Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 19465 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 19465 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 15/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1535/2024 R.G. proposto da NOME COGNOME elettivamente domiciliato in Roma alla INDIRIZZO presso lo studio del prof. avv. COGNOME NOMECOGNOME dal quale è rappresentato e difeso unitamente all’avv. COGNOME COGNOMEricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato, dalla quale è rappresentata e difesa ope legis
-resistente- avverso la SENTENZA della CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA DI SECONDO GRADO DEL VENETO n. 1470/2022 depositata il 22 dicembre 2022
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 21 maggio 2025 dal Consigliere COGNOME NOME
FATTI DI CAUSA
La Direzione Provinciale di Treviso dell’Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti dell’ing. NOME COGNOME esercente l’attività di libero professionista, un avviso di accertamento parziale ex art. 41-
bis del D.P.R. n. 600 del 1973 con il quale rettificava la dichiarazione dei redditi dallo stesso presentata per l’anno 2008, contestando l’indeducibilità, per ritenuta carenza dei requisiti di cui all’art. 54 del D.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR), delle spese sostenute dal contribuente nell’anno predetto per servizi vari (disegno tecnico, preparazione di progetti, software , prestazioni di segreteria, contabilità di cantiere, ecc.) a lui forniti dalla <RAGIONE_SOCIALE; il tutto con le conseguenti riprese ai fini dell'IRPEF, dell'IRAP e dell'IVA.
Secondo la tesi sostenuta dall'Ufficio, la prefata società -di cui lo stesso ing. NOME era socio di maggioranza e presidente del consiglio di amministrazione- avrebbe svolto il ruolo di mero , essendosi accollata una serie di costi successivamente addebitati al menzionato professionista quali prestazioni di servizi, in tal modo consentendogli di contabilizzarli e dedurli dal reddito imponibile.
Il NOME impugnava tale avviso di accertamento dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Treviso, che accoglieva il suo ricorso, annullando l’atto impositivo.
La decisione era successivamente confermata dalla Commissione Tributaria Regionale del Veneto, che con sentenza n. 540/08/2016 del 29 aprile 2016 rigettava l’appello dell’Amministrazione Finanziaria.
Detta sentenza, tuttavia, veniva in sèguito cassata con rinvio da questa Corte, che con ordinanza n. 5131/2018 del 5 marzo 2018 accoglieva il primo, assorbente, motivo del ricorso per cassazione proposto dall’Agenzia delle Entrate, volto a denunciare la nullità dell’impugnata pronuncia per motivazione apparente.
Il susseguente giudizio di rinvio svoltosi dinanzi alla medesima Commissione Tributaria Regionale, in diversa composizione, esitava nella sentenza n. 718/07/19 del 18 settembre 2019, che nuovamente rigettava l’appello della parte pubblica.
Anche questa sentenza veniva, però, cassata con rinvio con ordinanza n. 30719/2021 del 29 ottobre 2021, in accoglimento dell’unico motivo del nuovo ricorso per cassazione esperito dall’Amministrazione, incentrato, al pari del precedente, sulla lamentata apparenza della motivazione sorreggente il «decisum» .
Pronunciando per la seconda volta in sede di rinvio, la designata Corte di giustizia tributaria di secondo grado (già CTR) del Veneto accoglieva, infine, l’appello erariale con sentenza n. 1470/2022 del 22 dicembre 2022; per l’effetto, rigettava l’originario ricorso del contribuente e confermava l’avviso di accertamento impugnato.
Contro tale sentenza il NOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
L’Agenzia delle Entrate si è limitata al deposito di un mero , ai soli fini della partecipazione all’eventuale udienza di discussione.
Il Consigliere delegato dal Presidente di Sezione, ravvisata la manifesta infondatezza del ricorso, ha formulato, ai sensi dell’art. 380bis , comma 1, c.p.c., una sintetica proposta di definizione accelerata del giudizio, comunicata ai difensori delle parti.
Entro quaranta giorni dalla comunicazione, con istanza sottoscritta dai suoi difensori muniti di una nuova procura speciale, il ricorrente ha chiesto la decisione.
La causa è stata, quindi, avviata alla trattazione in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c..
Nel termine di cui al comma 1, terzo periodo, dello stesso articolo il NOME ha depositato memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4) c.p.c., è denunciata la nullità dell’impugnata sentenza per difetto del requisito di cui all’art. 36, comma 2, n. 4) del D. Lgs. n. 546 del 1992.
1.1 A sostegno della sollevata censura si deduce quanto appresso:
-nell’avviso di accertamento oggetto di causa l’Agenzia delle Entrate aveva espressamente richiamato l’art. 37 -bis del D.P.R. n. 600 del 1973, contenente disposizioni antielusive, ; – la cennata questione era stata prospettata dal Marta fin dal ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, in cui si era eccepita la nullità dell’avviso di accertamento per violazione del comma 4 del citato art. 37bis , il quale impone all’ufficio finanziario di invitare il contribuente a rendere chiarimenti, anteriormente all’emanazione dell’atto impositivo; – la motivazione resa sul punto dalla CGT-2 investita del secondo giudizio di rinvio risulta apodittica e contraddittoria, avendo essa fatto riferimento e nel contempo affermato che .
1.2 La doglianza è infondata.
1.3 Pronunciando per la seconda volta in sede di rinvio, la CGT-2 veneta ha affermato essere «evidente che l’operato dell’Agenzia delle Entrate non e (ra) fondato su ‘illazioni’» , come asserito dal contribuente e ritenuto dalle sentenze di merito precedentemente emesse nell’àmbito della presente controversia, «bensì su riscontri documentali… idonei a dimostrare che» la <RAGIONE_SOCIALE aveva «svolto un ruolo di 'schermo', accollandosi costi successivamente addebitati quali prestazioni di servizi all'ing. NOME COGNOME il quale in tal modo (avev) a contabilizzato costi che, in quanto 'professionista persona fisica', non avrebbe potuto dedurre, e contestualmente abbatt (uto) l'imponibile fiscale» .
1.4 Tale conclusione è stata giustificata dal collegio regionale sulla scorta delle seguenti argomentazioni: nell'anno 2008 la predetta società era «controllata» dallo stesso NOME COGNOME in quanto la compagine sociale era a quel tempo costituita esclusivamente dal suddetto professionista e dalla di lui moglie NOME COGNOME resasi cessionaria nel gennaio 2002 della quota di partecipazione del 40% originariamente detenuta dal cognato NOME COGNOME (come ricavabile dal certificato storico rilasciato dalla competente CCIAA); -sebbene lo scopo sociale indicato nell'atto costitutivo della consistesse nella prestazione di servizi a favore di studi professionali e imprese in genere operanti nel settore edile, tutte le fatture dalla stessa emesse nell’arco temporale compreso fra il 7 gennaio e il 10 dicembre 2008, per un numero complessivo di 32, erano intestate al solo NOME MartaCOGNOME che pertanto risultava essere stato il suo unico cliente; – in sede di contraddittorio preventivo il NOME aveva «dichiarato che il corrispettivo fatturato dalla società e (ra) stato pattuito non in ragione delle attività rese, ma dei costi sostenuti dalla società…, circostanza inusuale nei rapporti tra un soggetto prestatore di servizi ed un cliente» , che «dimostra (va) l’assenza di autonomia tra la società e il Marta» .
1.5 La Corte veneta ha, inoltre, sottolineato che la verifica fiscale era stata avviata, «ai sensi dell’art. 32 d.P.R. 600/1973 e 51 d.P.R. 633/1972» , mediante l’invio di un questionario e aveva condotto, «ai sensi dell’art. 39, comma 1, lettere c) e d), e comma 3, del d.P.R. 600/1973» , al recupero a tassazione di «costi non deducibili e comunque privi dei requisiti di cui all’art. 54 del d.P.R. 917/1986» .
1.6 Non ha poi mancato di puntualizzare che: -«l’Ufficio non (avev) a operato ai sensi dell’art. 37 -bis del d.P.R. 600/1973, … mai citato nell’avviso di accertamento» , onde «i richiami di parte contribuente a tale norma» si rivelavano del tutto «inconferenti» ; -«l’Amministrazione Finanziaria (avev) a applicato il principio
generale affermato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nelle sentenze 30055, 30056 e 30057 del 2008, secondo il quale esiste un principio antielusivo la cui fonte va rinvenuta nei princìpi di capacità contributiva e progressività dell’imposizione affermati dall’art. 53 della Costituzione» ; -«l’avviso di accertamento e (ra) stato emesso a conclusione di una complessa attività istruttoria svolta in contraddittorio con il contribuente, il quale (avev) a esposto le proprie argomentazioni difensive e prodotto documenti» ; – ad ogni buon conto, «la difesa di parte contribuente non (avev) a assolto l’onere probatorio richiesto dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale di legittimità (cd. ‘prova di resistenza’) affinchè si possa ritenere violato il principio del contraddittorio» ; invero, non aveva «enuncia (to) in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere» , né tantomeno dimostrato di non aver «proposto un’opposizione meramente pretestuosa» .
1.7 Da quanto precede emerge con assoluta chiarezza come l’impugnata sentenza sia sostenuta da un impianto argomentativo logico, coerente e perfettamente intelligibile, come tale collocantesi al di sopra della soglia del cd. «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, della Carta fondamentale, la cui inosservanza segna il limite entro il quale può ancora trovare spazio il controllo di legittimità sulla motivazione dei provvedimenti a sèguito della riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c. disposta dall’art. 54, comma 1, lettera b), del D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012 (cfr. Cass. Sez. Un. nn. 80538054/2014).
Con il secondo motivo, proposto a norma dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., sono lamentate la violazione e la falsa applicazione dell’art. 41 -bis del D.P.R. n. 600 del 1973.
2.1 Si rimprovera alla Commissione regionale di aver erroneamente ritenuto legittimo l’accertamento parziale effettuato dall’Ufficio, pur in difetto delle condizioni all’uopo richieste dal menzionato art. 41 –
bis del D.P.R. n. 600 del 1973, essendo stati recuperati a tassazione costi ritenuti indeducibili, e non invece ricavi non dichiarati risultanti da elementi certi e precisi.
2.2 Il motivo è infondato.
2.3 A norma dell’art. 41 -bis del D.P.R. n. 600 del 1973, può procedersi ad accertamento parziale «qualora dalle attività istruttorie di cui all’articolo 32, primo comma, numeri da 1) a 4)» o da altre fonti informative «risultino elementi che consentono di stabilire» non solo «l’esistenza di un reddito non dichiarato o il maggiore ammontare di un reddito parziale dichiarato, che avrebbe dovuto concorrere a formare il reddito imponibile», ma anche «l’esistenza di deduzioni, esenzioni ed agevolazioni in tutto o in parte non spettanti».
2.4 Va, conseguentemente, escluso che la CGT-2 sia incorsa nel denunciato «error in iudicando» per aver ritenuto legittimo l’avviso di accertamento parziale emesso nei confronti del Marta, ai fini del recupero a tassazione di spese ritenute dall’Amministrazione Finanziaria indeducibili, a sèguito dell’invio di un questionario ex artt. 32, comma 1, n. 4) del D.P.R. n. 600 del 1973 e 51, comma 2, n. 3), del D.P.R. n. 633 del 1972,.
2.5 Per il resto, deve rilevarsi che i giudici «a quibus» hanno dato conto in motivazione della sussistenza di elementi certi e precisi, emersi dall’attività istruttoria svolta dall’Ufficio, idonei a giustificare la ripresa fiscale.
Ne discende che la censura in disamina appare destituita di fondamento anche sotto questo aspetto.
Per le ragioni illustrate, il ricorso deve essere respinto.
Non v’è luogo a provvedere in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità, non avendo l’Agenzia delle Entrate svolto attività difensiva in questa sede.
4.1 A mente dell’art. 380 -bis , ultimo comma, seconda parte, c.p.c., quando, come nel caso di specie, la Corte definisce il giudizio in
conformità alla proposta formulata dal Presidente della Sezione o da un Consigliere da questi delegato, si applicano il terzo e il quarto comma dell’art. 96 dello stesso codice.
4.2 Il terzo comma del citato art. 96 non può qui trovare applicazione, in quanto la condanna al pagamento di una somma equitativamente determinata a favore della controparte è da essa prevista nella sola ipotesi in cui la parte soccombente che sia stata condannata alla rifusione delle spese di lite ai sensi dell’art. 91.
4.3 Rimane, invece, in ogni caso, applicabile il quarto comma dello stesso art. 96, onde il ricorrente deve essere condannato al pagamento di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende, nella misura stabilita in dispositivo nell’osservanza dei limiti edittali (cfr. Cass. Sez. Un. n. 27195/2023).
Stante l’esito dell’impugnazione, viene resa a carico del Marta l’attestazione contemplata dall’art. 13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), inserito dall’art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente, ai sensi dell’art. 96, comma 4, c.p.c., al pagamento della somma di 2.000 euro in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione