Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 25690 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 25690 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/09/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 12685/2017 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore generale pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato
-ricorrente –
CONTRO
COGNOME rappresentato e difeso per procura speciale in atti dall’avv. NOME COGNOME del foro di Caserta
-controricorrente – avverso la sentenza n. 10255/32/2016 della Commissione tributaria regionale della Campania, depositata in data 18.11.2016, non notificata;
udita la relazione svolta alla pubblica udienza del giorno 3.6.2025 dal Cons. NOME COGNOME
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito per l’Agenzia delle Entrate l’Avvocatura dello Stato, in persona dell’avv. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Distribuzione utili extracontabili -società di capitali a ristretta basesocio occulto – indagini bancarie.
1.COGNOME NOME, socio al 50% della RAGIONE_SOCIALE, impugnava l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate di Caserta per l’anno di imposta 2009, a seguito di indagini bancarie sulle movimentazioni compiute dal medesimo sui conti correnti di tre società di capitali, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE L’Ufficio accertava un reddito di capitale non dichiarato, da assoggettare a tassazione Irpef nella misura del 49,72%, con conseguente recupero delle maggiori imposte a titolo di Irpef, addizionale Irpef comunale ed addizionale Irpef regionale, oltre sanzioni ed interessi.
2.La Commissione Tributaria Provinciale di Caserta, nella resistenza dell’Agenzia delle Entrate, accoglieva il ricorso, ritenendo che il ricorrente non rivestisse la qualità di socio in due delle tre società, di tal che, in assenza di prova rigorosa che ne fosse socio occulto, non era giustificata l’attribuzione del reddito complessivo di tutte e tre le società. Con riguardo alla società RAGIONE_SOCIALE, di cui era socio al 50%, non emergevano elementi utili per poter quantificare le somme eventualmente da attribuire al ricorrente. Annullava integralmente l’atto impugnato.
3.La Commissione Tributaria Regionale della Campania (d’ora in poi C.T.R.), adita dall’Ufficio, respingeva il gravame, dando atto dell’oscillazioni giurisprudenziali sull’idoneità o meno della delega ad operare sul conto corrente a dimostrare la qualità di socio occulto e condivideva la decisione adottata dai giudici di primo grado.
4.Avverso la precitata sentenza l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
5.COGNOME NOME resiste con controricorso.
6.La Procura Generale ha depositato requisitoria scritta.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo, rubricato « nullità della sentenza. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 36 del decreto legislativo n. 546/92
e dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 c.p.c.» , l’Agenzia delle Entrate assume che la sentenza è carente di motivazione, essendosi la C.T.R. limitata a fare propria, trascrivendola testualmente, la motivazione della sentenza di primo grado, senza motivare in merito alle specifiche censure dell’ufficio ed omettendo pertanto un autonomo iter argomentativo, tale non potendosi considerare il preliminare richiamo ad orientamenti giurisprudenziali, peraltro condivisibili, non avendo spiegato il motivo per il quale aveva aderito ad uno piuttosto che all’altro degli orientamenti espressi dalla Suprema Corte, pur avendo dato atto che vi erano pronunce di segno contrario sulla delega ad operare sui conti correnti in contestazione.
2.Con il secondo motivo, rubricato « Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 32 del d.p.r. 600/73 e 51 d.p.r. 633/72, comma 1, n.3, c.p.c» , l’Ufficio deduce che le richiamate disposizioni impongono al contribuente di fornire analitica prova contraria delle movimentazioni bancarie dei conti correnti nella sua disponibilità. Nella specie, il COGNOME, nonostante la concessione di una proroga, non aveva prodotto alcuna documentazione o fornito alcuna giustificazione in merito alle movimentazioni dei conti correnti intestati alle tre società, sui quali operava in virtù di delega e poteri di firma, circostanze queste mai contestate. Secondo la ricorrente, la giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto che l’A.F. ha il potere di fondare l’accertamento anche in presenza di conti formalmente intestati a terzi ed anche senza provare l’intestazione fittizia. Inoltre, la delega ad operare sui conti equivale al potere di disporre dei relativi redditi. La C.T.R avrebbe pertanto dovuto esaminare anche gli aspetti della mancata risposta alla richiesta di chiarimenti e della mancata giustificazione delle movimentazioni bancarie sui conti correnti che erano da ritenersi presuntivamente nella sua disponibilità, in virtù della delega e del potere di firma. Infatti, il giudice tributario, ove ritenga invalido l’accertamento per
motivi sostanziali, non può limitarsi ad annullare l’atto, ma deve esercitare poteri sostitutivi.
I motivi sono fondati nei limiti che seguono.
Giova premettere che secondo la giurisprudenza di questa Corte la motivazione è solo «apparente» e la sentenza è nulla quando benché graficamente esistente, non renda percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., Sez. U., 7/4/2014 n. 8053). Con particolare riferimento alla tecnica motivazionale per relationem, questa Corte ha ripetutamente affermato che detta motivazione è valida, a condizione che i contenuti mutuati siano fatti oggetto di autonoma valutazione critica e le ragioni della decisione risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo (Cass., Sez. U., 4/6/2008 n. 14814).
3.1.La CTR, dopo aver trascritto la motivazione della sentenza della C.T.P., ha citato la giurisprudenza di legittimità sul riparto dell’onere della prova scaturente dal 32 del d.p.r. n. 600/73, con riferimento alla qualità di socio occulto di due società, dopo aver richiamato una giurisprudenza oscillante sull’ incidenza probatoria della delega ad operare sui conti correnti ed ha infine condiviso la decisione della C.T.P..
Ritiene il collegio che la motivazione contenga un autonomo iter argomentativo sulla questione della mancanza di prova della qualità di socio occulto al 100% delle tre società, avendo dato atto delle oscillazioni giurisprudenziali sulla idoneità della delega a dimostrare la qualità di socio occulto e, nel confermare la decisione di primo grado, ha implicitamente condiviso il precedente di legittimità di segno negativo. Il collegio ritiene pertanto rispettato il canone del ‘minimo costituzionale’.
3.2. Di contro, sulla deduzione, con il primo motivo di gravame, del dovere del giudice di quantificare la pretesa tributaria a prescindere dalla sua qualificazione ( pag. 2 della sentenza ) e sulla deduzione, con il secondo motivo, secondo cui l’onere della prova era a carico del contribuente, a prescindere dalla prova della qualità di socio, la C.T.R., pur avendo richiamato pertinente giurisprudenza, non ha emesso alcuna statuizione in merito alla posizione dell’appellato quale socio al 50% della RAGIONE_SOCIALE
Su tali questioni, sussiste pertanto il lamentato difetto di motivazione.
Anche il secondo motivo è parzialmente fondato.
Costituiscono dati pacifici l’esistenza di tre società (RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE), la qualità, in capo al controricorrente, di socio al 50% della RAGIONE_SOCIALE e l’esistenza di una delega ad operare sui conti correnti di tutte e tre le società.
4.1. Questa Corte ha precisato che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, legittimamente l’amministrazione finanziaria, nel procedere alla ricostruzione del reddito del contribuente, utilizza dati derivanti da movimenti bancari relativi a conti intestati a terzi (senza necessità di contestare tali dati al contribuente o al terzo), purché fornisca in giudizio la prova, anche presuntiva, che detti movimenti bancari, formalmente intestati al terzo, siano in realtà attribuibili al contribuente. (Cass. n. 4423/2003).
Anche in tema di Iva, questa Corte ha chiarito che l’art. 51, secondo comma, nn. 2 e 7 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 – che accorda all’ufficio il potere di richiedere agli istituti di credito notizie dei movimenti sui conti bancari intrattenuti dal contribuente e di presumere la loro inerenza ad operazioni imponibili, ove non si deduca e dimostri che i movimenti medesimi siano stati conteggiati nella dichiarazione annuale o siano ricollegabili ad atti non soggetti a tassazione – non trova applicazione con riguardo a conti bancari
intestati esclusivamente a persone diverse, ancorché legate al contribuente da vincoli familiari o commerciali, salvo che l’ufficio opponga e poi provi in sede giudiziale che l’intestazione a terzi è fittizia o comunque è superata, in relazione alle circostanze del caso concreto, dalla sostanziale imputabilità al contribuente medesimo delle posizioni creditorie e debitorie annotate sui conti.( Cass. n. 8826/2001, Cass. n. 11145/2011).
4.2. Pertanto, in caso di conti correnti formalmente intestati a terzi ( RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, il compimento di operazioni in virtù di una delega ad operare sugli stessi, non fa presumere di per sè la qualità di intestatario reale dei conti correnti, non essendo a tal fine sufficiente l’esistenza di una delega/potere di firma unitamente al rapporto di parentela con i soci delle (altre due) società, in difetto di ulteriori indizi da cui dedurre la concreta disponibilità del conto e degli importi movimentati (Cass. n. 3597/2016) e, per il caso che ci occupa, di una concreta partecipazione alla gestione delle altre due società mediante l’esercizio di poteri decisionali e di controllo, a maggior ragione in considerazione della circostanza, emersa nel giudizio di merito, dell’emissione di analogo avviso di accertamento nei confronti di COGNOME NOME, socio della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE, pure in possesso di delega per operare sui medesimi conti correnti.
4.3. Tuttavia, questa Corte ha anche più volte statuito che il processo tributario non è diretto alla mera eliminazione giuridica dell’atto impugnato, ma ad una pronuncia di merito, sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente che dell’accertamento dell’ufficio e, pertanto, il giudice tributario, quando ritiene invalido l’avviso di accertamento per motivi di ordine sostanziale, e non meramente formali, è tenuto a esaminare nel merito la pretesa tributaria e a ricondurla, mediante una motivata valutazione sostitutiva, alla corretta misura, entro i limiti posti dalle
domande di parte (Cass. n.31827/2024). Il processo tributario, infatti, è annoverabile tra quelli di “impugnazione-merito”, in quanto diretto ad una decisione sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente, sia, eventualmente, dell’avviso di accertamento o di rettifica dell’ufficio, sicché il giudice, ove ritenga in tutto o in parte invalido l’atto per motivi non formali, ma di carattere sostanziale, non può limitarsi ad accertare genericamente la debenza dell’imposta demandandone la sua successiva quantificazione ad una parte del giudizio, sia pure sulla base di alcuni criteri, atteso che l’art. 35, comma 3, ultimo periodo, del d.lgs. n. 546 del 1992, come interpretato alla luce degli artt. 111 Cost., 6 CEDU e 47 CDFUE, esclude la pronuncia di condanna indeterminata, rendendo necessario l’esame nel merito della pretesa, entro i limiti posti dalle domande di parte ( Cass. n. 34723/2022). E’ stato altresì precisato che il giudice tributario, nell’ambito di un processo a cognizione piena, diretto ad una decisione sostitutiva tendente all’accertamento sostanziale del rapporto controverso, quando ravvisi l’infondatezza parziale della pretesa dell’Amministrazione, non deve, né può, limitarsi ad annullare “in toto” l’atto impositivo, ma deve accertare e quantificare entro i limiti posti dal “petitum” delle parti l’entità della pretesa fiscale, dandone un contenuto quantitativo diverso da quello sostenuto dai contendenti, avvalendosi degli ordinari poteri di indagine e di valutazione dei fatti e delle prove consentiti dagli artt. 115 e 116 c.p.c., in tal modo determinando l’ammontare effettivo delle imposte e delle sanzioni dovute dal contribuente, senza che ciò violi il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato e senza che ciò costituisca attività amministrativa di nuovo accertamento, rappresentando invece soltanto l’esercizio dei poteri di controllo, di valutazione e di determinazione del “quantum” della pretesa tributaria ( Cass. n. 3080/2021).
4.4. Ne consegue che ha errato il giudice del gravame a non procedere alla rideterminazione del reddito di partecipazione, nei limiti della quota del 50%, con riferimento alle movimentazioni sul conto della società RAGIONE_SOCIALE, applicando i criteri di riparto dell’onere della prova scaturenti dall’art. 32 del d.p.r. 600/73, tenuto conto del consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui la presunzione di cui all’art. 32, comma 1, n. 2, d.P.R. n. 600 del 1973 dettata in materia di imposte sui redditi (secondo la quale i prelevamenti e gli importi riscossi nell’ambito di rapporti bancari, in difetto di indicazione del soggetto beneficiario o in mancanza di annotazione nelle scritture contabili, sono considerati ricavi o compensi posti a base delle rettifiche operate ai sensi degli artt. 38-41 dello stesso decreto, ove il contribuente non dimostri che ne ha tenuto conto nella dichiarazione dei redditi ovvero che tali somme rimangono escluse dalla formazione dell’imponibile), omologa a quella stabilita dall’art. 51, comma 2, n. 2, d.P.R. n. 633 del 1972 in materia di IVA, consente» di riferire a redditi (e, nel secondo caso, a ricavi) imponibili, conseguiti nell’attività economica svolta dal contribuente, tutti i movimenti bancari rilevati dal conto, qualificando gli “accrediti” (e, per le sole attività imprenditoriali, anche gli “addebiti”) come ricavi; trattasi di presunzione legale “juris tantum” che consente prova contraria da parte del contribuente ( cfr. Cass. n. 8718/2021).
4.5. Inoltre, nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, va richiamato il consolidato orientamento di legittimità secondo cui è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà per il contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, ma siano stati invece accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti o che di essi se ne sia appropriato altro soggetto, non essendo tuttavia a tal fine sufficiente la mera deduzione che l’esercizio sociale ufficiale si
sia concluso con perdite contabili (cfr. Cass. V n. 5076/2011; n. 17928/2012; n. 27778/2017; n. 30069/2018; 27049/2019, nonché Cass. VI -5 n. 24820/2021). In particolare, si è chiarito che la presunzione di distribuzione ai soci degli utili non contabilizzati non viola il divieto di presunzione di secondo grado, poiché il fatto noto non è costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi induttivamente accertati, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci che, in tal caso, normalmente caratterizza la gestione sociale (Cass. 22 aprile 2009, n. 9519). E’ stato altresì precisato che, salvo prova contraria a carico del socio, si presume che la distribuzione sia avvenuta in misura proporzionata alla quota di partecipazione e nell’anno in cui sono stati conseguiti dalla società maggiori ricavi, stante che, in mancanza -trattandosi di utili occulti -di una deliberazione ufficiale di approvazione del bilancio (soltanto dopo la quale può essere effettuata la distribuzione degli utili dichiarati), la distribuzione ai soci degli utili extracontabili si presume avvenuta nello stesso periodo d’imposta in cui gli utili sono stati conseguiti dalla società (ex multis, cfr. Cass. 18/12/2015, n. 25468; Cass. 26/03/2007, n. 7260; Cass. 15/05/2003, n. 7564). 5. Il ricorso va conclusivamente accolto per quanto di ragione, la sentenza cassata e rinviata alla Corte di giustizia di secondo grado della Campania, in diversa composizione, per un nuovo e motivato esame, che tenga conto dei principi sopra illustrati, limitatamente alla posizione di socio al 50% della RAGIONE_SOCIALE
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione e rinvia per un nuovo esame alla C.G.T.2 della Campania, in diversa composizione, oltre che per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 3.6.2025.
Il consigliere estensore
Il Presidente
(NOME COGNOME
(NOME COGNOME)