Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 13876 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 13876 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10112/2023 R.G. proposto da :
COGNOME RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro RAGIONE_SOCIALE, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM. TRIBUTARIA II GRADO DELLA SICILIA n. 9000/2022 depositata il 25/10/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/03/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
In data 29 marzo 2014, COGNOME SalvatoreCOGNOME nella qualità di legale rappresentante pro tempore della RAGIONE_SOCIALE aveva presentato ai sensi dell’art. 30, comma 3 lett. c) DPR 633/1972 istanza di rimborso relativamente al credito IVA pari ad € 197,048,00 per ‘acquisti di beni strumentali’.
In data 19 giugno 2014 presentava inoltre dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà in cui precisava che per l’anno di imposta 2013 non sussistevano le condizioni previste dall’art. 3, comma 37 della legge 662/1996 atteso che alla stessa, in quanto società agricola, non era applicabile la norma antielusiva sulle società non operative. La Società veniva sottoposta a verifica al fine di accertare l’esistenza e lo svolgimento dell’attività indicata dalla contribuente, l’esistenza dei beni oggetto della richiesta di rimborso, nonché l’emersione di lavoro sommerso.
All’esito dell’istruttoria, in data 6 luglio 2015, l’Ufficio notificava alla società il diniego di rimborso IVA VR 2013, ritenendo la società non operativa ai sensi dell’art. 30 legge 724/1994.
La contribuente impugnava il diniego di rimborso dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Palermo che, con sentenza n. 1087/05/2016 accoglieva il ricorso riconoscendo il diritto al rimborso IVA.
La Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Sicilia accoglieva il successivo appello erariale, confermando pertanto il diniego di rimborso IVA e compensando le spese di giudizio. A sostegno della decisione, per un verso ha evidenziato che la società non aveva superato il test di operatività previsto dalla legge, con la conseguenza di non avere diritto al rimborso richiesto, pur mantenendo il diritto alla detrazione nelle liquidazioni periodiche; per altro verso ha escluso che la contribuente avesse mantenuto la natura di società agricola in senso stretto, tenuto conto dell’attività di commercializzazione e imbottigliamento di vini presso terzi,
svolta in misura via via crescente, che palesemente costituisce attività di natura commerciale ad onta della veste formale.
La contribuente propone ora ricorso per cassazione affidato a tre motivi, che illustra con memoria.
Resiste l’Agenzia con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si lamenta la nullità della sentenza per la mancata esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione ai sensi degli artt. 36 del D.lgs 546/1992 e art. 132 n.4 c.p.c., in relazione all’art. 360 comma primo n. 4 cod. proc. civ., per aver la CGT -2 ‘ riprodotto pedissequamente la motivazione dell’atto di diniego di rimborso, attribuendo alla stessa apoditticamente una rilevanza istruttoria che prescinde da argomentazioni sulla valutazione specifica dei motivi di ricorso devoluti al giudice del gravame e di quanto allegato e provato ‘.
Con il secondo motivo di ricorso si contesta la violazione e falsa applicazione dell’art. 30 l. 724/1994 in relazione all’art. 360 comma 1 n.3 c.p.c., per non essersi la CGT -2 pronunciata in ordine alle situazioni oggettive che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi secondo quanto previsto dall’art. 30 l. 724/1994.
Con il terzo motivo di ricorso si evidenzia l’omesso esame del fatto, controverso e decisivo, consistente nelle situazioni oggettive che hanno reso impossibile il conseguimento di ricavi secondo quanto previsto dall’art. 30 legge 724/1994 (art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ.).
Il primo motivo non coglie nel segno e va disatteso.
Vi è un accertamento in fatto che ben lascia cogliere la ratio decidendi al fondo della statuizione adottata, argomentando in ordine al mancato superamento del test di non operatività. La corte di secondo grado, invero, osserva che ‘D’altro canto, ciò è pienamente conforme al dato normativo sopra riportato che prevede la necessità di effettuare un calcolo che coinvolge l’anno in
questione e i due precedenti, da ripetere l’anno successivo (e così quello ancora successivo, mutando i parametri di riferimento). Risulta quindi, che la RAGIONE_SOCIALE società agricola a RAGIONE_SOCIALE. – la quale aveva presentato istanza di disapplicazione ogni anno, con provvedimenti tutti di rigetto -non abbia superato il test di operatività previsto dalla legge, con la conseguenza di non avere diritto al rimborso richiesto, mantenendo il diritto alla detrazione nelle liquidazioni periodiche. Né tanto meno può sostenersi che la stessa abbia mantenuto la natura di società agricola in senso stretto, tenuto conto che l’attività di commercializzazione e imbottigliamento di vini presso terzi, che assume avere svolto a partire dal 2011 -2012, in forma via via crescente, costituisce palesemente un’attività di natura commerciale ad onta della veste formale ‘.
Il terzo motivo è suscettibile di essere trattato in principalità rispetto al secondo.
Il vaglio della terza censura evidenzia come ultroneo l’esame del secondo mezzo, suggerendone l’assorbimento e consentendo una più sollecita definizione della vicenda in giudizio ancorata al principio della ragione più liquida.
Il terzo mezzo, di là dalla rubrica, sostanzia la deduzione di vizio di sussunzione dell’art. 30 l. n. 724/94, là dove deduce che ‘ Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale la normativa sulle società non operative si rende applicabile solo in assenza di esercizio di attività imprenditoriale, ma non per il mero mancato conseguimento di un preteso livello di ricavi. Infatti, la ratio della suddetta disciplina risiede nel disincentivare la costituzione di società di mero godimento ‘; e per quest’aspetto coglie nel segno, in quanto evidenzia l’urto frontale fra la statuizione della sentenza d’appello e i principi di vertice recentemente esplicitati dalla Corte unionale (CGUE, sentenza 7 marzo 2024 in causa C -341/22, RAGIONE_SOCIALE). Il giudice eurounitario ha,
invero, affermato che l’art. 9, paragrafo 1, della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, deve essere interpretato nel senso che esso non può condurre a negare la qualità di soggetto passivo dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) al soggetto che, nel corso di un determinato periodo d’imposta, effettui operazioni rilevanti ai fini dell’IVA il cui valore economico non raggiunge la soglia fissata da una normativa nazionale, la quale soglia corrisponde ai ricavi che possono ragionevolmente attendersi dalle attività patrimoniali di cui tale persona dispone; ancora, l’art. 167 della direttiva 2006/112 nonché i principi di neutralità dell’IVA e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale in forza della quale il soggetto passivo è privato del diritto alla detrazione dell’IVA assolta a monte, a causa dell’importo, considerato insufficiente, delle operazioni rilevanti ai fini dell’IVA effettuate da tale soggetto passivo a valle. La Corte eurounitaria ritiene in sostanza che la qualità di soggetto passivo non sia subordinata alla condizione che una persona effettui operazioni rilevanti ai fini dell’IVA il cui valore economico superi una soglia di reddito previamente fissata, la quale corrisponde ai ricavi che possono ragionevolmente attendersi dalle attività patrimoniali di cui tale persona dispone. Ciò che rileva al riguardo è esclusivamente il fatto che detta persona eserciti effettivamente un’attività economica. Inoltre, la Corte di Giustizia ha ritenuto il richiamato art. 30 contrario all’art. 167 della direttiva IVA nella parte in cui prevede la perdita del credito IVA ” in quanto nessuna disposizione della direttiva IVA subordina il diritto a detrazione al requisito che l’importo delle operazioni rilevanti ai fini dell’IVA, effettuate a valle da un soggetto passivo nel corso di un determinato periodo, raggiunga una certa soglia “. Peraltro, va ricordato che secondo costante giurisprudenza del Giudice del Lussemburgo, il diritto dei
soggetti passivi di detrarre dall’IVA di cui sono debitori l’IVA dovuta o assolta a monte per i beni acquistati e per i servizi ricevuti costituisce un principio fondamentale del sistema comune dell’IVA. Tale diritto, in presenza di tutte le condizioni previste, costituisce, quindi, parte integrante del meccanismo dell’IVA e, in linea di principio, non può essere soggetto a limitazioni a meno che non sia dimostrato, alla luce di elementi oggettivi, che esso sia stato invocato in un contesto di frode o evasione. In proposito è d’uopo evidenziare che, sebbene gli Stati membri, ai sensi dell’art. 273 della direttiva IVA, possano adottare misure di contrasto per assicurare l’esatta riscossione dell’IVA, tali misure non devono eccedere quanto necessario per conseguire tali obiettivi e non possono essere utilizzate in maniera tale da mettere in discussione il diritto alla detrazione dell’IVA. Nel caso di specie, la Corte dell’Unione ha ritenuto che il criterio della soglia dei ricavi, individuato dall’art. 30 in argomento, non si basi su una valutazione della realtà effettiva delle operazioni rilevanti ai fini dell’IVA effettuate nel corso di un determinato periodo d’imposta, ma solo sulla valutazione del loro volume. Tale criterio, quindi, non appare idoneo a dimostrare che il diritto alla detrazione dell’IVA sia stato invocato in modo fraudolento o abusivo.
Un saliente principio di diritto, sulla scia tracciata dal giudice unionale, è stato recentemente affermato da questa Corte di Cassazione: ‘ In materia di società non operative, la qualità di soggetto passivo, ai fini della detrazione IVA, è riconosciuta, ai sensi dell’art. 9, par. 1, della direttiva 2006/112/CE ed in conformità ai principi espressi dalla CGUE nella sentenza n. 341 del 7 marzo 2024 in causa C -341/222, anche a colui che, nel corso di un determinato periodo d’imposta, effettua operazioni soggette a detta imposta, il cui valore economico non raggiunge la soglia fissata dalla normativa nazionale, corrispondente ai ricavi che possono ragionevolmente attendersi dalle attività patrimoniali di cui
dispone, in quanto nessuna disposizione della direttiva subordina il diritto a detrazione a detto requisito, per cui, ai sensi dell’art. 30 della l. n. 724 del 1994, rileva esclusivamente l’esercizio effettivo di un’attività economica in un determinato periodo d’imposta, ponendosi detta disposizione in contrasto con l’art. 167 della citata direttiva nella parte in cui, invece, prevede la perdita del diritto a detrazione al mancato raggiungimento di determinate soglie di ricavi ‘ (Cass. n. 22249/24; conf., Cass. n. 24442/24; sull’equivalenza dei presupposti della detrazione e del rimborso dell’IVA, proprio con riferimento all’art. 30, comma 3, lett. c) del d.P.R. n. 633/72, v, Cass., sez. un., n. 13162/24, punto 10).
Nel caso in esame, si è visto, il giudice d’appello non dubita, anzi accerta lo svolgimento da parte della ricorrente di attività economica; il che trova riscontro anche nel controricorso, in cui si legge che ‘ La Commissione, dunque, intuisce che dietro l’artefatta scusante delle condizioni oggettive avverse si celava una organizzazione profittevole ‘.
Il ricorso va, in ultima analisi, accolto in relazione al terzo motivo, assorbito il secondo e rigettato il primo. La sentenza va cassata e la causa rinviata per un nuovo esame alla CGT di II Grado della Sicilia in diversa composizione, demandandole di provvedere anche alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il terzo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo motivo e rigetta il primo motivo del ricorso stesso. Cassa la sentenza impugnata in relazione al profilo accolto e rinvia la causa CGT di II Grado della Sicilia in diversa composizione, demandandole di provvedere anche alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 12/03/2025.