALE sue risorse finanziarie, che il contribuente sia l’effettivo possessore del reddito del soggetto interposto; spetta, poi, al contribuente dare la prova contraria dell’assenza di interposizione, o della mancata percezione, in tutto o in parte, dei redditi del soggetto interposto (Cass., 17 febbraio 2022, n. 5276). E si è altrettanto significativamente affermato che in tema di accertamento su IVA e imposte dirette, ai sensi dell’art. 37, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, nei confronti del soggetto che abbia gestito uti dominus una RAGIONE_SOCIALE di capitali si determina la traslazione del reddito d’impresa, e RAGIONE_SOCIALE relative imposte, quale effettivo possessore del reddito della RAGIONE_SOCIALE interposta, e si instaura, inoltre, un rapporto di mandato senza rappresentanza, dove il mandatario è il gestore uti dominus e la mandante è la RAGIONE_SOCIALE, sicché, ove le prestazioni di servizi cui il primo abbia partecipato per conto della seconda siano soggette a Iva, vi è soggetto pure il rapporto giuridico tra il mandatario e la RAGIONE_SOCIALE interposta, incombendo sull’Amministrazione finanziaria l’onere di provare, anche solo in via indiziaria, il totale asservimento della RAGIONE_SOCIALE interposta all’interponente, ed al contribuente quello di fornire la prova contraria dell’assenza di interposizione, ovvero della mancata percezione dei redditi del soggetto interposto (Cass., 25 luglio 2022, n. 23231).
Peraltro questa Corte, con orientamento ormai consolidato, ha affermato che in tema di accertamento RAGIONE_SOCIALE imposte sui redditi, nel caso di RAGIONE_SOCIALE di capitali a ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà per il contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, ma siano stati invece accantonati dalla RAGIONE_SOCIALE, ovvero da essa reinvestiti, non essendo tuttavia a tal fine sufficiente la mera deduzione che l’esercizio sociale ufficiale si sia concluso con perdite contabili (cfr. Cass., 2 marzo 2011, n. 5076; 12 aprile 2013, n. 8954; 22 novembre 2017, n. 27778; 9 luglio 2018, n. 18042). Ciò
vale anche in ipotesi di assenza di rapporti di parentela, in quanto la ristrettezza della base sociale implica di per sé un elevato grado di compartecipazione dei soci, la conoscenza degli affari sociali e la consapevolezza dell’esistenza di utili extra-bilancio (Cass., 18 novembre 2014, n. 24572).
Quello che rileva dunque è la ristrettezza dell’assetto societario, che implica un vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci nella gestione sociale, con la conseguenza che, una volta ritenuta operante detta presunzione, spetta poi al contribuente fornire la prova contraria che i ricavi extracontabili non siano stati distribuiti tra i soci (Cass., 24 gennaio 2019, n. 1947). La forma partecipativa consente dunque di riconoscere, ai fini della prova presuntiva, i requisiti richiesti dall’art. 27 29 cod. civ., senza tuttavia ricondurne il fondamento nell’alveo dell’art. 5 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, applicabile invece alle sole RAGIONE_SOCIALE di persone.
Quanto alle questioni che si pongono in ordine al divieto della doppia presunzione, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che in tema di accertamento il principio praesumptum de praesumpto non admittitur (o divieto di doppie presunzioni o divieto di presunzioni di secondo grado o a catena) è in realtà inesistente, non essendo riconducibile agli artt. 2729 e 2697 cod. civ., né a qualsiasi altra norma dell’ordinamento. Si è in particolare affermato che la prova inferenziale, che sia caratterizzata da una serie lineare di inferenze, ciascuna RAGIONE_SOCIALE quali sia apprezzata dal giudice secondo criteri di gravità, precisione e concordanza, fa sì che il fatto “noto” attribuisca un adeguato grado di attendibilità al fatto “ignorato”, il quale cessa pertanto di essere tale per divenire noto, ciò che risolve l’equivoco logico che si cela nel divieto di doppie presunzioni (Cass., 16 giugno 2017, n. 15003; 7 dicembre 2020, n. 27982). Pertanto, si è chiarito, ben può il fatto noto, accertato in via presuntiva, costituire la premessa di un’ulteriore presunzione idonea, per essere a sua volta adeguata, a fondare l’accertamento del fatto ignoto (Cass., 1 agosto 2019, n. 20748).
Nel caso di specie il giudice regionale ha fatto corretta applicazione dei principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità.
NUMERO_DOCUMENTO AVV_NOTAIO rel. COGNOME COGNOME COGNOME, a fronte della valutazione in fatto operata dalla commissione regionale, le difese articolate nei tre motivi di ricorso, laddove pretendono di criticare la pronuncia in punto di errore giuridico
nell’applicazione o nella interpretazione RAGIONE_SOCIALE norme richiamate, in realtà sottendono una sollecitazione alla rivalutazione dell’impianto probatorio. Le critiche, infatti, soffermandosi sul contenuto e sugli esiti degli accertamenti riportati nell’atto im pugnato, o sulle dichiarazioni rese dai terzi sentiti dai militari verificatori, oppure, ancora, sulle condotte e sul ruolo dei ricorrenti, impingono nel merito, così richiedendo al giudice di legittimità un intervento inammissibile in questa sede, perché appartenente al solo giudice di merito.
Né la motivazione della sentenza può essere denunciata per vizi logici o errori materiali, soli vizi per i quali il giudice di legittimità ha potere d’intervento per sanzionarne la non rispondenza ai parametri di valutazione degli elementi probatori che sono richiesti al giudice di merito nel sindacato sui fatti.
I tre motivi vanno in definitiva rigettati, non riuscendo ad intaccare la correttezza giuridica della pronuncia, né la logica argomentativa utilizzata dal giudice d’appello nel vagliare i fatti di causa.
Il rigetto dei primi tre motivi assorbe il quarto, con cui la difesa del contribuente ha denunciato la v iolazione e falsa applicazione dell’art. 2729 cod. civ ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3) cod. proc. civ., quanto alla valutazione attribuita dalla commissione regionale alle dichiarazioni rese dai terzi ai militari della GdF, che a detta della difesa sarebbe priva della gravità, precisione e concordanza richiesta per la prova presuntiva.
Il ricorso va dunque rigettato. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate nella misura specificata in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento in favore dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE spese di causa, che si liquidano nella misura di € 4.000,00, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quella prevista per il ricorso, a norma del comma 1-bis del medesimo articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il giorno 20 dicembre 2023