Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 8196 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 8196 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/03/2025
Avv. Acc. COGNOME
– Irap –
2010
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19963/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, INDIRIZZO è domiciliata ex lege,
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentate pro tempore .
–
intimata –
Avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. LAZIO, n. 336/2021, depositata il 20 gennaio 2021.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 5 febbraio 2025 dal Consigliere dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
L’Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti della RAGIONE_SOCIALE l’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO che, in relazione all’anno di imposta 2010, determinava un maggior
reddito di impresa per le società non operative ai sensi dell’art. 30, commi 3 e 3 bis, legge 23 dicembre 1994, n. 724.
Avverso l’avviso di accertamento, la società contribuente proponeva ricorso dinanzi alla C.t.p. di Roma; si costituiva anche l’Ufficio, che chiedeva la conferma del proprio operato.
La C.t.p. di Roma, con sentenza n. 3269/2018, accoglieva parzialmente il ricorso. In particolare, da una parte, confermava la legittimità dell’avviso di accertamento dal momento che la società non aveva fornito riscontri documentali per la disapplicazione della normativa relativa alle società di comodo o non operative e, dall’altro, statuiva che, a causa dell’avvenuta risoluzione contrattuale del contratto di leasing NUMERO_DOCUMENTO, l’immobile oggetto del contratto andasse escluso dalla determinazione dell’imponibile effettuata dall’Ufficio con atto impositivo.
Contro tale sentenza proponeva appello l’Agenzia delle Entrate dinanzi alla C.t.r. del Lazio; si costituiva il contribuente depositando ricorso incidentale ed evidenziando che la propria attività economica consisteva nella locazione di beni propri e nel leasing o affitto di azienda con conseguente applicazione del relativo studio di settore.
Con sentenza n. 336/2021 depositata in data 20 gennaio 2021, la C.t.r. accoglieva l’appello principale dell’Ufficio e quello incidentale della società ritenendo che la società avesse mantenuto in disponibilità l’immobile per tutto l’anno di imposta 2010, cui si riferisce l’atto impugnato e che tale contratto di leasing andasse inserito nel test di operatività. Accoglieva, tuttavia, anche l’appello incidentale statuendo che nei confronti della società non andasse applicato lo studio di settore previsto per la società alberghiera, ma quello previsto per l’effettiva attività economica svolta dalla stessa, vale a dire la locazione di beni propri e leasing o affitto di azienda.
Avverso la decisione l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi mentre la contribuente è rimasta intimata.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 5 febbraio 2025.
Considerato che:
Con il primo motivo, così rubricato «Violazione degli artt. 30 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 e 39, secondo comma, lett. d-bis, d.P.r. 29 settembre 1973, n. 600 (art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.)» l’Ufficio lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha motivato in maniera contraddittoria, riconoscendo, da un lato, la correttezza del test di operatività effettuato e, dall’altro, richiedendo che l’amministrazione finanziaria avrebbe dovuto utilizzare diverso studio di settore per l’accertamento.
1.2. Con il secondo motivo, così rubricato «Nullità della sentenza per motivazione apparente -contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili -in violazione dell’art. 36, secondo comma, lett. d) d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ.)» l’Ufficio lamenta la medesima censura del precedente motivo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ.
1.3. Con il terzo motivo, così rubricato «Nullità della sentenza per motivazione in violazione dell’art. 36, secondo comma, lett. d) d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ.)» l’Ufficio lamenta l’ error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la CRAGIONE_SOCIALE ha motivato in maniera soltanto apparente, non essendo evincibile il ragionamento logico giuridico adottato nella decisione.
Ragioni di natura logico-giuridica suggeriscono di trattare prioritariamente e congiuntamente, per evidenti ragioni di connessione e stante l’affinità delle critiche sollevate, il secondo ed il terzo motivo, che sono fondati.
2.1. L’istituto dell’interpello disapplicativo, ex art. 37 -bis , comma 8, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, consente la disapplicazione delle norme antielusive correttive o impeditive di detrazioni, deduzioni o crediti di imposta quando si dimostri che nella fattispecie concreta non si sarebbero potuti realizzare gli effetti antielusivi impediti dalla relativa disposizione.
2.2. Nel caso di specie si fa riferimento all’utilizzo dell’istituto dell’interpello disapplicativo all’interno della disciplina delle società ‘di comodo’, altrimenti dette ‘non operative’, disciplina per mezzo della quale si è inteso disincentivare il fenomeno dell’uso improprio dello strumento societario, utilizzato come involucro per raggiungere scopi, anche di risparmio fiscale, diversi da quelli previsti dal legislatore per tale istituto (Cass. n. 21358/2015).
In particolare, l’art. 30, comma 4 -bis , L. n. 724/1994, nella formulazione applicabile ratione temporis , prevede che: «in presenza di oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonché del reddito determinati ai sensi del presente articolo, ovvero non hanno consentito di effettuare le operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto di cui al comma 4 , la società interessata può richiedere la disapplicazione delle relative disposizioni antielusive ai sensi dell’articolo 37 bis , comma 8, del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973».
Questa Corte ha più volte precisato (cfr. da ultimo Cass. 15/03/2024, n. 7006) che il legislatore, con l’art. 30 della legge n. 724/1994, ha inteso disincentivare la costituzione di società “di comodo”, ovvero il ricorso all’utilizzo dello schema societario per il raggiungimento di scopi eterogenei rispetto alla normale dinamica degli enti collettivi commerciali (come quello, proprio delle società c.d. di mero godimento, dell’amministrazione dei patrimoni
personali dei soci con risparmio fiscale) ( ex multis , Cass. 27 gennaio 2023, n. 2636; Cass. 13 maggio 2021, n. 12862; Cass. 24 febbraio 2021, n. 4946; in questo senso cfr. la Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 5/E del 2 febbraio 2007).
2.3. Ancora, si è affermato che «il disfavore dell’ordinamento per tale incoerente impiego del modulo societario – ricavabile, oltre che dalla disciplina fiscale antielusiva, dal più generale divieto, desumibile dall’art. 2248 cod. civ., di regolare la comunione dei diritti reali con le norme in materia societaria – trova spiegazione nella distonia tra l’interesse che la società di mero godimento è diretta a soddisfare e lo scopo produttivo al quale il contratto di società è preordinato» (Cass. 4 febbraio 2021, n. 4946, cit.). La legge n. 724/1994, art. 30, ha, dunque, la finalità di contrastare la diffusione di società anomale, utilizzate quale involucro per il perseguimento di finalità estranee alla causa contrattuale, spesso prive di un vero e proprio scopo lucrativo e talvolta strutturalmente in perdita, al fine di eludere la disciplina tributaria (Cass. 23 novembre 2021, n. 36365, richiamata e citata anche da Cass. 18 gennaio 2022, n. 1506). L’effetto deterrente perseguito muove dalla determinazione di standard minimi di ricavi e proventi, correlati al valore di determinati beni aziendali. In particolare, secondo la legge n. 724/1994, art. 30, comma 1, una società si considera non operativa se la somma di ricavi, incrementi di rimanenze e altri proventi (esclusi quelli straordinari) imputati nel conto economico è inferiore a un determinato ricavo figurativo, calcolato, attraverso il test di operatività, applicando determinati coefficienti percentuali al valore degli assets patrimoniali intestati alla società. Il mancato raggiungimento di tale soglia – considerato dal legislatore sintomatico della non operatività della società (cfr., ex multis, Cass. 24 febbraio 2020, n. 4850) – fonda quindi una presunzione legale relativa di non operatività, basata sulla massima di esperienza secondo cui, di regola, non vi è effettività di impresa
senza una continuità minima nei ricavi (da ultimo, Cass. 16 maggio 2023, n. 13328).
2.4. Come è stato già chiarito da questa Corte, «il mancato raggiungimento degli standard minimi di ricavi di cui al ridetto art. 30, comma 1 riconducibili agli assetti patrimoniali della struttura societaria, funge da elemento sintomatico di selezione ed individuazione degli enti non operativi» (Cass. 24 febbraio 2020, n. 4850). Il mancato superamento della “soglia di operatività” costituisce dunque presunzione legale, relativa, della natura non operativa della società contribuente e comporta, pertanto, l’applicazione della disciplina antielusiva. In tale contesto, il contribuente può vincere la presunzione dimostrando all’Amministrazione -attraverso l’interpello finalizzato alla disapplicazione delle disposizioni antielusive, ovvero in giudizio, nel caso di contrasto -le oggettive situazioni che abbiano reso impossibile raggiungere il volume minimo di ricavi o di reddito determinato secondo i predetti parametri normativi (Cass. 23 maggio 2022, n. 16472). L’onere della prova contraria deve essere inteso «non in termini assoluti quanto piuttosto in termini economici, aventi riguardo alle effettive condizioni di mercato» (Cass. 28 maggio 2020, n. 10158; Cass. 12 febbraio 2019, n. 4019; Cass. 20 giugno 2018, n. 16204). E’ stato peraltro escluso che, attraverso il meccanismo della presunzione relativa e dell’onere della prova contraria gravante sul contribuente, si pervenga ad un mero sindacato di merito del giudice sulle scelte imprenditoriali, rilevandosi che in tema di società di comodo, non sussistono le oggettive situazioni che rendono impossibile il superamento del test di operatività, l. n. 724 del 1994, ex art. 30, comma 4bis , nella versione applicabile ratione temporis , con riferimento all’anno d’imposta 2010, nell’ipotesi di totale assenza di pianificazione aziendale da parte degli organi gestori della società o di completa “inettitudine produttiva”, gravando sull’imprenditore,
anche collettivo, ai sensi dell’art. 2086, secondo comma, come modificato dall’art. 375 c.c.i.i., in coerenza con l’art. 41 Cost. -l’obbligo di predisporre i mezzi di produzione nella prospettiva del raggiungimento del lucro obiettivo e della continuità aziendale. Sicché in tal caso, il sindacato del giudice non coinvolge le scelte di merito dell’imprenditore, attenendo alla verifica del corretto adempimento degli obblighi degli amministratori e dei sindaci, con riduzione dell’operatività della business judgement rule , sempre valutabile, sotto il profilo tributario, per condotte platealmente antieconomiche (cfr. Cass. 23 novembre 2021, n. 36365).
2.5. Infine, con riferimento alla presunzione legale relativa di non operatività, l’onere probatorio può essere assolto non solo dimostrando che, nel caso concreto, l’esito quantitativo del test di operatività è erroneo o non ha la valenza sintomatica che gli ha attribuito il legislatore, giacché il livello inferiore dei ricavi è dipeso invece da situazioni oggettive che ne hanno impedito una maggior realizzazione; ma anche dando direttamente la prova proprio di quella circostanza che, nella sostanza, dal livello dei ricavi si dovrebbe presumere inesistente, ovvero dimostrando la sussistenza di un’attività imprenditoriale effettiva, caratterizzata dalla prospettiva del lucro obiettivo e della continuità aziendale, e dunque l’operatività reale della società (Cass. 24 febbraio 2021, n. 4946, in motivazione; Cass. 28 settembre 2021, n. 26219, in motivazione).
2.6. Nella fattispecie in esame, la CRAGIONE_SOCIALE ha fatto malgoverno dei principi testé illustrati allorquando, dopo aver accolto l’appello dell’ufficio confermando la legittimità del metodo accertativo utilizzato relativo alla società non operative e la correttezza del test di operatività svolto, anche in relazione all’inserimento dell’immobile di INDIRIZZO ai fini del suddetto test ha poi disposto la rideterminazione del quantum dell’avviso di accertamento sull’erroneo presupposto che lo stesso si sarebbe
dovuto basare sullo studio di settore per attività alberghiera mentre l’ufficio avrebbe dovuto applicare il diverso studio di settore per attività di locazione di beni propri. Quindi, pur avendo condiviso integralmente l’appello principale dell’ufficio riconoscendo la legittimità integrale del test di operatività svolto dall’amministrazione, la C.t.r. non ha confermato integralmente l’avviso di accertamento. Di poi, con una motivazione assolutamente contraddittoria, ha al contempo affermato che l’amministrazione aveva legittimamente determinato l’imponibile sulla base dell’articolo 30 legge n. 724/1994 e che l’imponibile andava a rideterminato sulla base dello studio di settore relativo all’attività di locazione di beni propri e in leasing ovvero affitto di azienda.
2.7. Va qui ricordato che per le Sezioni unite di questa Corte la motivazione è solo apparente – e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo – allorquando, benché graficamente esistente, tuttavia, non rende percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguìto dal giudice per la formazione del proprio convincimento, cioè tali da lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. U. 19/12/2016 n. 26127, Cass. 14/12/2018, n. 32347).
Dall’accoglimento del secondo e terzo motivo discende l’assorbimento della disamina del primo motivo.
In conclusione, vanno accolti il secondo ed il terzo motivo di ricorso e, assorbito il primo, la sentenza impugnata va cassata con rinvio del giudizio al giudice a quo affinché in diversa composizione proceda a nuovo e motivato esame nonché provveda alla liquidazione delle spese anche del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia il giudizio innanzi alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio affinché in diversa composizione proceda a nuovo e motivato esame nonché provveda alla liquidazione delle spese anche del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 5 febbraio 2025.