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Socio accomandante e reati: redditi e sanzioni

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 16242/2024, ha stabilito che un socio accomandante è tenuto a pagare le imposte sui redditi derivanti da attività illecite commesse dall’amministratore, anche se non coinvolto nel reato. In base al principio di trasparenza fiscale, il reddito della società è imputato a tutti i soci. La Corte ha inoltre chiarito che l’assoluzione penale non esime il socio accomandante dalle sanzioni fiscali, la cui colpa risiede nel mancato esercizio del potere di controllo sui bilanci societari.

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Pubblicato il 27 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Socio Accomandante: Responsabilità Fiscale per Reati dell’Amministratore

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 16242 del 11 giugno 2024, affronta un tema cruciale per chiunque rivesta il ruolo di socio accomandante in una società di persone: la responsabilità per i redditi e le sanzioni derivanti da illeciti commessi da altri soci. La decisione chiarisce che, in virtù del principio di trasparenza fiscale, il reddito prodotto dalla società, anche se di provenienza illecita, si imputa a tutti i soci, compreso quello accomandante, a prescindere da un suo coinvolgimento diretto. Approfondiamo i contorni di questa importante pronuncia.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da un avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle Entrate a un socio accomandante di una società in accomandita semplice (s.a.s.). L’Amministrazione Finanziaria contestava al socio, ai fini IRPEF, una quota dei maggiori redditi accertati in capo alla società per l’anno d’imposta 2010. Tali redditi derivavano da operazioni illecite poste in essere dal socio amministratore.

Il contribuente impugnava l’atto, ma il suo ricorso veniva rigettato in primo grado. In appello, la Commissione Tributaria Regionale confermava l’accertamento del maggior reddito, ma annullava le sanzioni. I giudici regionali ritenevano che, essendo il socio accomandante stato assolto in sede penale e non avendo avuto un ruolo nella frode, mancasse l’elemento della colpa necessario per l’applicazione delle sanzioni.

Contro questa decisione, sia il contribuente (ricorso principale) che l’Agenzia delle Entrate (ricorso incidentale) si sono rivolti alla Corte di Cassazione.

La Posizione del Socio Accomandante e il Principio di Trasparenza

Il cuore della controversia risiede nell’applicazione dell’art. 5 del T.U.I.R., che sancisce il principio di trasparenza per le società di persone. Secondo tale principio, il reddito della società è imputato a ciascun socio pro quota, indipendentemente dall’effettiva percezione degli utili. La Corte di Cassazione ribadisce con forza la validità di questo meccanismo anche in presenza di redditi di provenienza illecita.

I giudici supremi sottolineano come la società di persone agisca come uno “schermo” dietro il quale operano i soci. La produzione del reddito avviene presso l’ente collettivo, ma l’imputazione fiscale è diretta e immediata in capo ai singoli soci. Questa “immedesimazione” tra società e soci rende irrilevante, ai fini fiscali, che l’attività illecita sia stata posta in essere da un solo amministratore e che gli utili siano stati da questi sottratti. Il reddito, una volta prodotto dalla società, si considera giuridicamente entrato nel patrimonio di tutti i soci, secondo le rispettive quote.

Di conseguenza, il ricorso del contribuente, volto a contestare l’applicazione di tale principio, è stato rigettato. La Corte ha affermato che il reddito realizzato da una società di persone a seguito dell’attività delittuosa di taluni soci va imputato a tutti, a nulla rilevando che altri non abbiano concorso nel reato.

Responsabilità e Sanzioni del Socio Accomandante

Il punto più innovativo e rilevante della sentenza riguarda l’appello dell’Agenzia delle Entrate e la questione delle sanzioni. La Corte ha accolto il ricorso dell’Ufficio, cassando la sentenza regionale nella parte in cui annullava le sanzioni al socio accomandante.

La Cassazione ha chiarito che l’assenza di responsabilità penale non è sufficiente a escludere la colpevolezza in ambito tributario. La colpa del socio accomandante non va ricercata nella partecipazione all’illecito penale, bensì nell’omissione di un dovere specifico previsto dalla disciplina civilistica.

Le motivazioni

La motivazione della Corte si fonda sull’articolo 2320 del codice civile, che, pur vietando al socio accomandante di compiere atti di amministrazione, gli conferisce il diritto di avere comunicazione del bilancio e di controllarne l’esattezza. Secondo la Suprema Corte, la colpa che giustifica l’irrogazione della sanzione per infedele dichiarazione consiste proprio nell'”omesso od insufficiente esercizio del potere di controllo sull’esattezza dei bilanci della società”.

In altre parole, l’estraneità del socio accomandante alla gestione attiva non lo trasforma in un soggetto passivo e privo di responsabilità. Egli ha il potere e il dovere di vigilare sulla correttezza dei dati contabili che determinano il reddito imponibile. Il mancato o negligente esercizio di questo controllo integra quell’elemento di colpa sufficiente a giustificare l’applicazione delle sanzioni tributarie, rendendo irrilevante l’esito del procedimento penale, che si basa su presupposti differenti.

Le conclusioni

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso principale del contribuente e accolto quello incidentale dell’Agenzia delle Entrate. La sentenza impugnata è stata cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Veneto, che dovrà riesaminare la questione delle sanzioni applicando il principio di diritto enunciato. La pronuncia rappresenta un monito significativo per i soci accomandanti: la loro posizione, sebbene limitata nella responsabilità patrimoniale, non li esonera da un dovere di vigilanza attiva. Ignorare i bilanci o non esercitare i propri poteri di controllo può comportare non solo l’imputazione di redditi illeciti, ma anche la piena responsabilità per le relative sanzioni fiscali.

Un socio accomandante è responsabile per i redditi derivanti da un reato commesso dall’amministratore della società?
Sì. Secondo la Corte, in base al principio di trasparenza fiscale, il reddito realizzato dalla società di persone, anche se derivante dall’attività delittuosa di un solo socio, va imputato a tutti i soci in proporzione alla loro quota, indipendentemente dal loro concorso nel reato.

L’assoluzione in sede penale del socio accomandante lo esonera dalle sanzioni fiscali?
No. La Corte ha stabilito che l’assenza di responsabilità penale non esclude la colpa in ambito tributario. La colpa del socio accomandante consiste nell’omesso o insufficiente esercizio del potere di controllo sull’esattezza dei bilanci della società, un dovere previsto dal codice civile.

Il principio di trasparenza si applica anche se i profitti illeciti sono andati a vantaggio del solo socio amministratore?
Sì. L’imputazione del reddito ai soci è indipendente dalla sua effettiva percezione. La Corte considera la produzione del reddito a livello societario come il presupposto sufficiente per l’imputazione pro quota a ciascun socio, essendo irrilevanti le vicende interne successive relative alla sua distribuzione o sottrazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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