Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21303 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 21303 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/07/2025
AVVISO ACCERTAMENTO IRPEF 2007
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 20432/2019 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro-tempore, domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ex lege , -ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME in virtù di procura speciale in calce al controricorso,
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania n. 200/2019, depositata il 15 gennaio 2019; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20 marzo 2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
viste le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del sost. proc. gen. dott. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’acquisizione del fascicolo di merito per verificare se sia presente l’attestazione formale del passaggio in giudicato della sentenza penale indicata in controricorso, ovvero, in subordine, che il ricorso sia dichiarato inammissibile, ovvero rigettato.
FATTI DI CAUSA
All’esito di verifica fiscale, l’Agenzia delle Entrate Direzione provinciale di Caserta emetteva, nei confronti di COGNOME NOME, avviso di accertamento n. TF7010603147/2014, notificato il 16 ottobre 2014, con il quale rettificava il reddito dichiarato dallo stesso COGNOME per l’anno d’imposta 2007, richiedendo una maggiore IRPEF di € 316.263,00, una maggiore addizionale regionale di € 10.307,00 e una maggiore addizionale comunale di € 3.739,00, con l’irrogazione di una sanziona amministrativa di € 330.309,00.
Il maggior reddito in questione era stato imputato al contribuente ex art. 5 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (testo unico delle imposte sui redditi) e derivava, secondo gli assunti dell’Ufficio, dall’asserita partecipazione dello stesso, in qualità di socio di fatto, nelle società di capitali olandesi RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE (nelle quali, secondo gli assunti dell’Ufficio, il contribuente aveva una partecipazione del 20%), nonché della RAGIONE_SOCIALE (nella quale il COGNOME avrebbe avut o una partecipazione dell’1%) , ritenute frutto di esterovestizione e fittiziamente residenti nei Paesi Bassi.
Avverso l’avviso di accertamento n. TF7010603147/2014 COGNOME NOME proponeva ricorso dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Caserta la quale, con sentenza n.
4628/2015, depositata il 29 giugno 2015, lo accoglieva, ritenendo non sussistente la partecipazione societaria ipotizzata dall’Ufficio nelle società di fatto suindicate.
Interposto gravame dall’Agenzia delle Entrate , la Commissione Tributaria Regionale della Campania, con sentenza n. 200/2019, depositata il 15 gennaio 2019, rigettava l’appello, compensando le spese di lite .
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, sulla base di quattro motivi (ricorso notificato il 25 giugno 2019).
COGNOME NOME resiste con controricorso.
Con decreto del 16 dicembre 2024 è stata fissata la discussione del ricorso dinanzi a questa sezione per la pubblica udienza del 20 marzo 2025.
Il controricorrente ha depositato memoria.
All’udienza suddetta sono comparsi i procuratori delle parti, che hanno concluso come da verbale in atti.
Il Pubblico Ministero ha concluso chiedendo l’ acquisizione del fascicolo processuale dei gradi di merito per verificare se sia presente l’attestazione formale del passaggio in giudicato della sentenza penale indicata in controricorso, ovvero, in subordine, che il ricorso sia dichiarato inammissibile, ovvero rigettato.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso in esame è affidato, come si è detto, a quattro motivi.
1.1. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate eccepisce nullità della sentenza impugnata per motivazione apodittica ed apparente; violazione degli artt. 36, comma 2, e 61 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nonché dell’art. 132,
comma 2, num. 4), c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, num. 4), c.p.c.
Deduce, in particolare, l’Ufficio che la sentenza della C.T.R. sarebbe priva di reale ed effettiva motivazione, essendosi limitata a richiamare la sentenza della C.T.R. Lombardia n. 4522/2017 del 9 novembre 2017, escludendo, senza indicare le basi e gli elementi di tale esclusione (a fronte della indiscutibile esistenza di plurimi elementi in senso contrario all’esclusione , come descritti nei P.V.C. redatti dalla G.d.F. nonché negli avvisi di accertamento) l’esistenza di una società di fatto , e negando q uindi l’applicazione delle presunzioni di legge.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso si eccepisce nullità della sentenza per violazione degli artt. 14, 60 e 61 del d.lgs. n. 546/1992 e dell’a rt. 102 c.p.c., in materia di litisconsorzio necessario, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 4), c.p.c.
Sostiene, in particolare, l’Ufficio ricorrente che, vertendosi in tema di avviso di accertamenti di redditi riferibili a società di fatto ed imputati per trasparenza direttamente ai soci, il relativo giudizio avrebbe dovuto svolgersi unitamente agli altri soci ed alle società di fatto, unico essendo il presupposto impositivo.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate deduce violazione del combinato disposto degli artt. 1 d.lgs. n. 546/1992 e 295 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, num. 4), c.p.c.
Rileva, in particolare, l’ente impositore che, proprio perché erano pendenti numero controversie connesse per la vicenda inerente al c.d. ‘Gruppo Barletta’, il giudice di merito avrebbe dovuto disporre la sospensione del presente giudizio, ai sensi del com binato disposto dell’art. 1 d.lgs. n. 546/1992 e 295
c.p.c., in attesa del passaggio in giudicato della sentenza emessa nei confronti della società, costituendo l’accertamento tributario nei confronti delle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE un indispensabile antecedente logico-giuridico di quello nei confronti dei soci, in virtù dell’unico atto amministrativo da cui entrambe le rettifiche promanano.
1.4. Con il quarto motivo di ricorso, infine, l’Agenzia delle Entrate deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2247, 2727, 2729 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c.
Rileva, in particolare, che erroneamente la C.T.R. della Campania aveva ritenuto non provata l’esistenza di una società di fatto tra la RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, delle quali il COGNOME sarebbe stato socio di fatto del 20% per l’anno d’imposta 2007, e RAGIONE_SOCIALE, della quale lo stesso COGNOME sarebbe stato socio dell’1%, e la partecipazione dello stesso COGNOME nelle predette società di fatto, esistendo al contrario specifici elementi probatori riguardanti invece l’esistenza di tali società di fatto e la partecipazione in esse del Pisanti, quali si evincevano dagli avvisi di accertamento già emessi nei confronti delle suddette società.
Così delineati i motivi di ricorso, la Corte osserva quanto segue.
2.1. ll primo motivo è infondato.
E’ noto che, per costante giurisprudenza di questa Corte, ricorre il vizio di mancanza di motivazione, o di motivazione apparente della sentenza, allorquando il giudice di
merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento, restando il sindacato di legittimità sulla motivazione circoscritto alla sola verifica della violazione del minimo costituzionale richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost. (tra le altre, Cass. 15 novembre 2022, n. 33649; Cass. 7 aprile 2017, n. 9105).
In particolare, la motivazione è solo apparente e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo – quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. 9 settembre 2022, n. 26618).
Nella fattispecie in esame, la Corte regionale ha, sia pur succintamente, dato conto delle ragioni poste a fondamento della sua decisione, ritenendo non provata la qualità di socio del COGNOME delle società di fatto olandesi (ritenuta privo di ‘effettivo riscontro’), sulla b ase di quanto già affermato da altra sentenza della C.T.R. della Lombardia, riguardante la medesima vicenda societaria, e tenuto conto del fatto che non vi era prova dell’ affectio societatis in capo al COGNOME, il quale operava, al più, come consulente, mentre l’unico effettivo dominus delle società presunte esterovestite era tale COGNOME Giuseppe, l’unico che aveva fornito della apporti patrimoniali alle società in questione.
La sentenza impugnata quindi, appare adeguatamente motivata, in merito all’esclusione della qualità di socio di fatto di COGNOME.
2.2. Anche il secondo motivo è infondato
Nel caso di specie il ricorrente contesta essenzialmente la propria qualità di socio di fatto, e la stessa esistenza di una società di fatto.
Orbene, la sussistenza del litisconsorzio impone l’integrazione del contraddittorio quando sia ritenuta operante una società di fatto e si dibatta del reddito di partecipazione conseguito dal socio, anche occulto. Nel caso di specie, però, oggetto di controversia è la stessa sussistenza di una società di fatto, che è stata esclusa sia dal giudice del primo che dal giudice del secondo grado, sia con riferimento ai soci sia con riferimento alle società.
Va rilevato, inoltre, che, «nel giudizio di cassazione, in presenza di un accertamento di maggiore imponibile a carico di una società di persone ai fini delle imposte dirette, Irap e Iva, fondato sugli stessi fatti o su elementi comuni, la nullità dei giudizi di merito – per essere stati celebrati, in violazione dei principio del contraddittorio, senza la partecipazione di tutti i litisconsorti necessari (società e soci) – non va dichiarata qualora il ricorso per cassazione dell’Amministrazione finanziaria risulti inammissibile o prima facie infondato, atteso che in tal caso, non derivando ai litisconsorti pretermessi alcun danno dalla detta pronuncia, disporre la rimessione al giudice di primo grado contrasterebbe con i principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, che hanno
fondamento nell’art. 111, comma 2, Cost. e nell’art. 6, par. 1, CEDU» (Cass. 3 febbraio 2021, n. 18890).
Principio che trova senz’altro applicazione nel caso di specie, in cui l’illegittimità dell’avviso di accertamento si fonda sull’esclusione ‘a monte’ della sussistenza della partecipazione societaria attribuita al COGNOME.
Del resto questa Corte regolatrice non ha mancato di statuire che «nel giudizio di cassazione, il rispetto del principio della ragionevole durata del processo impone, in presenza di un’evidente ragione d’inammissibilità del ricorso o qualora questo sia prima facie infondato, di definire con immediatezza il procedimento, senza la preventiva integrazione del contraddittorio nei confronti dei litisconsorti necessari cui il ricorso non risulti notificato, trattandosi di un’attività processuale del tutto ininfluente sull’esito del giudizio e non essendovi, in concreto, esigenze di tutela del contraddittorio, delle garanzie di difesa e del diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità» (Cass. 10 maggio 2018, n. 11287).
Anche il secondo motivo di ricorso risulta pertanto infondato e deve perciò essere respinto.
2.3. Il terzo motivo è anch’esso infondato.
In materia, questa Corte regolatrice ha avuto condivisibilmente occasione di chiarire che «in tema di sospensione del processo, nel caso in cui il giudizio pregiudicante sia stato deciso con una sentenza impugnata, trova applicazione l’art. 337, comma 2, c.p.c., e, poiché la sentenza, ancor prima e indipendentemente dal suo passaggio in giudicato, esplica una funzione di accertamento al di fuori del
processo, l’ambito di applicazione del predetto art. 337, comma 2, deve essere esteso alle impugnazioni diverse dalla revocazione straordinaria e dalla opposizione di terzo, e la stessa disposizione deve essere interpretata nel senso che essa impone al giudice l’alternativa di tenere conto della sentenza invocata – che è quella sulla quale può essere fondata un’azione o un’eccezione – senza alcun impedimento derivante dalla sua impugnazione o dalla sua impugnabilità, o di sospendere il processo nell’esercizio del suo potere discrezionale» (Cass. 17 novembre 2021, n. 34966). Inoltre, già le Sezioni Unite avevano statuito che «in tema di sospensione del giudizio per pregiudizialità necessaria, salvi i casi in cui essa sia imposta da una disposizione normativa specifica che richieda di attendere la pronuncia con efficacia di giudicato sulla causa pregiudicante, quando fra due giudizi esista un rapporto di pregiudizialità tecnica e quello pregiudicante sia stato definito con sentenza non passata in giudicato, la sospensione del giudizio pregiudicato non può ritenersi obbligatoria ai sensi dell’art. 295 c.p.c. (e, se disposta, può essere proposta subito istanza di prosecuzione ex art. 297 c.p.c.), ma può essere adottata, in via facoltativa, ai sensi dell’art. 337, secondo comma, c.p.c., applicandosi, nel caso del sopravvenuto verificarsi di un conflitto tra giudicati, il disposto dell’art. 336, secondo comma, c.p.c.», (Cass., sez. un., 29 luglio 2021, n. 21763).
Pertanto, la C.T.R. non era tenuta a sospendere il giudizio e, nell’esercizio della sua discrezionalità valutativa, ha legittimamente ritenuto di non disporre la sospensione.
2.4. Il quarto motivo, infine, è inammissibile.
La ricorrente, infatti, attraverso la censura riguardante una presunta violazione degli artt. 2247, 2727, 2729 e 2697 c.c., in materia di prove e presunzioni, contesta, in realtà, la valutazione in fatto operata dalla C.T.R. , circa l’esclusione della partecipazione del Pisanti alle asserite società di fatto di diritto olandese oggetto di accertamento.
Non a caso, nel motivo in questione l’Ufficio riporta una serie di stralci dell’avviso di accertamento, e censura la sentenza impugnata per «non aver ravvisato in tali circostanze valide presunzioni dell’esistenza di società, sia pure quali società di fatto e del ruolo di socio del COGNOME» (pag. 43 del ricorso), così, sostanzialmente, chiedendo a questa Corte un nuovo accertamento di fatto, circa la parteciazione societaria in questione, che invece, sempre sulla base di un motivato giudizio di fatto, è stata esclusa dalla Corte territoriale.
Il ricorso, quindi, in conclusione, deve essere rigettato.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza dell’Agenzia delle Entrate, secondo la liquidazione di cui al dispositivo.
Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere Amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1quater .
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna l’Agenzia delle Entrate alla rifusione, in favore di COGNOME NOME, delle spese del presente giudizio, che si liquidano in € 8.000,00 per compensi ed € 200,00 per esborsi , oltre 15% per rimborso spese generali, C.A.P. ed I.V.A.
Così deciso in Roma, il 20 marzo 2025.