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Società schermo: quando i costi non sono deducibili

Un professionista ha utilizzato una società da lui controllata come ‘società schermo’ per dedurre costi altrimenti non ammessi. L’Agenzia delle Entrate ha contestato l’operazione. Dopo una lunga vicenda giudiziaria, la Corte di Cassazione ha confermato l’indeducibilità dei costi, stabilendo che la società, priva di reale autonomia e con il professionista come unico cliente, rappresentava un’operazione elusiva basata sul principio della sostanza sulla forma.

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Pubblicato il 25 agosto 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Società Schermo: La Cassazione Conferma l’Indeducibilità dei Costi

L’utilizzo di una società schermo per ottenere vantaggi fiscali indebiti è una pratica che il Fisco contrasta con fermezza. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito questo principio, confermando la legittimità di un avviso di accertamento che negava la deducibilità dei costi fatturati da una società di servizi a un professionista, il quale era al contempo socio di maggioranza e unico cliente della stessa.

I Fatti del Caso: Una Lunga Battaglia Legale

La vicenda riguarda un ingegnere, esercente la libera professione, che aveva ricevuto un avviso di accertamento dall’Agenzia delle Entrate per l’anno d’imposta 2008. L’Amministrazione Finanziaria contestava l’indeducibilità di costi per servizi vari (progettazione, software, segreteria) fatturati da una S.r.l. al professionista.

L’elemento centrale della contestazione era la natura della società: essa era controllata dallo stesso professionista e da sua moglie, e tutte le 32 fatture emesse nell’anno di riferimento erano intestate esclusivamente all’ingegnere. In pratica, il professionista era l’unico cliente della sua stessa società. Inoltre, era emerso che il corrispettivo fatturato non era basato sulle attività rese, ma sui costi sostenuti dalla società, un elemento considerato anomalo e indicativo di una mancanza di autonomia.

Il contenzioso si è protratto per anni, con un andamento altalenante. Inizialmente i giudici di merito avevano dato ragione al contribuente, ma le loro sentenze sono state cassate per ben due volte dalla Corte di Cassazione per motivazione apparente. Solo al terzo giudizio di secondo grado, la Corte di Giustizia Tributaria ha infine accolto le ragioni dell’Agenzia delle Entrate, portando il professionista a presentare un ultimo ricorso in Cassazione.

La Questione Giuridica: Società Schermo e Abuso del Diritto

Il cuore della controversia risiede nella qualificazione della società come mera società schermo. Secondo l’Agenzia, la S.r.l. non svolgeva una reale attività economica autonoma, ma fungeva da mero strumento per permettere al professionista di dedurre costi che, come persona fisica, non avrebbe potuto scaricare. L’operazione, quindi, era finalizzata a ottenere un indebito risparmio fiscale.

Il professionista, dal canto suo, lamentava un difetto di motivazione della sentenza impugnata e l’errata applicazione delle norme sull’accertamento parziale, sostenendo che l’Ufficio non avesse correttamente applicato le procedure antielusive.

Le Motivazioni della Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso del professionista, ritenendo le sue argomentazioni infondate. La decisione si basa su due pilastri fondamentali.

La Coerenza della Motivazione e il Principio di Sostanza sulla Forma

In primo luogo, i Giudici Supremi hanno stabilito che la motivazione della Corte di Giustizia Tributaria era logica, coerente e tutt’altro che apparente. Essa si fondava su elementi fattuali precisi e concordanti che dimostravano l’assenza di autonomia della società rispetto al professionista:

1. Controllo societario: Il professionista e sua moglie erano gli unici soci.
2. Unico cliente: Tutte le fatture erano emesse nei confronti del professionista.
3. Metodo di fatturazione anomalo: I corrispettivi erano legati ai costi della società, non al valore delle prestazioni.

La Cassazione ha chiarito un punto cruciale: l’accertamento non si basava sull’applicazione della specifica norma antielusiva allora vigente (art. 37-bis), ma sulla contestazione della deducibilità dei costi ai sensi dell’art. 54 del TUIR. L’intera costruzione societaria era stata ritenuta artificiosa, rendendo i relativi costi non inerenti all’attività professionale e quindi indeducibili. Il riferimento al ‘principio generale antielusivo’, elaborato dalle Sezioni Unite, serviva solo a rafforzare questo ragionamento, evidenziando che le operazioni prive di sostanza economica non possono produrre i vantaggi fiscali desiderati.

La Legittimità dell’Accertamento Parziale

In secondo luogo, la Corte ha respinto la censura relativa all’illegittimità dell’accertamento parziale (ex art. 41-bis D.P.R. 600/1973). Ha ricordato che tale strumento può essere utilizzato non solo per recuperare redditi non dichiarati, ma anche per contestare ‘l’esistenza di deduzioni, esenzioni ed agevolazioni in tutto o in parte non spettanti’. Poiché l’indagine era partita da un questionario inviato ai sensi dell’art. 32 del D.P.R. 600/1973, l’Ufficio aveva pieno titolo per procedere con un accertamento parziale mirato a recuperare i costi ritenuti indeducibili.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per Professionisti e Imprese

Questa ordinanza offre importanti spunti di riflessione. Riafferma con forza il principio della ‘sostanza sulla forma’: le strutture societarie devono corrispondere a una reale e autonoma attività economica e non possono essere utilizzate come meri espedienti per ridurre il carico fiscale. Per professionisti e imprenditori, la lezione è chiara: la creazione di società di servizi collegate alla propria attività è legittima solo se queste operano in modo autonomo sul mercato, con una propria logica economica e non come un semplice ‘alter ego’ del professionista stesso. In assenza di questi requisiti, il rischio è che l’intera costruzione venga considerata una società schermo, con la conseguente indeducibilità dei costi e l’applicazione di sanzioni.

Quando una società può essere considerata una ‘società schermo’ a fini fiscali?
Una società viene considerata ‘schermo’ quando è priva di una reale sostanza economica e autonomia operativa, essendo utilizzata principalmente per ottenere vantaggi fiscali indebiti. Gli indizi chiave emersi nel caso sono il controllo totale da parte del professionista, il fatto che quest’ultimo fosse l’unico cliente e l’adozione di criteri di fatturazione anomali, non basati su logiche di mercato ma sulla semplice copertura dei costi.

È necessario che l’Agenzia delle Entrate applichi la specifica norma antielusiva per contestare i costi fatturati da una società schermo?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che la contestazione può basarsi direttamente sulla mancanza dei requisiti di deducibilità del costo (come l’inerenza, prevista dall’art. 54 del TUIR), qualora l’intera operazione sia ritenuta artificiosa. Il principio generale antielusivo, che privilegia la sostanza economica sulla forma giuridica, può supportare tale valutazione senza la necessità di invocare una norma specifica.

L’accertamento parziale è uno strumento valido per contestare la deducibilità di costi?
Sì. L’art. 41-bis del D.P.R. 600/1973 permette di procedere con un accertamento parziale non solo per recuperare redditi non dichiarati, ma anche per contestare l’esistenza di ‘deduzioni, esenzioni ed agevolazioni in tutto o in parte non spettanti’. Pertanto, è uno strumento legittimo per recuperare a tassazione costi ritenuti indeducibili a seguito di attività istruttorie specifiche.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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